Oltre alle tribune televisive, alle interviste sui quotidiani, alle ospitate nei talk-show, il buon politico sa essere presente anche sul web. Perfino a Montecitorio, infatti, si è diffusa la voce dell'esistenza di internet e del vantaggio che un profilo Facebook e un blog ammiccante possa recare alla propria immagine. Se ad un primo sguardo il proliferare di parlamentari sui social può sembrare l'ennesimo tentativo di indottrinamento, si badi a non sottovalutare l'upgrade del mondo politico, perchè il fenomeno gode di un respiro decisamente più ampio. Internet di per sè democratizza la circolazione delle idee, quindi non solo permette maggiore visibilità al politico, ma anche minor distanza dell'elettorato dal meccanismo istituzionale. L'insistente digitalizzazione dei partiti, di fatto, è una tendenza consolidata da tempo e con ottimi risultati (avete presente le elezioni di Obama?).
Per chiarire il ruolo della rete nel contesto politico italiano, abbiamo incontrato e intervistato l'Onorevole Anna Paola Concia, deputata del Partito Democratico, eletta alla camera nel 2008.
Onorevole Concia: ex PCI, oltre vent’anni di militanza politica, coming out nel 2002. Lei si racconta integralmente sul Suo sito (e sulla Sua pagina Facebook). Insomma, è un’Onorevole 2.0. Di fronte a Lei c’è l’Italia, una Nazione che non sembra pronta per investire sulla ricerca, per puntare sulla tecnologia, per anticipare realmente l’innovazione. Come ci si sente da Onorevole 2.0 in un Paese non proprio al passo con i tempi?
Il fatto che l’Italia non sia un paese al passo con i tempi è evidente agli occhi di tutti, non soltanto per quanto riguarda la ricerca e l’innovazione tecnologica, ma anche dal punto di vista dei diritti civili e delle libertà perchè le due cose sono strettamente connesse; c’è un legame profondo tra innovazione e diritti di libertà che insieme rappresentano una spinta per la crescita economica e sociale.
Il nostro è un paese che non vuole investire sulla modernità e che ha paura del futuro. Pensiamo al fatto che abbiamo un presidente del consiglio ultrasettantenne, che non sa neanche pronunciare correttamente il nome di ‘’google’’. Come possiamo pretendere da questa classe dirigente che si assuma la responsabilità di costruire l’Italia di domani?
Bisogna riconoscere che oggi la rete ricopre un ruolo sempre maggiore nel permettere il contatto con il pubblico e con gli elettori. Schwarzenegger comunica su Twitter, Obama ha fatto ampio uso dei social media. Come cambia il modo di fare politica attraverso i nuovi mezzi di comunicazione?
Stiamo andando verso una democrazia sempre più partecipata, trasparente, che utilizza gli strumenti delle nuove tecnologie; e questo è un bene. I nuovi media danno la possibilità al cittadino di controllare meglio l’attività dei politici e delle pubbliche amministrazioni. La politica deve raccogliere la sfida del cambiamento e non aver paura del web, per questo la banda larga deve essere potenziata e questo deve essere fatto il più velocemente possibile. Personalmente utilizzo tutti gli strumenti che mi offre la rete, dal blog ai social network e mi tengo in contatto quotidiano con le cittadine e i cittadini, raccolgo i loro consigli, critiche e pareri, perché per un politico i social network, utilizzati in modo positivo, permettono di poter vivere in una sorta di assemblea permanente. Sono convinta, infatti, che l’interazione sia il futuro della democrazia.
L’Italia soffre ancora il digital divide. Solo il 40% degli accessi sul territorio nazionale sono su banda larga. Tra l’altro, il Decreto Milleproroghe ha programmato il futuro dirottamento di 30milioni di euro dalla banda larga al digitale terrestre. Quanto è pronto l'elettorato a trasferire la propria militanza politica sul web partecipativo? Ed a dialogare online con la politica e le istituzioni?
Il governo ha commesso un vero e proprio autogol trasferendo i fondi della banda larga al digitale terrestre. Fatto salvo l’evidente confitto di interessi che sorge tra il presidente del consiglio e la sua azienda, che è uno degli operatori chiave del servizio televisivo e quindi del digitale terrestre, chi ci rimette è il sistema paese. Mi sarebbe piaciuto che il governo in questo campo avesse fatto di più, anche per stimolare la crescita, in un momento di crisi economica che rischia la stagnazione. Il Partito democratico, del resto, è sempre stato disponibile su questi temi a collaborare con la maggioranza. Per esempio si poteva investire di più sull’industria del software, che in Italia praticamente quasi non esiste. Ma il governo Berlusconi ha un’ idea di politica industriale che è rimasta agli anni settanta, basti pensare a come si è comportato sul caso Fiat.
I recenti scontri in Nord Africa hanno evidenziato l’importanza della rete come mezzo di informazione privilegiato: pluralista, impossibile da censurare, libero. Eppure l’Italia in questo campo sconta ancora il dominio della carta stampata e della comunicazione televisiva. Cosa manca alla rete?
Innanzitutto dobbiamo registrare che oggi i giovani al di sotto dei 30 anni si informano quasi esclusivamente sulla rete. Non leggono i giornali e non guardano quasi più la televisione. Ditemi se, per un governo, non deve essere una priorità investire sui contenuti della rete. Penso a questo proposito che il nostro sistema educativo si dovrebbe aprire alla tecnologia nella didattica quotidiana. Per quanto riguarda le rivolte in nord Africa è noto che in quei paesi, che oggi attraversano la transizione da regimi dittatoriali verso la democrazia, l’età media della popolazione è ben al di sotto dei trent’ anni. Se l’Italia fosse un paese fatto per la maggioranza di giovani, sono sicura che sarebbe un paese diverso da quello attuale perché, come ci dimostrano anche gli eventi in nord Africa, soltanto le giovani generazioni non hanno paura del cambiamento e del futuro.
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