Il mondo dei social network, si sa, riserva sempre un sacco di sorprese e storie interessanti: quella che vi raccontiamo oggi, in particolare, può dare il là a una serie di riflessioni interessanti. Ma andiamo con ordine.
Una decina di giorni fa ha destato scalpore il caso scoppiato intorno all’account di Twitter @NatSecWonk, una delle tante Gole Profonde che ha agito negli ultimi decenni nell'ambito alle attività della Casa Bianca.
I fatti: un funzionario del governo federale americano, Jofi Joseph, nel febbraio del 2011 apre un profilo sul sito di microblogging più famoso del mondo da dove comincia a raccontare retroscena scottanti e commenti pungenti direttamente dalla sede presidenziale americana. Via via che i mesi passano, i tweet di @NatSecWonk si fanno sempre più scottanti, toccando argomenti inerenti alla sicurezza nazionale e facendo uscire dalle mure della Casa Bianca anche informazioni coperte da segreto.
Con il passare del tempo, Jofi ha pubblicato post sempre più scottanti, tanto da attirare l’attenzione della stessa Casa Bianca, che ha scoperto l’identità dell’anonimo gestore e obbligando Joseph a dimettersi.
Particolare non di poco rilievo, come racconta anche LaStampa.it, che Jofi era uno dei più brillanti giovani politici democratici USA, impegnato nel negoziato per il controllo del programma iraniano e, secondo alcune voci ben informate, pronto per approdare al Pentagono.
Cosa ha portato un politico rampante e rispettato, nel pieno della sua carriera politica a rischiare così tanto? Voglia d’informare o faciloneria dettata dal “lasciarsi prendere” dal gioco?
I social network diventano la nostra dimensione?
Prendiamo spunto da questa storia per avviare un’analisi più approfondita, che intreccerà caratteristiche dei network digitali più in voga alla predisposizione dell’utente all'utilizzarli: questo perché il caso di @NatSecWonk non è e sicuramente non sarà l’ultimo di una lunga serie dove l’identità fittizia prende il sopravvento sulla realtà "oggettiva", andando ad assumere un ruolo principale nella quotidianità tanto da indirizzarla e influenzarla.
Il primo assunto che ci sembra interessante è appunto il riferimento all’identità: quando si “vive” un social network, ogni utente “respira” in quell’ambiente. Ne assimila quindi le strutture e la caratteristiche, modellando il suo linguaggio e i suoi tempi sulle caratteristiche che il social network offre.
Su Twitter, per dire, l’interazione dev’essere continua, smart, veloce, per portare un utente ad acquisire audience sufficiente per diventare opinion leader. Su Facebook, è il meccanismo di condivisione contenuto a prevalere rispetto al dialogo: più propongo post ingaggianti e coinvolgenti, più il buzz premia il mio account avvalorando la mia presenza.
Cosa ha reso l’attività di Jofi Joseph da virtuosa a viziosa e dannosa? Il “voler strafare”: a forza di acquisire consenso, @NatSecWonk doveva diventare sempre più influente, originale, unico nel suo essere produttore di contenuti. Il progetto, per il contenuto e per la sua natura, probabilmente sarebbe potuto essere ugualmente efficace su altri social network, è vero: ma la natura virale di Twitter è unica nel suo genere.
Il pericolo di subire conseguenze nell’essere @NatSecWonk non ha spaventato Jofi Joseph, che assumendosi le sue responsabilità ha manifestato alla fine della vicenda la consapevolezza di aver esagerato, ma senza che il tutto gli fosse chiaro in essere.
Twitter era diventato un luogo tutto suo: come fosse casa sua. Uno spazio senza limiti, dove agire senza particolari restrizioni perché percepito come realtà famigliare e da abitare con regole che, tutto sommato, si possono sviluppare secondo una percezione totalmente soggettiva.
E allora: è così? I social network sono non-luoghi dove l’utente arriva, si stabilisce e detta le regole piegando – o meglio, performando - le strutture precostituite al suo volere? Sono veramente casa nostra, uno spazio che scegliamo di condividere con amici e followers e che si performa al nostro volere? E ancora: che costo si è pronti a pagare per creare spazi d’aggregazione sui social network dove la libertà d’espressione indirizzi la produzione di contenuti?
Saranno questa serie di domande il punto di partenza per una riflessione che ci porterà a sviscerare il panorama di Facebook, Twitter, Pinterest, YouTube e altri, dipingendo un ritratto preciso: quella che non esiteremo a definire, appunto, la casa dei social network.
Riprendendo la definizione sopra riportata, un non luogo apparentemente senza regole se non quelle relative alla funzionalità, che l’utente colonizza con i propri contenuti e che possono diventare la linea guida di una nuova costruzione d’identità.
Un fenomeno non nuovo, ma che può aiutare se, ad esempio, tendiamo a ipotizzare presenze di natura diversa da quella personale (e i brand sono un esempio che rientra nella categoria) e vogliamo capire quale sia il modo migliore per cominciare un nuovo processo di colonizzazione, con obiettivi precisi e legati alla dimensione del business.
La casa dei social network diventa quindi una sorta di rubrica: a ogni social network assoceremo una stanza, che diventerà metafora di un'analisi per capire in che modo ci muoviamo, letteralmente, nella dimensione web. Ogni post spiegherà perché abbiamo provato a definire un profilo preciso, così da ottenere un quadro che possa aprire una serie di interpretazioni: ciò che si può fare e in che modo ottimizzarne le peculiarità, perché per quanto simile all'altro ogni social network offre delle possibilità differenti.
Seguiteci nelle prossime settimane: ad accompagnarvi in questo viaggio ci sarà, oltre a chi vi scrive, Emanuela Goldoni aka Kora-Bakeri.
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