Ricorderete sicuramente il video shock con cui Greenpeace chiede a Nestlè un break per foreste e oranghi. In questo articolo vi raccontiamo cosa è successo dopo...
Nestlè ha chiesto a Google di rimuovere il video da YouTube per violazione di copyright, tuttavia non è con la censura che si può recuperare la situazione di crisi (anche solo per i re-seeding spontanei).
Nestlè quindi ha timidamente annunciato che avrebbe utilizzato dell'olio di palma sostenibile, ma Greenpeace ha lanciato una controffensiva, chiedendo ai suoi sostenitori di protestare contro Nestlè, condividendo i video online e modificando la propria immagine del profilo di Facebook con l'immagine "Nestlè Killer" e boicottando i prodotti Nestle.
Subito, tantissimi sostenitori di Greenpeace hanno modficato la propria immagine del profilo, invaso la pagina fan di Nestle su Facebook, innescando un meccanismo che ha portato a tutta una serie di commenti negativi e mal gestiti.
Infatti uno (sfortunato) rappresentante Nestlè si è messo a dettar legge sulla pagina (con tanto di insulti, censure, minacciando di ricorrere a leggi sulla proprietà intellettuale), gestendo in modo assolutamente inappropriato lo stato di crisi e scavando una fosse a Nestle. La guerra a Nestlè su Facebook e Twitter non sembra aver fine. Non sappiamo come ne uscirà Nestle, ma sicuramente anche questo caso entrerà a far parte dell'ipotetico corso di brand reputation, di cui accennavamo qui.
Da questa crisi, abbiamo sicuramente imparato che:
1. in uno stato di crisi come questo, non ci si può improvvisare! Come si fa pensare di calmare una folla inferocita alzando la voce, dettando le regole e censurando? Se forse la censura, il dettare le regole e la moderazione dei commenti poteva andare bene su piattaforme corporate (blog o forum aziendali), su Facebook questo approccio è da dimenticare! Più si cerca di nascondere qualcosa, più ci sarà qualcuno che invece la rimarcherà, facendo in modo che se ne continui a parlare.
2. gli attivisti possono coinvolgere un numero di sostenitori su scala mondiale che è inimmaginabile per (quasi) la maggior parte dei Brand. Gli attivisti possono quindi contare su milioni di sostenitori, con cui attivare un meccanismo virale di condivisione dei contenuti sui Social Network (YouTube, Twitter e Facebook).
3. i boicotaggi e le campagne anti-corporate sono sempre più controverse e sempre più difficili da gestire. Quindi ci auguriamo che brand e aziende diventino realmente più responsabili.