C’erano una volta i brand. Essi cercavano di convincervi che i propri prodotti erano proprio quello che faceva per voi, adattandosi tanto al vostro stile di vita quanto al vostro gusto, estetico culinario o di qualsiasi altro tipo.
Fine della favola, perché oggi non è più così. O almeno, non è sempre e non è solo così. I brand stanno cambiando e alcuni sono già cambiati. Una delle derive più interessanti è quella dei cosiddetti political brand.
Ma non corriamo eccessivamente. Per comprendere appieno il cambiamento che sta investendo i brand a livello mondiale, dobbiamo fare qualche passo a ritroso. Tutto ha inizio ben 30 anni fa. Negli anni ’80, infatti, inizia a farsi luce una giovane disciplina chiamata branding. Il branding teorizza che le aziende dovrebbero iniziare a staccarsi dalla semplice produzione di beni, concentrandosi piuttosto sull’attività di marketing di tali prodotti. Ovviamente, questo implicava una maggiore interazione con il consumatore e un più approfondita conoscenza di chi fosse costui.
Ora facciamo un rapido salto e veniamo ai giorni nostri, diciamo al nuovo millennio. La domanda che bisogna quindi farsi è: chi è il consumatore oggi? Qualche dato che ci fornisce l’ottimo articolo di design mind (che fa da spunto a questo post) può aiutarci a rispondere.
Secondo la ImagePower Green Brand Survey, otto Americani su dieci credono che sia importante comprare prodotti delle cosiddette green companies, dichiarandosi disposti anche a spendere di più per i loro prodotti. Ciò evidenzia un cambiamento fondamentale riguardo alle politiche in base alle quali i consumatori scelgono quali beni o servizi comprare, ma anche rispetto alla loro percezione del consumo in generale. Le persone ormai sono coscienti di dove e come i prodotti vengono realizzati e vogliono che tali dinamiche siano conformi alla propria etica e alle proprie idee politiche.
La conseguenza di ciò è il passaggio dai Lifestyle Brand ai Political Brand. Oggi non basta più adattarsi semplicemente allo stile di vita dei consumatori, per conquistarli bisogna capire come si aspettano che agisca l'azienda e comportarsi di conseguenza. Come fa notare sempre design mind, questo passaggio ha un’influenza tanto sul ruolo del consumatore quanto su quello del brand.
Indubbiamente, in questa nuova ottica il consumatore acquisisce un maggior potere. Il brand infatti si vede costretto, quando vuole rivolgersi a questo nuovo consumatore così attento a temi come l’ecologia e l’eticità della produzione, ad operare in maniera trasparente rispetto a queste problematiche. Ma spesso ciò non basta: c’è bisogno anche di comunicare adeguatamente questo impegno preso, distaccandosi dalla concorrenza e facendo breccia nel cuore politico dell’utente. Detto in parole povere, i consumatori spingono in qualche modo le aziende ad agire proprio come essi vorrebbero.
Ovviamente il consumatore è reso ancor più forte dal passaparola, a sua volta potenziato dagli strumenti del web 2.0 che vedono in Internet pubblici sempre più consapevoli della loro possibilità di “farsi media” . Il passaparola è anche (e soprattutto) l’insieme dei commenti. Infatti, come afferma Danah Boyd in un recentissimo ed interessante saggio di etnografia dei social network, i Networked Publics sono al tempo stesso un luogo ed un gruppo di individui: ovvero sia lo spazio costruito dalle tecnologie di rete, sia la comunità immaginata che emerge come risultato delle intersezioni fra le persone, le tecnologie e le pratiche.
Allo stesso tempo, le aziende che hanno compreso questo trend e si sono adattate ad esso sono riuscite a conquistare delle nicchie di mercato ben precise. Una volta fidelizzato il consumatore da questo punto di vista, infatti, è molto più difficile per un concorrente convincerlo a cambiare, dovendo rimettere in gioco i propri valori.
Un esempio brillante di questo orientamento è Toyota. La casa automobilistica giapponese, gettatasi a capofitto nell’ecologia con il lancio del modello ibrido Prius, ha triplicato le sue vendite in un anno. Nel dettaglio, le Prius vendute sono un milione, la metà delle quali negli Stati uniti, dove l’importanza della componente “politcal” del brand è altissima.
Ovviamente non basta produrre una vettura ibrida, anche la relativa comunicazione deve essere coerente. Un esempio è questo ambient realizzato alle fermate degli autobus per pubblicizzare le cellule fotovoltaiche che alimentano il climatizzatore della Prius quando è ferma al sole.
Un altro brand che sta cercando politicizzarsi, come vi anticipavamo pochi giorni fa, è MTV. La Music TV internazionale già da diversi anni sta lavorando in quella direzione, lanciando molte campagne a tema ambientale e sociale. Si pensi ad esempio ad MTV Exit, campagna multimediale che dal 2004 rappresenta l’impegno di MTV contro il traffico umano. Il progetto prevedeva documentari e cortometraggi sul tema della tratta di uomini e donne oltre a video musicali di artisti quali Radiohead e Killers e al supporto del Tour 2005 dei REM.
Come evidenziato con il ninjavideo citato in precedenza, MTV sta cercando di portare avanti il cambiamento non solo a livello internazionale ma anche rispetto a temi su scala nazionale. In Italia si parla della campagna Tocca a Noi per far approvare una legge sull’università fatta da e per gli studenti.
Proprio in questi giorni, pero’, MTV sta affrontando la protesta dei lavoratori precari che stanno protestando contro la decisione dell’azienda di lasciare a casa più di 100 persone. E’ stato creato anche un blog per portare avanti la protesta e rendere partecipe il pubblico della situazione. Se la situazione non dovesse rientrare potrebbe trattarsi di un autogol abbastanza serio, che farebbe arretrare non poco MTV dalla conquista dello status di political brand, almeno per quanto riguarda l’Italia.
Restando nel nostro Paese, anche TIM sta cercando di seguire questa strada, come abbiamo visto grazie al progetto Come suona il Caos? che ha riscosso un enorme passaparola positivo in rete (al contrario degli spot TV di Fiametta & co.) e centinaia di migliaia di contatti proattivi di giovani (e non solo) utenti!
Ovviamente la lista degli esempi potrebbe essere lunghissima, soprattutto citando marchi che da noi non sono ancora sbarcati, almeno per il momento. Sarebbe anche interessante che ci proponeste voi i nomi dei brand che ritenete meglio avviati su questa strada. Anche se in realtà non ci interessava tanto fare un censimento dei political brand, bensì iniziare a parlare di una tendenza già in atto ma destinata, con il passare del tempo, a cambiare sempre di più il concetto di brand come lo conoscevamo.