La settimana scorsa ha colpito non poco la notizia di un Epic Fail verificatosi durante il consiglio comunale di Firenze: un consigliere, dopo aver letto della presunta morte di Paolo Villaggio su un social network, ha chiesto e ottenuto di fare un minuto di raccoglimento. Peccato che la notizia fosse falsa e l'attore genovese fosse in splendida salute. Peraltro, una notizia già pubblicata lo scorso anno, con sempre protagonista l'interprete del famigerato ragioniere Ugo Fantozzi.
Quest'episodio, curioso e se vogliamo neanche così inedito nel panorama del mondo digitale, ci ha fatto porre una domanda che forse non è così da sottovalutare: ci stiamo avvicinando a una saturazione da "fruizione di contenuto"?
Una soglia di resistenza da parte dell'utente medio dei social network, che è continuamente bombardato da nuovi stimoli e che sempre più fatica a fruirli correttamente e, addirittura, a distinguere quelli attendibili dai fake. Questo è determinato da come ognuno vive la propria presenza nella social sfera, frequentazione che cresce esponenzialmente secondo le ultime rilevazioni. A darci una mano in tal senso, arriva a proposito un'interessante infografica pubblicata da Go-Gulf.com.
Come si può osservare, i dati proposti riguardano l'utilizzo dei social network più noti e come si frammenti in termini demografici e d'utilizzo il pubblico d'ognuno.
Questi dati possono essere integrati da un secondo grafico sulla realtà italiana riguardanti il confronto 2011/2012, elaborato da Vincos.it e pubblicato qui:
Si può teorizzare come gli utenti dei vari social network siano convergenti su più poli, considerando che in moltissimi non si approcciano in maniera "esclusiva" a un social network, ma anzi tendono a entrare in più ambienti sociali (e su questo, noi Ninja possiamo dire la nostra! ;-) ) talvolta rendendo ridondante proprio la produzione del contenuto, che viene pubblicato su più spazi in contemporanea.
Certo, comparare l'utilizzo di LinkedIn con Facebook o Twitter, così come Pinterest con GooglePlus è esercizio di stile francamente eccessivo, essendo tutti ispirati da principi di comunicazione differenti e per certi versi poco confrontabili.
Rimane però il fatto che seppur ognuno utilizzi una forma differente, al centro rimane l'utente il quale può diventare oggetto di troppi imput e produttore di troppi output, considerando come il tempo medio di permanenza in ogni ambiente aumenti in maniera esponenziale via via che cresce la rete sociale sviluppata in essi.
Se la social sfera sta cambiando il modo di concepire la comunicazione (come ci racconta anche Francesco Russo in questo interessante post), sta anche trasformando gli utenti in recettori superficiali, che talvolta osservano un contenuto ma non riescono a fruirlo proprio per troppa "abbondanza".
Il caso di Paolo Villaggio è emblematico proprio perché frutto di una scarsa applicazione di quella content curation che rende possibile "ripulire" da quei contenuti immondizia i motori di ricerca, e che dovrebbe essere applicata anche in ambienti social sempre più sincronizzati fra loro e sempre più popolati.
Dal lato "strategico", è importante sottolineare una volta in più come talvolta non sia necessario apparire su tutti i social network, magari per una singola iniziativa che poi rende lo spazio fermo e senza vitalità, bensì ottimizzare i canali che si sa già in grado di sfruttare e gestire, magari sfruttando al massimo strumenti che sono già ampiamenti avviati e che possono ottimizzare anche un contenuto senza per questo creare confusione, rindondanza fra gli ambienti e difficoltà nella ricezione del messaggio. Sembra una regola scontata ed eccessiva, ma talvolta è necessario ribadirla.
Si può ipotizzare, in futuro, una saturazione della social sfera che porterà gli utenti a un rigetto della frequentazione di tali habitat digitali? Voi cosa ne pensate?