Di startup in Italia ne nascono a decine, ogni mese. E la domanda che ci si pone sempre a fine anno, quando si tenta di trarre le somme dell'evoluzione del nostro Paese è: quale possibilità hanno le startup in Italia di avere successo, di diventare imprese solide? Ma anche: quali sono le discriminanti che portano un'idea di business, un team, a distinguersi dagli altri, ad affermarsi nel mercato italiano o a espandersi in quelli internazionali? Tentiamo di rispondere a queste domande anche andando oltre i numeri, per presentare casi di aziende che, nate pochi anni fa, sono riuscite a crescere, ad aumentare il numero di dipendenti, così come il fatturato, senza però smettere di innovare.
La prima storia che racconteremo è quella di Franco Petrucci, Founder e CTO di Decisyon. Franco Petrucci, dopo la laurea in Ingegneria Elettronica presso l’Università La Sapienza di Roma, fonda due imprese (FP e Unyversys) e nel frattempo partecipa a progetti di diverse multinazionali tra cui Johnson & Johnson, Pfizer, Wyeth, Bristol-Myers Squibb, e Trelleborg.
Nel 2005 Petrucci fonda a Latina Decisyon, una startup che ha sviluppato un sistema di collaborazione e decision making che, partendo da un’analisi approfondita dei dati aziendali, strutturati e non strutturati, è in grado di integrare analisi, pianificazione ed esecuzione in un unico ambiente.
Nel 2012 Decisyon ha ricevuto 15 milioni di round A, il più grosso round di venture capital su una startup Italiana da parte di un investitore americano negli ultimi 10 anni. Per Petrucci l'obiettivo principale del round è quello di completare il processo di internazionalizzazione.
Un anno dopo siamo allora andati a farci raccontare da Petrucci la sua esperienza tra Latina e la Silicon Valley.
Non è usuale per una startup italiana ricevere finanziamenti da VC americani. Voi come ci siete riusciti?
E’ molto difficile per una startup italiana attrarre venture capital americani. Per quanto ci riguarda c’è stato un lungo lavoro di preparazione di quasi 3 anni.
In quel periodo passavo il cinquanta per cento del mio tempo in California, facevo avanti ed indietro dall'Italia a Palo Alto. I primi contatti li ho cercati online. Poi ho fatto un lungo lavoro con gli advisor americani, fino a quando siamo riusciti a far nascere l'interessa da parte di alcuni di loro. Da lì tutto è partito.
Qual è stato il processo che ha portato al finanziamento?
C'è stata una fase di due diligence e quindi una fase di negoziazione. L'investimento è stato guidato da Axel Johnson Inc. fondo di private equity newyorkese, e vi hanno contribuito una serie di investitori USA e UK, non solo economicamente ma anche con le loro competenze.
Questo ha consentito la creazione di un team d'eccezione, da Tom Cowan di IBM a Bill Ryan di Apple, diventato Direttore Marketing. Poi anche Ben Hennelly di Axel Johnson ha deciso di venire a lavorare con noi. Da loro ci è stato così dato un grande supporto all'execution e al go to market.
Da allora quali sono stati i passi compiuti da Decisyon?
Da settembre 2012 siamo riusciti ad accelerare lavorando sull’ottimizzazione, sul posizionamento e al lancio della nuova versione.
Ora abbiamo quasi 100 persone che lavorano per Decysion. 15 sono negli Stati Unitia a Stamford, Connecticut, il resto rimane in Italia, dove abbiamo tenuto tutta la ricerca e sviluppo. E continuiamo ad assumere.
Ora Decysion ha 200 clienti (Telecom Italia, Janssen, Intesa San Paolo) in 11 paesi. Imprese, aziende manifatturiere e brand global usano gli strumenti di Decisyon per analizzare in modo collaborativo i dati e individuare processi alternativi. I risultati per le aziende sono stati l'aumento dei ricavi, la riduzione delle spese operative del 10% - 15% e del tempo richiesto per i processi di planning del 20% - 35%, l'aumento della soddisfazione dei clienti del 20% - 50%, l'accelerazione dell'innovazione.
Nella vostra crescita quale ruolo ha avuto l'ecosistema italiano?
L’ecosistema italiano può aiutare una persona che non ha mai fatto startup, dando un supporto importante. Il problema è che in Italia non ci sono soldi. Nel momento in cui si vuole fare il salto in Italia è veramente difficile. Ci sono solo quattro o cinque realtà che possono finanziare.
Diversa la situazione in Paesi come la Scandinavia, la Germania, la Francia e l'Inghilterra, che da due o tre anni cominciano a funzionare come sistemi. Se dovessi cominciare da capo non farei il salto oceanico preferirei cercare investimenti in Europa, perché ragionano con una visione europea non nazionale.
Perché gli stranieri sono restii ad investire in startup italiane?
L'Italia è un Paese poco attraente per gli investitori. Innanzitutto a causa della burocrazia. A me è capitato personalmente da pochi giorni di dover fare una stessa pratica in Italia e negli Stati Uniti. In Italia sono state necessarie 3 settimane e il coinvolgimento di un avvocato e di un notaio. Negli Stati Uniti sono invece bastate poche ore. Per gli investor il sistema Paese italiano non è attraente e la crisi economica italiana di certo non aiuta.
Nessuno vuole investire in un Paese così, perché dal punto di vista degli investor psicologicamente blocca.
Però negli ultimi anni si sta andando nella direzione giusta. La parola startup è diventata hot anche nella legislazione. Speriamo che si continui così. Perchè l'Italia non manca di imprenditori e di creatività. Io ho lavorato con gli ingegneri di mezzo mondo e gli italiani sono sempre tra i più bravi.
Un’ecosistema come quello della Silicon Valley è irripetibile. Ci ha provato in Israele ma sono riusciti solo in piccolo. Quello che si può fare è però facilitare la creazione di startup e l'accesso ai finanziamenti. E poi cercare di indirizzare meglio lo sforzo formativo. Come sistema Paese è necessario focalizzare gli sforzi su alcune tematiche che serveranno alle future generazioni per poter meglio entrare nel vostro mondo, come l'Inglese e l'Informatica.