Gli italiani sono sempre più attenti ai messaggi trasmessi nelle pubblicità nazionali e mostrano una certa insofferenza nei confronti di pubblicità che abusano del corpo femminile e dei luoghi comuni, offendendo la dignità di diverse categorie di pubblici.
L’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria può agire tempestivamente contro gli eccessi imponendo un rapido ritiro delle campagne più offensive. Ma tutto ciò non basta.
I modi in cui una pubblicità può essere degradante sono molti, sottili e infidi: la diffusione ripetuta di stereotipi di genere consolida discriminazioni e frena lo sviluppo sociale, ancorandolo a schemi culturali arretrati, riduttivi e dannosi.
Donne tutte uguali e unicamente dedite alla bellezza seduttiva, o alla pulizia della casa e alla cura della famiglia, la cui identità si esaurisce nell’essere “casalinghe” o “sexy” o “madri” o “nonne”.
Vediamo uomini tutti uguali e interessati solo a sesso, successo, calcio. Vediamo bambini intrappolati in comportamenti e relazioni familiari connotate dal genere: questi sono esempi di cliché. La loro ripetizione incoraggia il pensiero unico.
E allora l'Italia vuole dare l'esempio e non rassegnarsi, e a rappresentanza dell'intera categoria di pubblicitari (ma non solo, soprattutto non solo) l’ADCI rivolge una petizione al Ministro Josefa Idem.
L’Art Directors Club Italiano riunisce i protagonisti del processo di creazione dei contenuti pubblicitari, accomunati da un obiettivo: migliorare la pubblicità in Italia.
Selezionare i migliori lavori, ogni anno dal 1986, non è bastato, nè tantomeno scrivere nero su bianco le buone regole del mestiere nel manifesto deontologico ADCI (diffuso e pubblicato su Il Sole 24 Ore, nell’aprile 2011)
Dietro ogni campagna pubblicitaria che viene prodotta (decine di migliaia, ogni anno) ci sono tante decisioni prese da tante persone: singoli professionisti, persone che lavorano nelle agenzie e nelle aziende, fotografi, registi… Ancora troppi credono che la pubblicità debba vendere a qualsiasi costo e che, così come la si sta facendo, vada bene e piaccia agli italiani. Non è vero.
Nel marzo 2013 è stato commissionato dall' ADCI un sondaggio all’Istituto Piepoli, ed è emerso che il 58% degli italiani è d’accordo nel ritenere che le pubblicità attuali trasmettano più messaggi negativi rispetto al passato.
La pubblicità italiana è considerata da osservatori internazionali tra le più sessiste del mondo.
È possibile cambiare le cose? Certo.
La Risoluzione Europea del 3 settembre 2008 ci esorta a farlo. In diversi paesi sono in vigore norme sulla pubblicità sessista. Anche in Italia dobbiamo poterla scoraggiare. Dobbiamo poterla sanzionare in modo più esteso ed energico di quanto avvenga ora.
Da addetti ai lavori, possiamo dare il nostro contributo perché in Italia nuove norme sulla pubblicità sessista non restino solo “sulla carta”, come spesso succede alle buone intenzioni di difficile realizzazione, ma incidano in modo sostanziale migliorando le pratiche della nostra professione.
Abbiamo però bisogno che le cittadine e i cittadini esprimano il bisogno collettivo e urgente di cambiare le cose.
Per questo la petizione "Fermiamo la pubblicità sessista in Italia" è indirizzata al Ministro per le Pari Opportunità, Josefa Idem.