Cos’è la gamification? Tecnicamente si può definire come l’applicazione di regole ludiche in contesti non ludici. Non tecnicamente, io la chiamerei - di fatto - il futuro.
Non sono tra gli entusiasti tecnologici che vedono ovunque ci sia un’innovazione una speranza. Ma credo fortemente, questo sì, che la gamification porti con sé un insieme di potenzialità di fatto poco esplorate o inesplorate, in particolare nel nostro Paese. E lo sappiamo: chi tardi arriva…
Diamo uno sguardo indietro. Il termine gamification è stato introdotto nel 2010; è però legittimo indicare come ben precedente l’inizio dell’attenzione nei confronti delle regole estrapolate dal gioco in contesti, appunto, non di gioco. Rimando ad altre fonti l’investigazione della storia della gamification - ci basti fare i nomi di James Paul Gee, Thomas Malone, della Serious Games e appunto della conferenza di Jesse Scheel in occasione del DICE2010, davvero illuminante.
Ciò che ci interessa è che alla gente piace giocare. La gente adora giocare. E questo, in termini di social business, può essere di grande interesse.
Intanto, per chiarire di cosa stiamo parlando, pensiamo al più noto esempio di gamification: Nike+.
Tu corri, ascolti musica in linea col tuo ritmo, e col braccialetto Fuel tieni traccia delle tue attività quotidiane, stili classifiche, sfidi amici. Cioè, essenzialmente: fai sport e ti metti in forma (contesto non ludico) mentre giochi (regole ludiche).
Un esempio che ho trovato molto interessante, ancora legato al mondo social e all’attività fisica, è Runtastic.
Andateci ora. Accedete col profilo FB, e via. Si tratta di una app, che potete scaricare sul vostro dispositivo mobile, e che vi consente - ancora - di mettere online sul social network l'attività fisica specifica che avete fatto o, ecco il bello, che state facendo.
Unendo un’interazione social alla vostra attività: chi si collega al sito - lo potete fare in questo istante - vede, amico o non amico, chi è in movimento e dove nel mondo. E gli può inviare incoraggiamenti - ovviamente standardizzati, per evitare inevitabili troll, a meno che non si abbia un profilo GOLD e non si sia amico accettato della persona - quando vede fasi di stanca, o semplicemente così, come supporto. Chi corre (contesto non ludico) sarà spinto ad accelerare grazie agli incentivi (struttura ludica).
Strano, forse, parlare di gamification nel mondo social nel momento in cui il social più gamificato, Foursquare, abbandona parte della sua struttura a premi; ma è lo stesso Dennis Crowley in un’intervista on stage con Anil Dash a specificare come sia stata la over-gamification, ossia l’eccessiva partecipazione al gioco - dimenticandosi di fatto del prodotto - a spingere i vertici del social alla decisione.
Come applicare il contesto della gamification a noi?
Sappiamo che, come in un gioco, ciò che contraddistingue un prodotto gamificato consiste nella presenza di livelli, punti, premi, beni virtuali, classifiche.
Bene. Esattamente come dicevo qualche giorno fa, non esiste marketing serio che viva senza prodotto.
So che sto essenzialmente smontando, con questa teoria, quanto hanno insegnato nei corsi di marketing degli ultimi 20 anni: ma datevi un occhio intorno per vedere se quel sistema ha vinto o no. Potete avere un grande successo nel brevissimo periodo, ma - a meno che non vogliate scappare con la cassa alle Bahamas - vi consiglio di usare la cautela di Teo Musso, fondatore della birra artigianale Baladin: attenzione alla terra. Il prodotto viene dalla terra, e a quella bisogna prestare attenzione.
Ora facciamo un esempio di gamification - provandoci, appunto, con una birra. Un esempio di applicazione non virtuosa sarebbe la creazione di un concorso legato al consumo di birra: avremmo un incremento del numero di birre vendute nel primissimo periodo ma un significativo peggioramento dell’immagine aziendale in base alla quantità di beoni che affollerebbe locali e città con le nostre bottiglie in mano.
Ma se spingiamo gli utenti a creare ricette con le nostre cinque tipologie di birra artigianale, e le foto con le ricette migliori vengono votate sulla pagina Facebook aziendale grazie al meccanismo dei Like e di lì postate su Twitter, Pinterest e Tumblr creando così punteggi e classifiche ad hoc - e gli stessi votanti, sorteggiati, hanno la possibilità di recarsi nei punti vendita indicati sul sito e ritirare la bottiglia di birra loro dedicata e specificamente creata per l’evento - ecco che abbiamo generato un meccanismo virtuoso, venduto un po’ di birra, fatto circolare il nome, ottenuto pubblico sulla pagina, creato ricette con le nostre birre. A un costo ridotto, estremamente ridotto - pressoché nullo.
Un ultimo consiglio: don't try this at home. Non fate queste cose in casa. Circondatevi di professionisti. L'abbiamo visto: dal passare da fantastico produttore di birra artigianale a corruttore di un'intera gioventù grazie a un concorso a premi sbagliato, soprattutto in tempi di epic fail, il passo è breve. E barcollante.