Dagli anni Settanta gli economisti discutono degli effetti del salario minimo sull'occupazione. Alcuni affermano che riduce l’accesso al mercato del lavoro delle persone meno qualificate. Altri, invece, sostengono che mantiene la coesione sociale. Dopo gli ultimi provvedimenti adottati da Germania e Inghilterra, anche il quotidiano francese Le Monde si inserisce nel dibattito in corso sull'opportunità o meno dell’adozione di questo importante strumento proprio del modello sociale europeo.
Come viene utilizzato in Europa?
Il 16 gennaio il governo britannico si è impegnato ad aumentare il salario minimo, che entro il 2015 dovrebbe passare da 6,31 a 7 sterline (cioè circa 8,5 euro) all'ora. Anche la Cancelliera tedesca Angela Merkel ha annunciato a novembre di voler introdurre il minimo a 8,50 euro, allargando così la fascia di Paesi che fanno uso di questo strumento.
Attualmente 21 dei 28 stati che compongono l’Unione europea prevedono un salario minimo nazionale, e sono: Belgio, Bulgaria, Croazia, Estonia, Francia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Regno Unito, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Ungheria.
Questi stipendi cambiano molto a seconda dello Stato: si passa da importi lordi di 157 euro in Romania a 1.462 in Irlanda, fino ai 1.874 euro in Lussemburgo, che comprendono anche le imposte sul reddito e i contributi in sicurezza sociale.
L’Italia, con l’Austria e i paesi scandinavi fissa le retribuzioni per contrattazione con le parti sociali a livello aziendale o per singolo contratto di categoria.
Ma fa davvero bene all'economia il salario minimo?
Già in un documento del 2012 la Commissione europea parlava di come il salario minimo potesse evitare l’aumento della povertà lavorativa e di come garantisse la qualità e la dignità dei posti di lavoro. Alcuni economisti non sono però del tutto convinti. Come spiega a Le Monde, il salario minimo permette anche ai lavoratori meno qualificati di guadagnare di più, anche se sono lavoratori a bassa produttività. Ciò rende la loro assunzione non conveniente per le imprese che, al contrario, pagherebbero volentieri in base alla produttività, anche se bassa. un salario minimo troppo alto scoraggia quindi l'assunzione di lavoratori scarsamente qualificati.
La regola del 60%
Secondo alcuni esperti gli eventuali effetti negativi dipendono anche dal rapporto tra il salario minimo e il salario medio del paese. Secondo molti, quando il salario minimo corrisponde al 60% del salario mediano gli effetti negativi sono assicurati. Una indennità di lavoro troppo elevata potrebbe:
- indurre il lavoratore a scegliere di non lavorare
- deprimere al ribasso le retribuzioni della contrattazione singola
- fare in modo che parte dell'occupazione cada nel sommerso.
Si teme inoltre che gli studenti preferiscano abbandonare o rinunciare alla formazione in apprendistato e scegliere lavori non qualificati e senza formazione, ma con il salario minimo, rischiando di danneggiare la loro occupabilità futura.
Un salario minimo Europeo?
In un mercato del lavoro libero come quello europeo sarebbe impensabile perché le differenze salariali tra paese e paese sono troppo ampie. A guadagnarci sarebbero soprattutto i lavoratori dei paesi di nuovo ingresso nell’Ue mentre la concorrenza porterebbe al ribasso i salari dei lavoratori dei paesi più ricchi.
L’idea è quella di non realizzare un unico salario minimo europeo in termini assoluti, ma una norma a livello europeo, definendo un livello relativo per un piano salariale nazionale in relazione al potenziale economico di ogni Paese e in base alle prestazioni. In pratica, potrebbe essere possibile pensare in termini di un obiettivo comune per tutti i Paesi d’Europa, così da aumentare gradualmente il salario minimo a un livello corrispondente al 50%.
Siamo sicuri che il tema sarà molto dibattuto durante l’ultimo mese di campagna elettorale per il rinnovo del parlamento europeo e solo dopo il 25 maggio sapremo se l’Europa sarà volta ad una integrazione anche a livello salariale o porterà avanti interessi nazionali e protezionistici.