Negli ultimi anni il Digital Marketing sta vivendo un'importante fase di cambiamento, caratterizzata da un nuovo mix di competenze, vision e skill che completano questo profilo professionale. Ma quali nuove conoscenze sono necessarie per svolgerlo con una vision innovativa?
Risposta complessa, perché complesso è il contesto in cui si muove: tra l'esplosione del mobile - che ha fortemente coinvolto anche il retail marketing - e il futuro prossimo rappresentato da "temi caldi" come quelli dell'Internet of Things, diventa sempre più importante capire quale possa essere l'indirizzo per strategie di marketing digitale capaci di coinvolgere armoniosamente nuovi trend digitali, attività offline e innovazioni di rottura.
Per saperne di più, abbiamo intervistato Gianluigi Zarantonello, Responsabile delle tecnologie rivolte al cliente finale di un importante Gruppo retail italiano. Oltre all'importante ruolo aziendale, Gianluigi si occupa di formazione e divulgazione su digital strategy, multichannel retail e altri temi correlati in master, corsi universitari, conferenze e attraverso il suo blog.
Buongiorno Gianluigi, e benvenuto su Ninja Marketing. Dal 2015 ha cambiato ufficialmente il suo ruolo all'interno della sua azienda, passando dalla responsabilità del marketing digitale ad una posizione più ibrida tra business e tecnologia. Può spiegarci meglio che cosa fa e le motivazioni di questa evoluzione?
Dopo quasi quindici anni di digital marketing, di cui gli ultimi otto nell'azienda in cui lavoro tutt'ora, ho colto l'opportunità di evolvere il mio focus professionale, andando a fare quello che nel mondo anglosassone assume vari nomi, tra cui il più riconosciuto è Chief Digital Officer. Al di là dei titoli, il tema è quello della convergenza fra IT e marketing (e business), che dopo tanti anni di sviluppo parallelo si sono trovati ad avere in molti casi due insiemi di tecnologie che ora devono per forza di cose dialogare in un unico ecosistema. In più parlare ancora di marketing (e di business) digitale come di una disciplina a sé è in buona parte poco sensato perché il digital è pervasivo e deve essere vissuto in modo coerente, non svincolato dalla strategia aziendale.
Ecco che un ruolo come il mio si pone da ponte culturale e operativo tra la tecnologia - sempre più complessa e veloce - e chi si occupa di business ma servendosi di tali strumenti. Quest'ultimo profilo ha bisogno di pensare alle opportunità insieme a chi è competente, ma anche propositivo e dentro le logiche commerciali.
Mi occupo poi di un altro tema fondamentale rispetto all'ecosistema: la governance. Non si può impedire l’accesso alle tecnologie in modo parzialmente autonomo da parte di un numero sempre più ampio di persone. Dal BYOD alle soluzioni software pronte, tutti possono usare (ed acquistare) strumenti un tempo necessariamente centralizzati. Proprio però perché sempre più persone usano (e acquistano) direttamente gli strumenti digitali è importante avere un supporto di regia specifico che aiuti a prendere le strade corrette.
Digital transformation: in che modo le aziende stanno cambiando, spinte dalla leva digitale? Qual è il cambiamento più netto rispetto alle strategie di marketing e comunicazione di pochi anni fa?
Sicuramente stanno assumendo sempre più importanza i dati: se bene gestiti permettono grandissime opportunità di dialogo con il cliente, che progressivamente diventa il centro di tutto.
Inoltre si sta sempre più svincolando il contenuto dal contenitore, a favore casomai del contesto di fruizione: i nuovi consumatori si aspettano di passare da un device all'altro in modo fluido e la differenza fra fisico e virtuale è sempre più sfumata. Tutto questo porta ad un progressivo abbattimento dei silos, che siano essi relativi ai dati, ai processi, alle competenze. È un cambio di mentalità importante che crea necessità di dialogo interfunzionale (come nel mio caso) e di visione comune.
La strategia di marketing poi non può più essere legata solo a un media o strumento in particolare, perché non possiamo davvero sapere per quanto esso avrà successo prima della cosiddetta next big think. Viceversa, serve un pensiero multicanale in cui però è il valore del brand, del prodotto e del servizio che fa la differenza, servendosi della migliore tecnologia del momento per attuare i propri obiettivi. Con questo approccio quindi l'azienda non teme la nuova tecnologia perché la saprà modellare sulla sua strategia, e non viceversa.
Mobile, desktop, Google Glass, iBeacon e molto altro ancora: come sta cambiando l'online customer journey spinto da queste innovazioni e quali sono le principali sfide all’orizzonte?
Come già accennato, il confine fra fisico e virtuale e quello tra un mezzo e l'altro sfuma. L'online customer journey si interseca continuamente con quella offline e il cliente si aspetta sempre un'esperienza all'altezza. Tutto questo a fronte di un veloce succedersi di novità, a ritmo continuo. Solo pensando agli strumenti di marketing technology, basti pensare che Scott Brinker nella sua annuale Marketing Technology Landscape Supergraphic ha mappato quasi 1.900 player, in costante raddoppio anno su anno.
Bisogna quindi sperimentare molto, per capire le potenzialità di ogni nuovo strumento, ma allo stesso tempo bisogna mappare e immaginare degli obiettivi strategici di fondo che devono dare sostanza e coerenza alle varie prove.La tecnologia infatti non va scelta solo in base alla moda del momento, per non restare prigionieri di investimenti sbagliati e affrettati.
E infine bisogna misurare, misurare, misurare: è finito il tempo delle impressioni e delle sensazioni, l'opportunità di comprensione del cliente offerta da questi nuovi strumenti non lascia alibi a chi ancora si rifiuta di affrontare in modo scientifico la customer journey.
Oggi per aziende e brand si parla molto della necessità non solo di integrare il mobile all’interno delle strategie digitali, ma di creare proprio strategie mobile ad hoc. Lo ha suggerito anche Brian Solis in un articolo pubblicato recentemente da Advertising Age: lei cosa ne pensa?
Strategia è la parola chiave. Il mobile è una di quelle rivoluzioni che hanno cambiato il modo di vivere delle persone, insieme con il social e il cloud: si parla quindi da tempo di "anno del mobile", eppure credo che non sia ancora così compreso in modo maturo dalle aziende. Io per esempio dal 2007 a oggi ho investito molte energie sul design responsive e sulla possibilità di fluire in modo seamless dei siti e dei servizi online, e devo dire che i risultati sono stati sempre ottimi, anche se magari meno roboanti di altre iniziative sul piano della comunicazione. Le app poi vi si affiancano per offrire in più tutto ciò che un sito non può fare.
Quante aziende invece ancora oggi hanno delle pagine web non fruibili da cellulare, magari affiancate da app senza particolari contenuti e funzionalità che siano davvero distintive per spingere le persone a scaricarle e - soprattutto - ad utilizzarle anche dopo la prima volta? Questo a mio avviso nasce dalla scarsa comprensione dell'uso reale che i clienti fanno di questo mezzo, e ancora una volta ci si fa prendere da mode e attività tattiche. I cellulari e i tablet invece sono il vero anello di congiunzione fra il mondo fisico e quello digitale, possono essere attivati contestualmente alla posizione geografica in cui si trovano, sono sempre con noi. Ma devono essere usati in combinazione con altri mezzi e in accordo con una strategia complessiva, visti da soli come un altro silos non possono esprimere davvero la loro forza.
Quali sono secondo lei i principali trend di quest'anno legati all'applicazione della tecnologia nel settore retail?
Anche se è un termine abusato, il primo è la multicanalità, quella vera però. Il retail è ancora per forza di cose un business molto fisico: negozi, merci, persone fisiche che consigliano i clienti. Ma allo stesso tempo sono sempre più di più i clienti che si informano online (anche mentre sono in store, tramite il cellulare) oppure che dopo una visita fisica al punto vendita perfezionano un acquisto attraverso l'e-commerce. Conoscere il loro customer journey e riuscire a parlare loro in modo efficace al momento giusto e con lo strumento giusto apre straordinarie possibilità di business. Il tutto in modo sempre più misurabile scientificamente.
Il secondo trend è la customer experience, che deve essere sempre al top. In questo senso la tecnologia può essere un grandissimo fattore perché la aumenta, prolunga e rende più distintiva. Il rischio però è dietro l'angolo, perché se non ben orchestrata con gli altri momenti di contatto può essere controproducente, perché troppo scarsa o, in certi casi, troppo aspirazionale rispetto alla promessa che possiamo poi mantenere nello store fisico.
LEGGI ANCHE: Storytelling e Internet of Things: la nuova frontiera della narrazione tra Smart Home e Augmented Reality
Infine, legata a doppio filo con i temi precedenti, c'è tutta la sfera delle opportunità legate al geomarketing e al proximity marketing. Sto leggendo in questi giorni il libro Location is (still) everything di David Bell, che studia proprio l'impatto della propria posizione geografica nel mondo fisico sui modi di fruizione del digitale, un concetto meno intuitivo del suo viceversa ma altrettanto rilevante. La tecnologia di oggi, tra mobile, iBeacon, geofancing e quanto altro inizia ad essere matura per poter lavorare davvero su questi scenari, anche oltre la semplice sperimentazione esplorativa. Questi mix di fisico e digitale sta facendo sì che nel mondo i grandi retailer si stiamo attrezzando con dei grandi team, anche di centinaia di persone, dedicate alle tecnologie digitali in senso esteso. Wallmart, Macy's, Mark&Spencer e molti altri stanno facendo investimenti che chi non è nel settore fatica a credere davanti ai numeri; ma anche in Italia il trend è in movimento e nei miei ultimi otto anni nel settore l'ho percepito nettamente, specie nei 24 mesi appena trascorsi.
Un grazie a Gianluigi Zarantonello per la testimonianza: Ninja, siete pronti e avete tutte le skill per partecipare a questo cambiamento importante nelle professioni digitali da veri protagonisti?