Vi riportiamo, dal sito del Master in Social Media Marketing dello IULM, l’intervista a Mirko Pallera e Alex Giordano, originariamente pubblicata su SDC News, la newsletter di Scuola di Comunicazione IULM.
Carissimi, anzitutto grazie per la disponibilità. Rimandando a Wikipedia per una puntale definizione del fenomeno, proviamo ad entrare subito nel vivo della discussione: nel 1996 Hotmail fece partire quella che viene indicata dagli esperti come la prima campagna di viral marketing. A distanza di 13 anni credete che in Italia sia maturata un’adeguata consapevolezza nei confronti di questo strumento?
Certo! Pensate che è da poco nata una associazione di categoria di cui noi siamo tra i fondatori, si chiama Wommi. Qui su wommi.it trovate le sue finalità e il suo codice etico.
All’inizio in Italia qualche azienda ci chiedeva di viralizzare il proprio spot con Totti. Altri ancora hanno provato a ricondurre l’ideazione di un video virale ad alcuni semplici principi: basandosi sull’analisi di contenuti che hanno avuto una maggiore diffusione contagiosa, hanno cercato di sintetizzare in questo modo una formula estetica del virale in sex, pets and absurd!
Molti dei contenuti virali presenti in rete sono infatti bizzarri, irriverenti, spesso cinici e politicamente scorretti. Oppure sono infarciti di sesso, trattano tabù, argomenti proibiti o censurati dai media, o ancora affrontano temi di critica politico-sociale. Altri sono teneri, romantici e a base di buoni sentimenti. Soprattutto sono pieni di gattini!
Per questo, secondo alcuni praticoni del virale avvezzi a semplificare e banalizzare le cose, il segreto risiederebbe in una semplice formula di buon senso popolare. “Unire l’utile al dilettevole”, come dice il proverbio. Basterebbe quindi rendere un contenuto enjoyable o valuable, vale a dire divertente o di utilità pratica o economica, per farlo diventare il prossimo tormentone virale.
Si è così diffusa l’idea che per fare marketing virale sia necessario e sufficiente utilizzare un trattamento divertente, grottesco, da macchietta, spesso palesemente volgare. Nel buio si è toccata la zampa dell’elefante pensando che si trattasse di un grande albero.
Noi crediamo che il segreto della viralità non sia da cercarsi semplicemente nel trattamento estetico-creativo. E’ necessario andare oltre, arrivando a cogliere l’essenza e la pregnanza del messaggio, indagando sulle profonde motivazioni che spingono le persone al famigerato “invio ad un amico”, a scatenare entusiasti articoli sui blog o il passaparola durante il pranzo fra colleghi.
Per diventare dei guru del marketing virale è necessario addentrarsi nelle dinamiche psicologiche e sociali della società interconessa e partecipativa, quella del Popolo della Rete. E purtroppo, dal momento che la complessità della società aumenta invece di diminuire, semplificare non sarà più possibile.
Tra le aziende (che noi definiremmo poco accorte) si è spesso insinuata l’idea che un’operazione di marketing virale sia necessariamente low budget e non necessiti di adeguati investimenti. Potete aiutarci a sfatare questo mito?
Da quando è scoppiato il boom dei video fatti dagli utenti e resi celebri da Internet, la febbre dei video virali ha contagiato anche il mondo dei professionisti della comunicazione. Alcune case di produzione sono corse dalle aziende cercando di bypassare le agenzie creative e - spacciandosi per esperti del settore - hanno iniziato a proporre produzioni low budget girate con tecniche fintamente amatoriali.
Come se girare uno spot con il telefonino bastasse a renderlo virale. Virale non è a basso costo! Ci sono molti esempi di successi virali realizzati con produzioni davvero imponenti.
Che ruolo giocano i social media nella pianificazione di una campagna di marketing virale?
Oggi i social media contano molto. Anzi, possiamo dire che la maggior parte del buzz (passaparola) si è spostata sui social media. Sono uno strumento di diffusione del buzz fenomenale.
Ma attenzione! E’ sulla progettazione del Viral DNA, ovvero di quella chimica virale che fa parte del brand e della sua comunicazione, che dovete concentrare la maggior parte degli sforzi. Poi, una buona strategia di distribuzione del contenuto, in termini tecnici di Seeding (la semina), farà il resto. Un buon Viral DNA, infatti, ha comunque bisogno di essere inseminato nei terreni più fertili, quelli più ricettivi al messaggio. Questo sarà fondamentale per velocizzare il processo di diffusione del contenuto e renderlo funzionale alle politiche di marketing dell’azienda.
Del resto, senza un terreno fertile la pianta non attecchisce. Senza le persone che lo ritengono rilevante il messaggio non viene moltiplicato. Semplificando potremmo dire che Viral DNA e Seeding sono le due variabili fondamentali della viralità.
Chiudiamo con una domanda difficile? Qual è l’ingrediente che non deve assolutamente mancare nella definizione di una campagna di marketing virale?
Sicuramente il Viral DNA. Questo è l’elemento fondamentale! Pensate che abbiamo definito un modello per progettare un Viral DNA vincente. Il modello si chiama C-R-E-A-T-E, però fino a che non esce il nostro libro (”Viral DNA“, in uscita a settembre), l’editore ci ha imposto il massimo riserbo sulla formula segreta.
Potete provare voi a riempire il contenuto con i vostri significati. Per ora, vi possiamo solo dire che ogni variabile regge sia come parola italiana che come parola inglese…buon divertimento!