Ogni cliente può ottenere un’auto colorata di qualunque colore desideri, purchè sia nero
Cominciava così, nei primi del ‘900, la storia del settore automobilistico. Cominciava con la differenza basilare tra possedere un cavallo, oppure un’auto. Si è evoluta col possedere un’auto nera, oppure colorata. E si è arrivati ai giorni nostri, con la differenza non poi così fondamentale tra possedere una Ferrari o una Panda 4x4.
E da pochi mesi a questa parte, da quando si è resa ufficiale la partnership tra FCA ed Alphabet (società cui fanno capo Google ed altre imprese controllate operanti in diversi settori, dalla tecnologia agli investimenti finanziari), un’ulteriore rivoluzione che sta prendendo piede sempre più, che sta diventando realtà sempre più velocemente e nello stupore collettivo: l’auto senza conducente, la “self-driving car”.
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Ci sono opinioni e stime contrastanti in merito al fenomeno: chi dice che nel giro di cinque anni ci saranno oltre 10 milioni di vetture senza conducente nel mondo, chi si attesta su stime più caute, ipotizzando questa futura realtà come normale tra oltre venti anni. L’unica certezza ad oggi è che non stiamo più parlando di un’utopia, bensì di una grandissima occasione, soprattutto per i colossi del mondo dell’advertising. Cerchiamo di capire il perché.
Partiamo da un presupposto fondamentale: mediamente, spendiamo circa 50 minuti della nostra giornata in macchina. 50 minuti, teoricamente, focalizzati sulla guida. Un’auto “self-driving” permetterebbe però di svincolare l’attenzione del conducente dalla strada, dandogli l’opportunità di dedicarsi ad altre attività lungo tutto il tragitto. Per noi guidatori, vuol dire più relax. Per le imprese, vuol dire 50 minuti in più di eventuale attenzione per vedere pubblicità, per utilizzare i nostri smartphone, per essere ancora più coinvolti nel mondo digitale che ci circonda.
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Tre sono dunque le principali modalità con cui la rivoluzione delle “self-driving car” influirà sul settore della pubblicità, che sia tra cinque o venti anni. Andiamo con ordine.
Che ne sarà della cartellonistica? Ancora oggi una delle principali fonti d’investimento, i cartelloni pubblicitari dovranno necessariamente vivere un’evoluzione per poter rimanere uno strumento utile ed efficace. Già adesso sappiamo tutti quanta importanza diamo ai vari cartelloni che intravediamo lungo la strada. Figuriamoci se non dobbiamo nemmeno guardarla, la strada.
Le nuove modalità prevedono dunque una cartellonistica “smart”, con la funzione principale di raccogliere dati piuttosto che attirare l’attenzione. Insomma, noi non vediamo il cartellone, ma lui vede noi. Big brother 2.0 in arrivo.
Che ne sarà della radio? Intrattenimento, compagno di lunghi viaggio, fedele amico. Ma fintanto che serve come passatempo per superare la noia, siamo onesti. E se potessimo guardare una serie televisiva? E se potessimo guardare un film? Chi, sinceramente, sceglierebbe di spendere cinque minuti per trovare la frequenza giusta? (Eccezion fatta per Radio Maria, ovviamente).
In ultimo, le mobile apps. Non appena si hanno due minuti liberi, le alternative sono poche: attacco un villaggio del clan rivale, supero quel dannato livello che mi blocca da un mese, mi guardo un video veloce su YouTube. E in questo caso la questione è molto semplice: più tempo speso sulle mobile apps vuol dire più spazio per il mobile advertising.
L’evoluzione del settore automobilistico verso le “self-driving car” porterà dunque a strade potenzialmente più sicure, certo, ma l’impatto che avrà sul mondo pubblicitario, soprattutto digitale e dei dispositivi mobile, non è assolutamente secondario o trascurabile: potremmo trovarci tra 15 anni a guardare la trentaquattresima stagione di Grey’s Anatomy in macchina, pensando a come le “sel-driving car” siano state l’inizio della fine della radio e dell’outdoor advertising.