La scorsa settimana le cronache dei giornali ci hanno proposto due casi per certi versi simili: quello di Oriana Galasso e Michela Roth, rispettivamente 42enne di Cornate d'Adda già segretario provinciale del PD e 38enne maestra d'asilo in quel di Castello di Serravalle (Bologna).
Entrambe sono divenute famose per una serie di loro scatti fotografici considerati "hot" e pubblicati su Facebook, i quali hanno innescato polemiche che rischiano di minare le attività quotidiane di entrambe: se per Oriana è a rischio la carriera politica, addirittura nel caso di Michela in pericolo c'è il posto di lavoro, visto la scelta fatta dai genitori di alcuni bambini della classe dove insegnava di ritirare dalla frequenza scolastica i propri figli per protesta.
Oriana ha dichiarato di aver postato le sue foto "per scherzo", mentre Michela ha spiegato la scelta essendo oltre che docente anche modella a tempo perso, attività lavorativa secondaria ma ugualmente importante.
Due situazioni quindi diverse ma che trovano un unico filo conduttore, quella della condivisione di alcuni contenuti nei propri profili Facebook.
Intanto, come è stato possibile che l'opinione pubblica sia venuta a conoscenza di queste storie? E come i giornali hanno potuto pubblicare sui propri siti intere gallery costruite con scatti postati in album fotografici di profili privati?
La spiegazione è presto detta: entrambe le signore non avevano settato i parametri della visibilità del contenuto, rendendo una parte dei propri album visibili a chiunque.
Questo ha permesso anche a chi non era "amico" di visionare e prelevare le foto, oltre che di segnalare la cosa, trasformando una semplice condivisione in motivo di discordia.
Certo, gli scatti possono essere considerati all'occhio più sensibili un po' forti: ma non è su questo che vogliamo concentrarci.
La domanda che ci poniamo è semplice: una foto, un post, un qualsiasi contenuto prodotto da un utente e condiviso sul proprio profilo privato può diventare motivo di discordia? La risposta è presto detta, se i settaggi della privacy offrono visibilità anche ai "non connessi" alla propria rete sociale e sono visibili da tutti, certo.
Dall'articolo de Il Giorno apprendiamo come dopo che la notizia è diventata di pubblico dominio, le foto di Oriana siano state inizialmente "schermate" e poi rimosse per fermare l'emorragia di polemiche.
Cosa diversa per Michela, la quale ha lasciato le foto sul proprio profilo accettando anzi la connessione con molti altri amici che in questi giorni hanno deciso di aggiungerla alla propria Rete per offrirle solidarietà.
Due scelte strategicamente diverse, che ci offrono una diversa interpretazione del concetto di privacy.
Dove finisce nella social sfera? E quando è ammissibile considerare un contenuto libero anche di essere portato all'attenzione dei media?
L'argomento è di stretta attualità: sono diversi i casi in cui il social network di Mark Zuckerberg è stato messo sotto osservazione per la gestione dei contenuti postati in esso e soprattutto sulla gestione dei dati personali degli utenti: caso non di poco conto quello scoppiato in Germania, così come lo scontro Davide - Golia che ha come protagonista lo studente austriaco Max Schrems.
Il punto è capire quanto e come il profilo personale debba essere considerato "spazio inviolabile", anche al di fuori delle impostazione della privacy.
Nei casi succitati, le signore avevano settato le impostazioni per permettere a tutti di fruire dei contenuti fotografici, ma nel caso di Oriana questo è avvenuto non consapevolmente: inoltre, non appare in questo un'implicita autorizzazione - ad esempio - alla pubblicazione su altri canali.
Non vogliamo sembrare provocatori, ma crediamo che il concetto di "profilo personale" vada oltre i settaggi delle impostazioni della privacy, anche se quando un contenuto non è reso privato e di fatto diventa di dominio pubblico.
Altrimenti, soprattutto nella logica della Timeline dove il contenuto diventa prioritario anche a discapito dell'interazione sociale, saremo sempre più portati a usare Facebook come un blog o un sito personale. Forse è questo l'intento del team di Mark Zuckerberg, ma è la scelta più azzeccata?
Forse Facebook dovrebbe rendere i settaggi della privacy il più possibili capillari di default, per mantenere quella sorta di performanza sociale che l'ha reso ciò che è.
Il caso di Oriana Galassi, in particolare, colpisce perché nasce e si sviluppa, suo malgrado, da uno scarsa interazione con lo strumento imputabile nel caso di molti utenti a una difficoltà ad interfacciarsi con concetti quale quello di condivisione, che in certi casi diventa deleterio perché eccessivo.
Sarebbe un primo passo per rendere la propria pagina uno spazio a tutti gli effetti personale.
Poi certo, il tema della privacy sui social network presenta ancora moltissimi lati oscuri da dibattere e comprendere: ma intanto, si comincerebbe a sensibilizzare gli utenti che la social sfera la vivono magari senza completa cognizione di causa.
Che ne pensate?