In principio fu il Gangnam Style: grandi brand come Red Bull, Abercombie, Vodafone e M&M’s capirono al volo che la straordinaria viralità del meme poteva essere sfruttata per ottenere grande visibilità con poco sforzo creativo. E così nacquero pupazzetti lego ballerini, eventi Red Bull, magliette M&M’s con il faccione del cantante coreano, fino ad arrivare allo spot degli pistacchi ballerini trasmesso durante il Super Bowl 2013.
Adesso siamo nel pieno dell'era Harlem Shake: Pepsi, Axe, Google e Facebook hanno già sfornato la propria originale declinazione del fenomeno virale del momento.
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Come si vede da questi esempi la tendenza in atto nel marketing virale è quella di cavalcare l’onda lunga dell’ultimo meme. Una strategia che è stata già ribattezzata memevertising. I meme di Internet offrono ai brand l’opportunità di inserirsi in un discorso ad alto tasso di partecipazione ed emotività col minimo sforzo creativo ed economico.
La conferma viene da Kevin Mathers, Managing Director della divisione UK di YouTube:
“Chi fa marketing è interessato a stabilire un contatto emotivo col proprio pubblico e questo significa toccare temi che hanno molta risonanza. I brand che hanno preso parte al meme dell’Harlem Shake sono stati capaci di esporsi ad un pubblico molto ampio”.
Qualche voce critica però inizia già a levarsi. Tom Fishburne, cartoonist e CEO di Marketoon Studios, l’agenzia di content marketing del Wall Street Journal, considera la maggior parte dei memevertising come dei timidi tentativi di inserirsi in ciò di cui tutti gli altri stanno già parlando. Niente intraprendenza, solo gioco di rimessa.
Secondo Fishburne non sempre è opportuno per un brand intervenire nella conversazione. Non tutti i meme sono indicati per un brand. C’è poi da considerare il fattore tempo: esiste una finestra di tempo limitata per cavalcare il meme e molti brand arrivano fuori tempo massimo. In ogni caso Fishburne pensa che, anche nel caso del memevertising, i brand dovrebbero apportare qualcosa di nuovo, un valore aggiunto. Non è abbastanza piantare la bandierina “Il brand è stato qui”.
Bisogna fare la differenza e la differenza la fanno il tempismo, l’autenticità e soprattutto la creatività.