A distanza di un mese dall'affaire che ha coinvolto Guido Barilla si apre un nuovo caso sulla gestione ed i malfunzionamenti riguardo l'utilizzo dei social a causa della campagna della Pomì dal titolo "Solo pomodori della Pianura Padana".
L'iniziativa, posta in essere sulla home page dell'azienda e sui social network, ha nel giro di pochissimo fatto infuriare il web e non solo, scatenando vibranti proteste, proposte di boicottaggio ed azioni legali. In redazione ci eravamo occupati delle dichiarazioni di Barilla e relative campagne di risposta grazie al prezioso lavoro del nostro Francesco.
Nel suo post aveva improntato la sua analisi sulle dinamiche di posizionamento (o mal posizionamento) di un brand e sulle occasioni che un epic fail può offrire per il rilancio di un'azienda. In questo caso, invece, vorremmo proporvi un'analisi di fondo sulla sottile, ma non per questo meno pericolosa, linea di continuità che attraversa i due casi in oggetto, ed offrire uno spunto d'analisi nuovo sul perché certe volte, le aziende rischino di bruciare consenso invece di alimentarlo.
Pomì e la genealogia del pomodoro
Iniziamo con la proposizione dell'immagine simbolo che molti di voi avranno già visto in rete, la fonte primaria delle polemiche:
La foto postata fa da apripista per l'iniziativa denominata pomìtrace, raggiungibile attraverso il sito web della società, attraverso la quale i consumatori possono risalire alla coltivazione di provenienza del prodotto acquistato verificandone l'idoneità .
Da più parti la campagna viene letta attraverso le lenti della discriminazione , noi invece vogliamo offrirvi l'opportunità di incanalare il dibattito sotto una luce diversa, che poggi più su punti di forza e debolezza di una pubblicità, sulle cause che hanno portato allo scontro e dove, se possibile, Pomì avrebbe dovuto e dovrebbe correggere il tiro per indirizzare la campagna sui giusti binari.
Perchè Pomì ci dice da dove vengono i suoi pomodori? E perché proprio ora?
L'azienda in questo senso ha mostrato, legittimamente, di aver intercettato quel sentimento crescente nell'opinione pubblica sulla verifica dei processi e delle istanze che sono alla base dei prodotti alimentari di largo consumo del nostro Paese. La ragione è altrettanto nota: si va affermando infatti, in virtù di numerose inchieste ed indagini, la vicenda dello scandalo socio-ambientale nella cosiddetta Terra dei Fuochi. Quella vasta porzione di territorio tra la provincia di Napoli e Caserta una volta conosciuta come Campania Felix ed ora balzata all'interesse nazionale per l'aumento esponenziale della diffusione di patologie mortali per gli abitanti della zona dovuto dall'inquinamento criminale avvenuto in quegli stessi territori, un tempo cuore dell'agricoltura italiana.
Questa vera e propria mattanza consumata sulla vita dei campani non è più ascrivibile solo a coloro i quali abitano quelle zone, in quanto si è reso palese attraverso numerose testimonianze come le coltivazioni incriminate siano utilizzate nella grande distribuzione, nazionale ed internazionale. I prodotti al veleno della Terra dei fuochi arrivano sulla tavola di ciascuno di noi, coi medesimi rischi, le stesse paure, le identiche possibilità di danni a breve medio e lungo termine sulla nostra salute e su quella dei nostri cari.
Non v'è dubbio che in un clima di confusione e sostanziale incertezza, un'azienda che voglia tutelare la bontà dei propri prodotti si senta in dovere di agire in tal senso, eppure quali errori sono stati commessi, se ve ne sono, che hanno portato ad una sollevazione così forte ?
1) Dalla discriminazione sessuale a quella territoriale, quando il sugo non dovrebbe sposarsi con la pasta
Guido Barilla, nella sua intervista per il programma La Zanzara, si era espresso con leggerezza rispetto alla promozione di un'immagine aziendale votata alla famiglia tradizionale, sottolineando come una coppia omosex non avrebbe mai preso parte ai suoi spot e che se questo fosse stato motivo di scandalo per gli utenti, questi avrebbero potuto optare per altri pastifici.
In questo caso con Pomì si sposta il piano della discriminazione su quello territoriale. In una ricerca di auto-legittimazione delle proprie coltivazioni, strizzando l'occhio alla green economy del "km 0", offre plasticamente l'immagine di un'azienda che si struttura nella sola pianura padana, prendendo le distanze, metaforicamente e fisicamente dalle zone oggetto d'indagine.
In linea di principio non vi sarebbe nulla di male, offrire un percorso di checking delle proprie coltivazioni è un segnale di trasparenza che la società sente il bisogno di offrire a tutela della propria immagine, delle coltivazioni dalle quali provengono le materie prime, e dell'intero processo di lavorazione ed inscatolamento.
Eppure il messaggio dominante che passa è una discriminazione tra un territorio, quello della pianura padana, presentato da Pomì come sinonimo di qualità e correttezza, contrapponendolo ed isolandolo come qualcosa di diametralmente opposto alla terra dei fuochi.
Ci domandiamo quindi se tutto ciò fosse necessario. Se la campagna fosse stata denominata “solo pomodori a chilometri zero” avrebbe avuto lo stesso indirizzo e significato ( controlliamo la bontà di tutti i nostri pomodori ) ma avrebbe disinnescato ogni rapporto di causa effetto tra prodotto e territorio.
L'antagonismo tra Nord e Sud, le cause dell'inquinamento delle terre e delle falde acquifere in Campania sono argomento davvero spinoso, una maggiore cautela da parte dell'azienda avrebbe suggerito una proposizione meno marcata, in questo modo si è offerto il destro, volontariamente o no non sta a noi deciderlo, alle polemiche.
In sintesi nonostante l'idea di fondo sia che Pomì non ne voglia fare una questione di territorio e campanilismo, finisce ex post per cadere in questo equivoco, sarebbe stato necessario un controllo maggiore dei fattori di rischio in questo senso ed il polverone non si sarebbe alzato.
2) Tempi e modi, il confine sottile tra opportunità e sciacallaggio
Proviamo a prescindere dagli inevitabili risvolti politici e sociali della campagna, nonostante questa componente sia di notevole impatto nell'opinione pubblica, come leggere con occhio aziendale questo smarcarsi?
Pomì dalla sua nutriva l'esigenza di tranquillizzare il proprio target, di mostrarsi come un'azienda senza macchia in un clima di crescente sospetto per l'industria alimentare. Se nei modi abbiamo visto come si sia lasciato spazio ad interpretazioni malevole, dal punto dei vista dell'opportunità possiamo essere sicuri sulla tempistica di programmazione ?
Sempre muovendoci in parallelo con l'affaire Barilla, riscontrammo come le società concorrenti avessero colto la palla al balzo per riposizionarsi in maniera antitetica rispetto al pastificio. Tutta una serie di post e banner ci erano suonati più come un'operazione ad hoc al fine di rubare fette di mercato piuttosto che il frutto di un percorso inclusivo ed aperto alle diversità, lasciando alla Barilla la rigidità di vedute.
In questo senso la campagna Pomì può essere vista allo stesso modo. Il momento scelto viene visto più in connessione diretta col dramma vissuto in Campania rispetto ad un percorso volto alla sensibilizzazione sull'impatto ambientale nel mercato dei prodotti alimentari.
3) I pomodori sono come fiocchi di neve, ognuno così unico
Terzo aspetto di questa campagna che pone una riflessione. Pomì promuove un'iniziativa del genere per una ricerca di trasparenza, ma concentrare l'attenzione sul territorio di produzione come esclusivo fattore di garanzia può generare un sentimento di indignazione per tutti coloro i quali operano in altre zone del paese con i medesimi standard, che siano della terra dei fuochi così come di altri luoghi di coltivazione.
Rispondere alle paure dei consumatori è sinonimo di sensibilità rispetto alle tematiche di attualità, ma alla velocità di reazione si deve abbinare anche la responsabilità sui contenuti, senza alcuna superficialità nei meccanismi di creazione di una campagna pubblicitaria.
Ego vs Alter, l'identità per contrapposizione
Alla luce di quanto visto sin ora, tracciamo un profilo comune, se possibile, che attraversa questa campagna tale da renderla agli occhi di molti inopportuna tanto quanto le affermazioni di Guido Barilla di un mese fa.
La linea rossa che congiunge i due eventi può essere ricercata in un'identità di prodotto che punta sulla contrapposizione più che sull'affermazione. Assicurarsi fette di mercato crescente in un mercato dalla grande concorrenza impone dinamiche di posizionamento forti, che delineino l'unicità di ciò che abbiamo da offrire rispetto agli altri. Ma ciò va fatto secondo regole di inclusione e positività, di apertura e di moderazione.
La pubblicità comparativa esalta i punti forti del nostro brand,ci pone al di sopra dei nostri concorrenti senza che questi vengano dipinti come delegittimati o inaffidabili. L'attenzione su di sé non può e non deve togliere spazio alla correttezza, reale e percepita, dei contenuti mostrati. In questo senso Pomì sente di aver compiuto il suo dovere?
Anche volendo esimerci da considerazioni di eticità ed umanità che hanno fatto da filo conduttore della nostra analisi e volessimo cinicamente osservare il comportamento di Pomì in termini di strategia di marketing, una campagna "solo pomodori della pianura padana" aveva in sé gli elementi che avrebbero portato un danno di immagine così grande, con un costo, morale e finanziario, cui far fronte per un riscatto aziendale.
Da più angoli si guarda questa operazione più ci offre delle criticità che andrebbero discusse ed analizzate, più la osserviamo più i rischi di uscirne danneggiati si fanno largo rispetto ad i benefici. Pomì nelle sue intenzioni voleva salvaguardare i suoi prodotti e la correttezza con cui vengono trattati ma sembra abbia reagito di pancia, così come Barilla di pancia rispose alle provocazioni di Cruciani. Non ci stancheremo mai di sottolineare come una comunicazione di successo passi per iniziative ragionate, fatte usufruendo di competenze e professionalità che vadano di pari passo con un approccio umanista, sostenibile e responsabile, promuovendo campagne che tengano conto dell'impatto che hanno sul piano economico ma con un occhio sul piano sociale. L'utilizzo dei social è un po' come muoversi come un elefante in una cristalleria, basta poco, anche solo una distrazione per trovarsi in difficoltà e a dover rispondere di accuse per le quali a volte non si è neanche direttamente responsabili.