The Startup è un film sulla sua vita, ma Matteo Achilli può vantare anche un corto animato che lo vede come protagonista e la consacrazione come Italian Zuckerberg dalla stampa internazionale, senza dimenticare il libro su di lui in uscita per Rizzoli.
Ma allora perché la maggior parte degli italiani non lo aveva mai sentito nominare?
Ho visto Matteo Achili ospite nella trasmissione Che Tempo Che Fa condotta da Fabio Fazio, ieri sera, assieme a Luca Barbareschi, il produttore del film.
Sarebbe stato inutile aspettarsi una mitragliata di domande scomode ad Achilli e alla produzione quando il film è pesantemente dentro l'occhio del ciclone.
Matteo Achilli entra in scena come comprimario a pochi minuti dalla fine dell'intervista a Luca Barbareschi, nervoso e rigido, le sue mani sfregano freneticamente l'una contro l'altra. Barbareschi è sciolto, paternalistico. Come sempre nessun chiarimento, tutti i riferimenti vengono sposati sull'idea del ragazzo di successo e sulla bella storia che andava raccontata. Perché?
Perché, sappiatelo, Matteo è un esempio da seguire per i giovani italiani. Si parla di valori importanti, non precisamente definiti. E infatti, su Twitter...
Adoro #chetempochefa, ma l'intervista su questo film è uno schiaffo a tutti coloro che hanno fatto qualcosa di vero sul digitale in Italia.
— Andrea Boscaro (@andrea_boscaro) 9 aprile 2017
#chetempochefa avete preso una storia che non ha storia #barbareschi #egomnia #achilli @chetempochefa @fabiofazio#peccato — mariano berriola (@berrypost) 9 aprile 2017
A monte di tutto, la rivoluzione Egomnia è stata citata non più di un paio di volte.
Chi è Matteo Achilli?
Interviste, interventi e menzioni su media di altissimo profilo e da parte di very big del settore Tech. Ci sono e sono tanti.
Anders Nilsson, direttore della divisione Developer and Platform Evangelism di Microsoft ha dichiarato alla BBC che Matteo Achilli è il tipo di imprenditore che piace all'azienda creata da Bill Gates e che Egomnia va accelerata perché dotata di un gran potenziale.
Tutti parlano di lui: evangelist e haters, addetti del settore e wannabe, anche chi l'ha incrociato per caso in strada o in aereo, generando un chiacchiericcio, un buzz considerevole a tutto vantaggio della promozione cinematografica e della "mitologia achilliana".
Ed è qui che sta il punto: non c'è niente di vero? Si tratta solo di un efficacissimo storytelling con effetti virali?
La startup milionaria con utili da 5.500 euro
Come si fa a spostare su di sé l'attenzione globale? Basta metterci la faccia e gonfiare qualche numero per attirare sponsor e partnership? Ovviamente no.
Egomnia non è la grande rivoluzione che il film propone: Alessandro Palmisano ha pubblicato un'analisi completa della sua esperienza su Egomnia basata sulle ricerche delle figure professionali evidenziandone la scarsa rilevanza. Come può valere un miliardo di dollari?
Il punto è che non è il social network ad essere venduto; si tratta di un personal branding estremo e metodico: un aspetto pulito e curato, validi argomenti, la giusta dose di entusiasmo giovanile. Ah, non dimentichiamo la grande idea da miliardi di euro per diventare un Unicorno.
Ci sono tutti gli ingredienti del fascino, perché parliamo di una vera e propria fascinazione mediatica, ai limiti dell'ipnosi: Achilli è presente su qualunque canale tv, su La7 in più occasioni, ma anche su RAI 3 ad Agorà e su Canale 5 con Matrix. Ci sono servizi e interviste del TG1 e TG3.
Gli operatori del settore media che hanno dato spazio al fenomeno mediatico Matteo Achilli sono quindi tanti ed è sconvolgente pensare che nessuno abbia controllato se i numeri di Egomnia corrispondessero al vero o meno.
Il successo mediatico si concretizza anche nelle partecipazioni in contesti di prestigio più legati al mondo del digitale: Achilli partecipa al Tech Crunch Italy nel 2013 e a ben tre edizioni di TEDx, precisamente Ca' Foscari, Bologna ed Esade.
Anche qui nessun fact-checking, apparizione dopo apparizione, così come nella trama del film, Achilli diventa un po' più eroe: ora è l'italiano che è rimasto mentre tutti vanno via, altre volte quello che ce l'ha fatta da solo, senza l'aiuto delle banche. Matteo si autoproclama eroe in una trama scritta da se stesso e tutti i media gli stanno dietro.
The Zuckerberg effect
Matteo Achilli è lo Zuckerberg italiano? No di certo: qualunque accostamento dell'esperienza Facebook al prodotto Egomnia è ingeneroso per il career-focused social network (una sorta di LinkedIn all'italiana) ma lo sarebbe praticamente per chiunque.
Il successo di Egomnia è stato raccontato molte, molte volte. E da lì ripreso, ogni volta più amplificato da un racconto precedente.
Matteo Achilli ha raccontato, raccontato e raccontato ancora la sua storia, fino a trasformarla in un film. Oppure è successo il contrario?
La storia dentro la storia inizia da una copertina di Panorama Economy, pubblicata nel maggio 2012, che ha incoronato ufficialmente il nostro Matteo col blasone di Italian Zuckerberg. Qui inizia il film.
Le fonti straniere che hanno intervistato e parlato con il founder di Egomnia hanno citato spesso la copertina che ha creato la notizia, il personaggio, un canovaccio di trama e uno spunto su cui raccontare ancora una volta. A volte si riferiscono, genericamente, ad un magazine italiano.
Perché se la libertà di stampa è un valore da tutelare con ogni mezzo, presumere che la notizia pubblicata su una testata autorevole di un altro Paese sia stata sottoposta a fact-checking è sacrosanto.
I veri numeri di Egomnia
Ormai lo sanno quasi tutti, anche grazie ad alcuni opinion leader del settore come Marco Camisani Calzolari: Egomnia ha fatturato poco più di 300.000 euro nel 2015, con un utile netto di 5.500 euro.
Ecco i dati estrapolati dal blog di Alessandro Palmisano in un post su Egomnia. Secondo l'ultimo bilancio pubblicato, datato 2015, Egomnia ha fatturato qualcosa come poco più di 300.000 euro, con i seguenti costi:
– Costo del personale: sotto € 12.000
– Margine Operativo Lordo: circa € 11.000
– Debiti: circa € 120.000
– Utile netto: € 5.500
Ti sembra abbastanza per meritarsi un film sulla sua vita di successo? Guarda invece cosa aveva dichiarato a Corriere.tv.
Se questo approccio dogmatico e superficiale alla notizia è così evidente e diffuso, viene da chiedersi quanto spesso accada anche in altri contesti. E quanto sia pericoloso.
Possibile che si tratti di ingenuità e superficialità?
Sembra che il caso Egomnia sia un prodotto dei media, adeguatamente sponsorizzato, perfettamente costruito step dopo step, e infilato a forza di spot nell'immaginario collettivo della leggenda.
Sì, perché a fare da contraltare all'esaltazione di Matteo Achilli a colpi di copertine patinate c'è il web, che ha dimostrato disapprovazione forte e decisa nei confronti di un modello che, semplicemente, non esiste.
Augusto Coppola si domanda, in un post su Facebook, come sia possibile che una startup con una tale esposizione mediatica possa generare numeri così piccoli.
La banalizzazione nel film The Startup
Quasi tutto il mondo digitale è schierato contro il fondatore di Egomnia: qualcuno arriva a definirlo un imbroglione, altri accusano il film The Startup di danneggiare l'intero sistema del digitale.
Ma questo vuol dire vederlo davvero grande, Matteo Achilli, e contribuire alla sua idea di grandezza nell'essere determinante all'interno di un settore.
Non credo che una storia, una startup o un film possano danneggiare seriamente un ecosistema che in Italia vivacchia, ben lontano dall'idea anglosassone di azienda. I problemi dell'innovazione e del digitale non si chiamano Matteo Achilli, semmai scarsa lungimiranza, arretratezza tecnologica, mancanza di competenze specifiche e vecchi modelli di formazione.
Matteo Achilli ha venduto non solo se stesso, ha venduto la storia di un ragazzo che ci credeva e ce l'ha fatta. Vero o meno, poco importa: Alessandro D'Alatri e Luca Barbareschi hanno impacchettato un eroe coi fiocchi.
Che si chiami Luca, Stefano o Matteo non ha alcuna rilevanza. Fanno centro, perché l'eroe senza macchia e senza paura che vince contro tutto e tutti ci piace molto, vorremmo davvero che esistesse e lo compriamo con facilità.
Ma questo eroe, come il successo di Egomnia, non esiste: è una figura costruita, si tratta di un falso eroe.
Achilli startupper, da ragazzo che affronta le difficoltà di una burocrazia sfiancante e della mancanza dell'accesso al credito, incarna il giovane speranzoso con un sogno, ma cosa c'è di vero?
La trama sembra portare in scena piuttosto un falso eroe, se non proprio un eroe negativo.
E fa male soprattutto ai più giovani, perché svuota di qualsiasi magia il percorso epico che porta dal sogno all'exit, ogni paradigma è declinato al successo ad ogni costo, non come risultato ma come obiettivo.
L'antieroe Matteo Achilli, per quanto voglia apparire eroe o, a tratti antagonista, insegue il successo, la gloria e la fama ed è questo che insegna.
Non insegna a impegnarsi, non insegna a sudare e studiare, non parla di stringere la cinghia, saltare i pasti e lavorare di notte per far quadrare i conti.
La storia di Egomnia presenta un modello di successo basato sulla presenza mediatica, dove esserci e apparire è più importante delle basi che hanno portato a quel risultato. Un modello in cui il traguardo si raggiunge in un attimo, come in qualsiasi talent show.
Non so se Matteo Achilli abbia affrontato molte sfide per arrivare dov'è ora e meritarsi tutto questo palco, quello che è certo è che questa bufera mediatica non fa bene a nessuno, né al cinema italiano, né al mondo digitale in genere, né allo stesso Matteo: tutti i suoi sforzi e il suo impegno sono comunque sotterrati da un polverone di proteste.
Semplifica i modelli banalizzando le risorse e le competenze che è necessario impiegare nella costruzione di un progetto davvero innovativo: una bella idea non basta, puro e semplice.
Risulta sibillino proporre un modello tanto lontano dai canoni reali ad un popolo di giovani disoccupati, anche per l'ecosistema collaborativo dei team delle startup innovative: l'incessante one-man show di Achilli è disallineato, imbarazzante al confronto dei tanti ostacoli che lo startupper affronta sul panorama italiano.
L'idea, da sola non basta, non è mai stata sufficiente e non sarà un bel film a cambiare le cose. Possiamo chiederci quale sia il target di questo prodotto cinematografico? Dobbiamo aspettarci un assalto alle sale e il sold-out in pochi giorni? Ne dubito.
In una famosa scena del film The Social Network, che racconta la nascita di Facebook e dal quale The Startup risulta pesantemente condizionato, il preside di Harvard sottolinea come oggi i giovani cerchino di inventarsi un lavoro invece che trovarsi un lavoro.
In questa storia così strana, è assurdo pensare che il film serva a dare concretezza alle parole di Achilli? In sostanza, l'informazione può creare una notizia, un personaggio dal nulla e il cinema può consacrarla come fatto accaduto?
I finanziamenti pubblici alla produzione del film
Si legge chiaramente nei titoli di coda del trailer: tra i finanziatori di The Startup c'è anche il MIBACT.
Si tratta di cifre comprese tra i 100.000 e i 700.00 euro, a patto di aver coperto almeno il 50% del preventivo di spesa.
Nulla di strano, in realtà: i fondi su cui un produttore può contare sono regionali, nazionali ed europei. In particolare, i fondi nazionali vengono attribuiti attraverso la Direzione Generale del Cinema, proprio una sezione del MIBACT.
I contributi regionali vengono assegnati quando una regione intende investire nella produzione di un film se questo viene girato prevalentemente in quella regione. Probabilmente per questi motivi, compare anche il sostegno della Regione Lazio.
Anche Rai Cinema e Agi Scuola, che, come riporta il sito ufficiale è "dal 2002, il referente del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca per quanto riguarda la diffusione di film di alto interesse culturale e didattico da visionare nelle sale cinematografiche per gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado, senza perdere mai di vista l'età e la conseguente maturità dei giovani e giovanissimi spettatori cui lo spettacolo è rivolto".
I contributi europei vengono attribuiti esclusivamente a co-produzioni internazionali, mentre i criteri di scelta del MIBACT sono molto più flessibili.
L'opportunità di appoggiare una produzione di questo tipo può sfuggire: perché finanziare una storia che è stata definita a più riprese come una bufala?
Anche il regista di The Startup, Alessandro D'Alatri, in una recente intervista rilasciata al presidente dell'Agi, Riccardo Luna, sembra spostare molto velocemente il focus sul valore inspirational del film nei confronti delle nuove generazioni.
Secondo lui è una bella storia e va raccontata, punto e basta. Anche se il racconto è inesatto, se i numeri sono sbagliati.
Anche se il film racconta di un rapido successo senza molti sforzi, se semplifica a storiella un mondo intero fatto di professionisti, lavoratori, giovani startupper, di delusioni e di sogni che per tanti sono destinati a rimanerci, in quel cassetto.
Al centro di tutto la MERITOCRAZIA, ironicamente, l'unica cosa che manca davvero a questa storia.
Ho visto il film con un amico. In sala eravamo in 4 sebbene fosse un venerdì sera. Non era la serata adatta per sorbirsi il continuo product placement di una famosa università privata (è l'impressione che ho avuto durante tutto il film), confermata dalle parole dei protagonisti: "non è importante cosa studi, ma dove".
Guardo poco cinema italiano, ma molti dei dialoghi mi ricordavano le scene di zapping tra fiction su storie famigliari e ricostruzioni storiche con i bellocci di turno.
La storia si ferma proprio quando il sogno crolla, quando sarebbe più importante conoscere quello che succede dopo. Ma l'abbiamo detto: il film e la storia non sono piaciute a chi lavora con le professioni digitali e la pellicola non ha un fine squisitamente educativo o tecnico.
Tutti noi desideriamo sapere come hai fatto davvero, Matteo, a trasformare il tuo sogno in un film.