"Gli uomini e le donne sono uguali" cantava Cesare Cremonini. Ma anche no. Le differenze di genere esistono, soprattutto biologicamente parlando, e anche dal punto di vista marketing ignorare queste esigenze sarebbe inusuale, se non addirittura stupido: vendere mascara agli uomini e dopobarba alle donne non sembra proprio una buona mossa strategica.
Entrando in un terreno più spinoso si potrebbero azzardare anche delle differenze analizzando la mente dei consumatori in base al genere. Sono stati fatti molti studi a riguardo, che comprendono ricerche nel campo delle neuroscienze, e a livello generico esistono effettivamente delle differenze che si riflettono soprattutto sui comportamenti d'acquisto.
Donna Haraway ha analizzato alcuni concetti base del Gender Marketing e ha evidenziato che le differenze tra uomini e donne si manifestano in talmente tanti modi che ignorarli potrebbe sconfiggere la commercializzazione di un bene.
Le donne di solito tendono ad avere comportamenti d'acquisto strategico, mentre gli uomini sono più propensi all'acquisto d'impulso; le donne tendono a considerare le opinioni altrui per prendere una decisione, mentre gli uomini considerano la decisione altrui come guida per formare le proprie opinioni, e via dicendo.
Posto quindi come concetto chiaro il fatto che delle differenze sussistano, hanno senso le strategie di Gender Marketing realizzate finora?
Lasciamo spazio alle definizioni: il Gender Marketing è una forma di commercializzazione fortemente legata all'identità di genere che spesso (e purtroppo) si realizza in una comunicazione ampiamente basata sugli stereotipi di genere.
Questa strategia, è vecchia quanto il marketing stesso, poiché le prime pubblicità erano dirette quasi esclusivamente ad un pubblico maschile con forti caratterizzazioni che sfociavano quasi nel sessismo. Un primo giro di boa avviene negli anni '90 quando si comincia a capire appieno il potere d'acquisto delle donne, e la comunicazione diviene sempre più unisex (il famoso film con Mel Gibson What Women Want ne è un esempio lampante).
Ad oggi, però, il Gender Marketing sembra tornato, con una facciata più politicamente corretta rispetto alle origini, ma sempre con la stessa idea di fondo.
La cultura, però, nel frattempo è cambiata, e i consumatori non ci stanno.
La pubblicità della discordia è stata quella dei pannolini Huggies: le diverse necessità a livello fisico, che possono essere viste come un buon adattamento di prodotto, sono state comunicate in una maniera terrificante, riducendo le differenze tra bimbi e bimbe a semplici stereotipi. Huggies tra l'altro sta facendo una comunicazione sui social completamente fallimentare, proponendo anche la Charlie Charlie Challenge, che ha scatenato polemiche a non finire.
La pubblicità è stata ritirata dall'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria e nel comunicato si legge:
Una tale narrazione è suscettibile di porsi in contrasto con l’articolo 10 del Codice, laddove prevede il divieto di “ogni forma di discriminazione, compresa quella di genere.
Ma non c’è solo la Huggies. Nivea ha da anni linee di deodoranti diverse per uomini e donne, anche qui un possibile adattamento di prodotto sensato in base alle diverse profumazioni. Ma nelle ultime campagne pubblicitarie fa passare l'idea che la donna sia incredibilmente multitasking ed esente dalla stanchezza mentre gli uomini abbiano bisogno di un deodorante più a lunga durata per le intense giornate di lavoro.
E che dire poi di Mentadent e del dentifricio per soli uomini! Qui l'adattamento di prodotto è completamente ingiustificato in quanto la struttura dei denti per uomini e donne è pressoché identica. La giustificazione riguarda i comportamenti di consumo: secondo i marketing manager di Mentadent gli uomini fumano, bevono vino rosso e caffè e quindi necessitano di dentifrici più sbiancanti. O hanno fatto un errore madornale o il target di donne che acquista Mentadent evidentemente ha stili di vita super salutari a base di té verde.
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Concludendo cosa si può dire di questo ritorno al Gender Marketing, in un periodo in cui tra l'altro ideologia gender promossa anche da alcune istituzioni religiose sta tornando a farsi sentire, scatenando la polemica?
Se è giusto e intelligente rivolgersi a un target adeguato e adattare quanto più possibile il prodotto in base alle esigenze del consumatore, è anche controproducente attuare strategie di comunicazione destinate al fallimento.
La comunicazione migliore potrebbe essere basata sulle differenze biologiche che hanno spinto verso l'adattamento, fornendo quindi al consumatore non solo una pubblicità ma anche un piccolo contenuto "editoriale" che spinge a un'ulteriore informazione magari su altri canali aziendali.
In questo modo si evita di realizzare prodotti e pubblicità entrati nell'Olimpo degli epic fail, come Bic for Her, sbugiardata da Ellen Degeneres.
Cosa ne pensate? Credete che abbia senso parlare ancora di Gender Marketing? Avete in mente strategie che potrebbero essere più efficaci rispetto a quelle attuali?