L’annuncio di una nuova app, in uscita su app store il 21 marzo, attira l’attenzione e la preoccupazione di molti. Anche di Facebook che subito annuncia un possibile veto. Stiamo parlando di Facezam, che viola le policy per l’uso spregiudicato dei dati degli utenti: secondo lo sviluppatore, basta puntare il proprio smartphone verso una persona per avviare il riconoscimento facciale e scovare il suo profilo Facebook.
“La privacy è finita, Facezam è qui” è la tagline ideata da Jack Kenyon, lo sviluppatore.
Alla fine tutto si rivelerà una bufala o, se si vuole, una mirabile campagna di lancio di un'agenzia pubblicitaria di Londra, la Zacozo: se volete rendere virale un’idea e attirare l’attenzione, sappiamo come fare, dicono nel loro sito. Anche se non possiamo avere i dati di questa campagna, pare che la loro affermazione abbia fondamento.
Ma perché l’annuncio di Facezam ha avuto una così grande ripercussione?
Facezam, secondo le prime dichiarazioni, sarebbe stata in grado di riconoscere un volto confrontando quello inquadrato con quelli presenti nel database di Facebook in 10 secondi.
In un attimo o poco più sarebbe stato possibile sapere chi è quella bella ragazza che avete incrociato, quel bell’uomo che vi ha sorriso al bar. Niente di male, no?
Non è detto. Perché altri scenari più cupi sono possibili.
“Tutti hanno tre vite” disse Gabriel Garcia Marquez al suo biografo, “una vita pubblica, una vita privata e una vita segreta”. Quella privata da condividere con pochi amici, quella segreta da tenere solo per se stessi.
Grazie ai social network (o per colpa loro) i confini tra vita pubblica e vita privata sono quasi scomparsi, e con applicazioni come Facezam potrebbero comparire le prime crepe sul muro che protegge la vita segreta di ciascuno.
La privacy è oggetto di vivaci e importanti discussioni, con visioni e percezioni molto diverse da persona a persona. Per alcuni la privacy è un ossimoro nei social e, se non si ha nulla da nascondere, secondo loro non c’è nulla di cui preoccuparsi. Altri sostengono che vada bene fare qualche concessione rinunciando a un po’ di privacy, ma mantenendo il controllo dei propri dati.
Molti altri si preoccupano della propria privacy se si tratta di proteggerla da una vicina curiosa, un ex-geloso o un corteggiatore troppo insistente.
Anche se non si avesse nulla da nascondere, ci sono situazioni della vita quotidiana e circostanze eccezionali che è legittimo voler vivere anonimamente.
Può essere una visita medica delicata, un colloquio di lavoro preliminare, partecipare a una conferenza, un meeting, una manifestazione.
Nelle varie discussioni sulla privacy lo spauracchio ricorrente è il grande fratello di George Orwell.
Ma forse ci si dovrebbe preoccupare più dei risvolti Kafkiani: Josef K., protagonista de “Il processo" viene accusato da un misterioso tribunale di essersi macchiato di una colpa non meglio determinata. In maniera simile, l’insieme dei dati e metadati che è possibile raccogliere su ciascun utente, può bastare per far perdere una opportunità di lavoro, l’ammissione ad un club o università o, peggio, essere discriminati o perseguitati per il proprio orientamento religioso o politico.
Paure infondate?
Facezam è risultato una bufala, ma altre app di queste genere sono sorte nel tempo. Alcune sono state dismesse, altre sono disponibili.
Nametag, sviluppata da Google per i suo Google Glass, fu prima bloccata da Facebook e poi eliminata del tutto da Google stesso.
Su VKontakte, famoso social network russo, è disponibile Find Face, con funzioni identiche a quelle dichiarate da Facezam, mentre la britannica Blippar promette lo stesso tipo di ricerca, ma all’interno di un proprio database.
C’è una convergenza di fatti e tecnologie che impone delle domande e a cui è opportuno dare una risposta. O sollecitarla.
- Aumento del numero di foto personali pubblicate nei social network;
- continuo miglioramento delle tecnologie di riconoscimento facciale;
- cloud computing, cioè la memorizzazione dei dati (propri) e applicazioni presso risorse altrui sul web;
- "Ubiquitous computing", onnipresenza di dispositivi collegati a internet e con capacità di elaborazione;
- identificazione con mezzi statistici e attraverso l'accesso a database pubblici.
Una convergenza che ha come conseguenza un mondo in cui chiunque potrebbe utilizzare il riconoscimento facciale su chiunque altro ovunque, online e offline.
Il nostro viso permette di associare univocamente la nostra (o anche nostre) identità online con quella offline, permettendo di incrociare dati in modi prima impossibili. L’evoluzione delle tecnologia è, in generale, irreversibile e impossibile da fermare. Le soluzioni per evitare usi distorti di questa tecnologia in particolare, sembrano essere poche.
Bisognerà imparare a conviverci, sostenendo nel contempo lo sviluppo di leggi e norme che proteggano meglio la privacy. Sperare che la privacy sia protetta “by design” da produttori e sviluppatori di hardware e software sembra, a questo punto, solo una illusione.
Che si debba usare le maschere che i cinesi usano per il “no face day”?
Getty Images
Altre soluzioni possibili sono già disponibili su internet, come la maschera estremamente realistica dell’attivista per la privacy Leo Selvaggio, occhiali e vestiti che incorporano led ad infrarossi o acconciature e modi di truccare il viso studiati opportunamente per ingannare i software di riconoscimento facciale.
Come stanno le cose davvero
I sistemi di riconoscimento facciale non sono una novità: nati già negli anni ’70, nel 1997 esistevano alcuni capaci di riconoscere un viso con un margine di errore del 54%. Nel 2010 il margine di errore si è ridotto al 0,3%. Praticamente nullo.
Facebook usa un suo sistema di riconoscimento facciale, usato per suggerirvi i nomi degli amici nelle foto che caricate. Microsoft ne ha incorporato uno nella consolle Kinect. Google ha acquisito ben tre aziende con tecnologie simili (Neven vision, Riya, PittPAtt) e le ha incorporate in Picasa e Apple ha acquisito Polar Rose, per utilizzare la tecnologia in Iphoto.
Dipartimenti di polizia in varie parti del mondo usano sistemi di questo genere: in Australia il sistema “The capability” dovrebbe garantire la sicurezza dei cittadini, in Malesia un sistema simile si limiterebbe a identificare potenziali aggressori ripresi dalle telecamere a circuito chiuso poste all’esterno dei night club. Nei casinò americani la tecnologia di riconoscimento facciale è già in uso e anche la catena Walmart dichiarò di usarla per identificare potenziali taccheggiatori.
Certamente non c’è nulla di male ad usare questa tecnologia per prevenire il crimine o attacchi terroristici. Come non c’è nulla di male (anzi!) se usata per rendere migliore la mia esperienza come cliente.
Il riconoscimento facciale e il rilevamento delle emozioni che siamo capaci di esprimere attraverso il nostro viso sono già utilizzati in alcune agenzie per valutare l’impatto delle campagne pubblicitarie. La precisione di queste rilevazioni è molto alta: 95%.
Che ne siate consapevoli o no, anche guardare la tv potrebbe diventare una esperienza totalmente personalizzata. La bellissima smart tv che avete appena comprato, potrebbe riconoscervi e mostrarvi degli spot selezionati apposta per voi, che avrà selezionato accedendo al vostro profilo utente.
Queste tecnologie potrebbero avere un impiego anche nel mondo retail, rendendo l’esperienza d’acquisto più simile a quella che già sperimentiamo visitando certi siti di eCommerce.
Ancora difficile, al momento, perché oltre a dover acquisire il consenso del cliente, per leggere le sue emozioni (e quindi reazioni ad una offerta o situazione) è necessaria, ancora, una inquadratura precisa del viso.
Ma la strada è aperta e, data la velocità con cui si sono evolute queste tecnologie, non sarebbe però sorprendente entrare in un negozio di una qualche catena commerciale, ed essere accolti da personale che sa già tutto di noi: all’ingresso una telecamera ha già permesso il riconoscimento, il sistema ha verificato se abbiamo un profilo sui social e, analizzandolo, avrà potuto suggerire al personale che ci accoglie cosa ci piace, forse addirittura esattamente cosa stiamo cercando e perché, o per chi. Rendendo l’esperienza d’acquisto fluida e piacevole. O no?
Il mercato del riconoscimento facciale, secondo alcuni analisti, raddoppierà nei prossimi anni, passando da 3.35 miliardi di dollari nel 2016 a ben 6.84 miliardi nel 2021.
I fattori che incidono di più in questa crescita vertiginosa? L’aumento del mercato della sorveglianza, gli usi governativi in primo luogo e poi nel marketing e in altri settori.
Come tante altre invenzioni umane, anche questa tecnologia può suscitare sentimenti contrastanti: paura per i possibili usi distopici, eccitazione per i miglioramenti che può portare alle nostre vite. Voi avete paura o non vedete l'ora di poterne usufruire? Ditecelo nella nostra pagina Facebook e nel nostro gruppo LinkedIn.