Vi riportiamo i punti salienti dell'intervista realizzata a Mirko Pallera da Tina Santoro per Radio Radicale. Nel corso della chiacchierata si è parlato di nuove possibilità offerte dalla Rete alla partecipazione del cittadino, di marketing politico e di molto altro. Di seguito i punti più interessanti dell'intervista, che potete anche ascoltare integralmente qui.
Negli ultimi due anni si tende a parlare del pregio che hanno sia il social networking che il brand di creare una community attiva su questioni di natura sociale e politica. Credi sia possibile parlare di un ipotetico passaggio da un utente attivo ad un cittadino più attivo in futuro?
Si, questa è una delle riflessioni che ogni giorno impegnano la nostra mente. La grande rivoluzione dei Social Network per ora sembra limitata apparentemente alla socialità delle persone, quindi alla comunicazione interpersonale, alla gestione dei propri contatti in rete. In realtà la grande portata di questo nuovo modo di relazionarsi è ancora tutta da scoprire. Parlo proprio dell’aspetto della governance, creare nuovi sistemi di partecipazione democratica, far emergere delle istanze politiche dal basso, anche la risoluzione di problemi... ecco, io penso che la politica, anche se ce ne siamo dimenticati, si riduca a una cosa molto chiara e concreta: risolvere problemi. Da un lato c’è chi propone una soluzione monocratica, quindi risolvere i problemi attraverso le decisioni di una sola persona. Io penso che oggi la vera opportunità offerta dalla rete sia quella di creare una vera democrazia. La rete sta dimostrando di essere in grado di risolvere i problemi e di trovare soluzioni in maniera molto più efficace e efficiente di qualunque consiglio di amministrazione o gruppo di persone. Quindi perché non mettere al servizio della società la forza dell’intelligenza collettiva della rete? Ecco, oggi questo si può fare, non solo online ma anche con degli aspetti che poi impattano nella vita reale, l’online e il virtuale non sono slegati dalla quotidianità.
Sempre parlando di internet, Obama ha cercato di spostare gran parte della sua campagna elettorale sul web, utilizzandolo poi come forma di coordinamento per la base territoriale. Credi che il web 2.0 in futuro possa diventare un mezzo privilegiato del marketing politico? E in questo senso come le strategie di marketing non convenzionale possono favorire questo processo?
Sicuramente si. Marketing politico è una parola che già ha in se quasi una negatività, un aspetto di persuasione, di promozione di un’idea. Ma se lo intendiamo invece come strumento di partecipazione , uno strumento per far arrivare le proprie idee al maggior numero di persone per raccogliere energie, mobilitare, creare gruppi di supporto sicuramente la campagna di Obama, allora lo può fare e lo farà sempre di più con la consapevolezza delle nuove regole del gioco. Oggi in realtà ci troviamo ad agevolare un processo di partecipazione. Una partecipazione che poi deve essere vera, reale, non deve essere semplicemente un nuovo strumento per far parlare di se. Si deve tradurre non solo in un flusso di andata, ma anche un flusso di ritorno. Io penso che sia una grande opportunità per la democrazia e per i partiti che si ritengono tali. Finora non ho ancora visto nessuno in Italia utilizzare al meglio questo tipo di strumenti. Forse oggi andrebbe fatta una grande battaglia per la libertà della rete. Assistiamo proprio in questi mesi a dei tentativi di limitarne la libertà. Su questo bisognerebbe riflettere e forse sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema che apparentemente sembra lontano dalla massa delle persone visto che online in Italia siamo pochi rispetto alla popolazione. Secondo me c’è una battaglia importante da fare sulla rete.
Proviamo a immaginare internet fra una decina di anni. Lo immagini più come un territorio partecipativo, quindi completamente gratuito e basato sulla partecipazione e la cooperazione tra utenti, oppure pensi che gradualmente si procederà verso una piattaforma web a pagamento come sostiene Murdoch e quindi arrivando ad avere pochissimi contenuti gratuiti?
Il problema in questo momento ce l’hanno i grossi editori, che non trovano dei modelli di business per autosostenersi, ma la rete non è ovviamente solamente i contenuti generati dai grossi gruppi editoriali. La rete è soprattutto quella miriade di contributi spontanei, gratuiti open sorce forniti da tutte le persone che nella rete vivono. Alcuni contenuti potranno anche diventare a pagamento, ma ce ne saranno sempre altrettanti gratuiti. Io penso che la gratuità sia ormai un dato incontestabile della rete. è probabile che sicuramente per alcuni tipi di servizi e contenuti si dovrà pagare, forse anche giustamente perché si tratterà di servizi con una qualità differente, soprattutto che hanno dei costi di gestione molto alti. Pensiamo a YouTube che attualmente non riesce a sostenere neanche i costi di banda dei video che vengono caricati online dagli utenti. E' un momento molto fluido, si sta creando forse una nuova economia che ancora non è chiara a nessuno, ma non si potrà pensare di trasformare la rete in un grande contenuto a pagamento e di limitarne la libertà, questo no perché chiuso quel protocollo se ne aprirebbe subito un altro. Il cambiamento è sistemico, non si può fermare, si può decidere di farne parte o meno. Oggi la concorrenza non è più solo fra gruppi editoriali, il paradosso è che volendo siamo tutti dei piccoli microeditori. Quindi spero di no, a meno che non ci siano delle forze talmente radicali da chiudere la libertà della rete come fecero in passato con le radio. Mi auguro di no.
Ok. Parliamo adesso di messaggi persuasivi all’interno di campagne pubblicitarie e in generale nel marketing. Credi che rispetto a questo processo questa forma di democratizzazione possibile attraverso il web questo concetto non si scontri un po’ con il messaggio, subliminale in se, di alcune campagne e di alcuni messaggi pubblicitari?
Ma infatti è proprio cambiato il paradigma anche all’interno del Marketing e della Comunicazione. Nel momento in cui i mezzi classici – in primis la televisione – perdono di centralità e si passa a una centralità della rete che sostituirà quella del mezzo televisivo cambiano chiaramente anche le modalità. Se prima la modalità era soprattutto passiva e persuasiva, adesso i messaggi per avere una risonanza devono in qualche modo essere contagiosi. E’ quello che noi chiamiamo marketing virale ed è alla base dei nostri studi, anche del nostro prossimo libro. Per essere contagiosi ovviamente i messaggi non possono essere persuasivi e subliminali, tu non sei disposta a veicolare un messaggio che non consideri rilevante o che consideri smaccatamente pubblicitario e in qualche modo persuasivo. Ma sei disposta invece a veicolare un messaggio che veicola una tua identità, che ti permette di realizzare una relazione con un’altra persona atraverso l’utilizzo di questo messaggio. Per cui cambia proprio l modello di creazione dei messaggi. La rete di per se si oppone a un atteggiamento persuasivo e subliminale mentre agevola e privilegia un atteggiamento relazionale e partecipativo.
Quindi la marca diventa, se vogliamo, un fine più implicito e sottile?
Si, infatti questa è la grande difficoltà oggi: far rientrare le strategie di marca all’interno di questa dinamica relazionale. La marca diventa quello che noi chiamiamo sense providing: un fornitore di senso positivo e evoluzionistico per le persone. Ovvero, se la marca riesce a supportare i progetti di senso delle persone, che a questo punto non partono più dalla marca bensì dalle persone stesse, essa diventa un supporter esistenziale identitario. A quel punto, essendo percepito come tale, le persone lo riconoscono come tale e lo premiano. Ciò vuol dire supportare i progetti di senso dell persone, che spesso servono ovviamente – e soprattutto in questo periodo – per migliorare il mondo. Viceversa si è destinati a non essere più considerati, per cui cambia proprio il ruolo della marca: da fondatore di identità a sostenitore di identità che pero’ nascono spontaneamente dalle persone. Si tratta di un bel cambiamento sia per le aziende che per le agenzie.
Questo sempre in un’ottica anche di responsabilità sociale, legata anche a tematiche di marca?
Assolutamente si. Più che sociale io direi esistenziale, identitaria, perché la parola sociale può abbracciare veramente tanti aspetti, non si tratta solo delle campagne per aiutare i bambini in Africa, si tratta di migliorare il mondo nel suo insieme. Per cui la marca deve avere un ruolo sociale, è questo il passaggio dal marketing al societing. Il marketing è sempre stato un’idea orientata al mercato, ma in realtà ci siamo accorti che il mercato è la società. La marca non può dimenticarsi di questo, anche perché le persone se ne rendono conto e premiano le marche più attente da questo punto di vista. Nella rete sarà sempre più così, le marche più socialmente responsabili, che immetteranno nel sistema simbolico dei messaggi di valore verranno premiate rispetto a quelle che invece danneggiano il sistema simbolico. Io sono molto fiducioso nel futuro.
Credi che questo passaggio possa avvenire anche nel marketing politico, con i partiti che più si dimostreranno attenti alle tematiche pubbliche e sociali che potranno essere premiati da questo punto di vista?
Questo è quello che ci auguriamo tutti, ma io penso che fin quando il sistema politico non cambia, restando uguale a quello del secolo scorso – mi riferisco alla struttura dei collegi ecc. – la potenza della rete non potrà essere messa in atto. Non c’è ancora secondo me oggi nel nostro sistema democratico il modo di incanalare la forza della rete al meglio. Su questo siamo legati ancora a dinamiche molto, molto vecchie. Ho paura che in realtà, dal punto di vista politico, la rete potrà soltanto far emergere dei talenti – vedi il caso della Serracchiani, che partendo da un video su youtube ha acquisito una certa notorietà e un certo peso all’interno del suo partito. La rete in questo momento può agevolare l’emergere di talenti politici, nuovi personaggi in grado di calamitare poi l’attenzione dei media e quindi anche degli elettori, questo si.