“Vai a zappare la terra!”; “ Le tue sono braccia sottratte all’agricoltura!”; “Non sei bravo in questo campo, ti consiglio quelli di patate!”
Quelli che una volta sarebbero stati insulti, epiteti, o moniti insindacabili di mediocri professori liceali oggi potrebbero essere genuini complimenti ed incoraggiamenti rivolti al primo della classe.
Come mai?
I numeri
Il settore agricolo è l’unico (o quasi) a registrare una crescita in Italia. E se industria (-5,8%) e servizi (-1,1%) arrancano, è proprio il settore primario a registrare un aumento del PIL prodotto pari all’1,1% secondo l’INSTAT. A questo, si accompagna un incremento delle assunzioni del 3,6%, concentrato soprattutto al Centro Italia.
Coldiretti stima che saranno 100.000 i nuovi posti di lavoro creati nei prossimi tre anni pari al 10% della forza lavoro attuale. Ma il dato che (non) sorprende si evince guardando alla carta d’identità ed al curriculum dei nuovi imprenditori agricoli: le imprese guidati da giovani sotto i 35 anni sono aumentate del 4% in Italia nell’ultimo anno. E molti di questi hanno una laurea in tasca (oltre il 30%) oppure la licenza superiore (oltre il 70%).
Scelta o necessità?
Il lavoro manca. La terra c’è, è vuota ed ha bisogno di lavoratori ed imprenditori. Bastano queste due semplici considerazioni a giustificare questa piccola rivoluzione. Giovani laureati disillusi di poter avviare la carriera per cui si erano preparati e che la società, la famiglia, le convenzioni avevano per loro o con loro tracciato. Meglio la disoccupazione, il precariato, una vita lavorativa avara di soddisfazioni oppure un’avventura, una scommessa, un tentativo di fare impresa? Probabilmente la seconda.
C’è poi chi la carriera l’aveva messa in piedi, in tempi migliori. Carriera improvvisamente stroncata da un licenziamento, magari per efficentare (parola molto di moda) la struttura costi dell’azienda o dello studio dove ci si era “fossilizzati” da 10 anni. Forza lavoro spesso qualificata e competente, difficile da reinserire nel mercato lavorativo, che decide di investire i propri risparmi per reinventarsi imprenditori agricoli. Questa è “necessità”.
Ci sono altri che coscientemente, ed intenzionalmente, decidono di non avviare la carriera preconfezionata per cui si erano preparati, o che decidono di punto in bianco di mollare l’ufficio e reinventarsi in campagna.
I motivi sono da ricercare innanzitutto nel diverso clima sociale che ruota intorno all'agricoltura. La generazione giovane d’oggi è figlia di un’Italia prevalentemente operaia ed impiegatizia, a differenza di quanto avveniva 20-30 anni fa, quando i giovani provenivano spesso da famiglie contadine. Da che mondo è mondo, l’uomo è scontento di quello che ha e spera per le prossime generazioni qualcosa di diverso. I padri di una volta sognavano l’ufficio e l’attività impiegatizia per i propri figli, a differenza di un’attività agricola sinonimo di arretratezza ed ignoranza. I padri di oggi, scontenti di quello che fanno, non avversano a priori l’agricoltura e non la considerano degradante come un tempo. In una società fortemente dominata dalle convenzioni e dall’apparire, è una forte barriera e retaggio del passato che viene a crollare.
Un secondo motivo è riconducibile all’ondata della green economy e della cosiddetta decrescita felice. Si ricercano stili di vita più sani ed a contatto con la natura, da contrapporre alla vita frenetica e vuota delle città e delle grandi carriere. Chi me lo fa fare? In un recente articolo avevamo affrontato il fenomeno dell’autoproduzione di frutta e verdura e dei razionali emotivi e psicologici che ne stanno alla base.
Un terzo motivo, altrettanto importante, è un mero calcolo di convenienza. Basta guardare l’andamento del prezzo di molti prodotti agricoli per rendersi conto che fare l’imprenditore agricolo oggi è sempre più conveniente. Tanto per fare qualche esempio, in base ai dati FAO, il prezzo del pomodoro è cresciuto dell’85% in 10 anni, quelle delle arance del 113%, le mele dell’80%
Scelta o necessità? Probabilmente scelta e necessità
Consigli per aspiranti agricoltori
Inventarsi imprenditori agricoli non è facile. La prima domanda potrebbe essere: cosa coltivo? La scelta andrebbe fatta in logica di mercato. Quali sono le colture per cui la produzione è scarsa, i prezzi sono in aumento e che garantiscono maggiori possibilità di vendita e profitto? Per rispondere a questa domanda, un raccolta statistica dai portali FAO ed INSTAT può essere un ottimo inizio. Non pensare poi ovviamente al consumo alimentare dei propri prodotti. Utilizzi industriali (ad esempio per cosmesi o farmacia) possono giustificare la produzione di una particolare varietà, e capire tramite esperti quali sono i cambiamenti in atto può essere fondamentale per muoversi con anticipo nel mercato. Andrebbero poi ovviamente privilegiate le culture più “facili” da coltivare (niente frutta tropicale per iniziare tanto per fare un esempio).
Non fare tutto da soli. Costruire una squadra, un progetto, è fondamentale anche in questo campo. Le giovani aziende di maggior successo sono quelle basate su un mix di competenze che permettono di gestire a tutto tondo la catena del valore, puntando in particolare ad accorciare le distanze con il consumatore. Fate rete con il comparto agricolo di riferimento.
Cercate per quanto possibile di minimizzare il capitale investito. Affittate il terreno invece di comprarlo, cercate in affidamento un terreno comunale abbandonato, prendete accordi con altre aziende per la condivisione di trattori e macchinari agricoli.
Non dimenticate infine di adattare il vostro progetto ai ritmi della natura. Biologico, stagionalità, compostaggio e scelta di varietà capaci di adattarsi ed amalgamarsi al territorio.
Dimenticavo: olio di gomito, in abbondanza!