Da un recente sondaggio è risultato che l'84% dei professionisti del marketing e della comunicazione lancerà almeno una campagna che preveda il coinvolgimento degli influencer (nei prossimi 12 mesi). Sembra proprio che l'Influencer Marketing sia un fenomeno ancora destinato ad espandersi e a dominare la scena anche durante il 2017.
I dati dimostrano che ricorrere alle Digital PR incrementa di circa 5,2 volte l'efficacia della propria campagna marketing e, quindi, influenza concretamente anche le scelte d'acquisto dei consumatori. Le aziende sono ben disposte a investire in campagne di Influencer Marketing, poco importa che le persone riconosciute come opinion leader dal pubblico del web non abbiano né arte né parte, quello che conta è avere un ritorno in termini di visibilità di qualità.
La cosa interessante è che, come tutte le rivoluzioni per cui non esiste ancora un listino prezzi ampiamente riconosciuto e rodato, la maggior parte dei brand manager faticano ad allocare un ragionevole valore economico per servizi di questo tipo, pertanto sono disposti a pagare, su per giù, qualsiasi cifra per della sana ed efficace pubblicità.
La mission dei brand non è più parlare al maggior numero di persone possibile, ma intercettare, con delle campagne di comunicazione mirate, quelle nicchie di pubblico che gli garantiranno un reale ritorno d’investimento. Et-voilà: quelli che erano semplici long tails influencer, con qualche follower – pochi ma fedeli – su Twitter o su Youtube, oggi guadagnano cifre a 4 zeri per la pubblicazione di un paio di post.
Gli influencer sono dappertutto: Facebook, Instagram, Twitter, Youtube, Snapchat e persino Musical.ly ha dato vita a giovanissime web celebrities.
Ma qual è la forza trainante di queste figure ibride, a metà strada tra testimonial e consumatori? Può essere riassunta in 4 keywords: autenticità, normalità, storytelling, inspiration.
Influencer Marketing: la reputazione è tutto
I numeri contano, sì, ma solo per entrare nella Hall of Fame delle web star “commercialmente appetibili”. Quando si pianifica una strategia di Influencer Marketing si parte facendo una scrematura iniziale, escludendo tutti coloro la cui fama sociale non è rappresentata da un numero di seguaci accettabilmente alto. Tuttavia, l'esposizione è solo uno degli obiettivi di mercato dei brand, e neanche il più importante. L'associazione è il punto cruciale della strategia, e quindi parliamo della reputation dell'influencer che, associata al marchio, ne aumenta il brand value.
“Molte delle celebrity di Instagram scattavano foto molto belle. Ma stiamo assistendo a un cambiamento: non si tratta più di bellezza, ma della storia che raccontano”.
Quella di Kevin Systrom, co-fondatore di Instagram, è un'analisi che dimostra una verità sacrosanta: la forza trainante degli influencer deriva dal fatto che vengono percepiti come normali.
"Non siamo modelle o attrici, ma persone vere, libere, che giocano, si esprimono e provano vestiti. È questo quello che piace".
Ed ecco che si sviluppa un vero e proprio paradosso: come può una persona normale, quindi percepita come spontanea e integerrima, scendere a compromessi con i brand – e, in un certo senso, vendere una parte della propria storia al fagocitante mondo del marketing – e, nonostante questo, mantenere intatto il proprio candore pubblico?
Il lavoro dell'influencer non è sempre così facile
Per alcuni versi sembra un gioco da ragazzi: fare dei begli scatti e alimentare quella sana invidia positiva in chi li segue per sognare e chi li osserva e li studia con grande attenzione perché, chissà, il prossimo a essere sulla cresta dell'onda del web potrebbe essere lui/lei. La “raggiungibilità” di questo mondo lo rende così attraente per l'aspirante modella, per lo studente e per tutti coloro che sperano, un giorno, di ritrovarsi ad essere altrettanto ricchi e famosi, pur non avendo nessun talento particolare.
Non è tutto oro quello che luccica – e vale anche per le borchie sulle giacche sobrie della Ferragni – poiché “fama” significa essere sempre sul filo del rasoio, e i migliori influencer sono coscenti del fatto che quel pubblico che li ammira con tanta devozione potrebbe abbandonarli da un giorno all'altro. Per questo prestano attenzione ad ogni contenuto e, quando sono chiamati a promuovere un prodotto, lo fanno entrare nella propria storia personale (unica, in quanto tale), in modo il più naturale e spontaneo possibile, senza sporcare il proprio storytelling, né perdere coerenza.
L'arte di fare product placement
Chi lavora nel mondo della comunicazione riuscirà facilmente a riconoscere delle operazioni di product placement, anche le più velate, ma come funziona per tutti gli altri? Qual è il confine da non valicare per non far sentire “tratti in inganno” i nostri follower?
In America, a seguito di varie lamentele, la Federal Trade Commission ha imposto l'osservanza di alcune linee guida per garantire agli utenti una maggiore trasparenza, tra cui l'obbligo di inserire nelle caption dei post a fini promozionali degli hashtag dedicati come #paid o #ad.
Apparentemente, questo snatura completamente un fenomeno – quello degli influencer – che deve il suo successo soprattutto al fatto che le voci di queste persone non somigliano a quelle delle televendite, né ai testimonial vecchia scuola – tirati a lucido per promuovere marchi e prodotti che non avrebbero mai utilizzato nella propria vita – ma, semmai, ricordano la genuinità del consiglio di un'amica. Fare outing, ammettendo che questi messaggi autentici e spontanei in realtà vengono pilotati dal guizzo creativo delle agenzie di comunicazione e da quello strategico dei reparti marketing, non li rende così distanti da quegli spot televisivi che sono, per molti, solo rumore di fondo.
Internet ha aumentato esponenzialmente la nostra esposizione ai messaggi pubblicitari e non solo tramite banner o Facebook Ads, ma anche attraverso l'influencer marketing.
Così, quando guardiamo la TV e arriva il momento della pubblicità, tiriamo fuori il nostro smartphone – ormai, un automatismo – e ci rifugiamo in un mondo fatto di fughe virtuali in paesaggi paradisiaci, fisici scolpiti ed esposti, party e vestiti da urlo, senza renderci conto che, mentre facciamo lo scroll del nostro Instagram, veniamo inconsciamente ricatapultati nel mondo dell'advertising.
L'importanza del personal branding
Oggi gli individui stanno rimarcando la propria centralità, in una sorta di rinnovato Umanesimo. Gli influencer rendono pubblici i propri momenti più intimi e riescono a ottenere l'attenzione delle persone, le quali vogliono che gli venga riconosciuto del valore.
Questa è la vera rivoluzione: la condivisione in real time delle informazioni e la possibilità di avere un contatto diretto con i propri inspirer e poter commentare e giudicare i loro contenuti, rende la comunicazione sul web partecipativa, condivisa e inclusiva.
Gli influencer motivano le persone a fare esperienze e a dire la loro – regalano alla propria community l'illusione di essere ascoltati, la percezione che il loro giudizio abbia un peso reale – mentre, a sua volta, il pubblico rappresenta l'unica ragion d'essere degli influencer: se non c'è nessuno che ascolta, che senso avrebbe comunicare – e, soprattutto, essere pagati per farlo?
In sostanza, l'Influencer Marketing genera opinioni disparate: c'è chi crede fermamente che il coinvolgimento degli influencer possa portare del valore al proprio brand e chi li vede come fenomeni da baraccone alla mercè dei pubblicitari, volti solo a favorire la mediocrità e annullare il concetto meritocrazia.
Tuttavia, è inutile fuggire da operazioni di Digital PR e continuare a imporre strategie di marketing sulle quali ormai è scesa la polvere; a prescindere da quale sia la propria scuola di pensiero, quello degli influencer è un fenomeno da non ignorare e, anzi, da tener d'occhio per prepararsi a coglierne ogni evoluzione.
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