Dopo aver presentato i primi due speaker del TEDxMatera, ovvero Federico Ferrandina e Alex Giordano, abbiamo avuto il piacere di confrontarci anche con un'altra personalità di rilievo nella panoramica internazionale: Barbara Serra, sicuramente tra le giornaliste più influenti nella nostra società.
Chi è Barbara Serra
Barbara Serra è una giornalista televisiva con dieci anni di esperienza presso i più prestigiosi canali all-news internazionali. Dal 2006 conduce il TG dalla sede di Londra per Al Jazeera English, il canale in lingua inglese del gruppo televisivo Arabo, Al Jazeera. È anche corrispondente per Al Jazeera, e ha fatto reportage da tutta Europa, da Washington DC e dal Medio Oriente, dove ha preparato vari servizi da Israele, la Cisgiordania e Gaza. Nel 2009 ha seguito il viaggio del Papa Benedetto XVI in Terra Santa, diventando la prima giornalista di Al Jazeera a viaggiare sul volo Papale. In precedenza, è stata corrispondente per Sky News dal 2003, lavorando su storie di cronaca britannica ed internazionale. Fra i vari incarichi, è stata inviata a Roma per la morte di Papa Giovanni Paolo II e in California per il processo di Michael Jackson.
Nel 2005 ha iniziato a condurre il TG per Channel 5 (prodotto da Sky News) diventando la prima conduttrice di TG non di madre lingua inglese sulla televisione Britannica. Barbara ha iniziato la sua carriera nel 2000, alla sede generale della BBC a Londra, come collaboratrice per il programma Today su BBC radio 4, e poi come collaboratrice/reporter per BBC London News, il servizio regionale TV e Radio della BBC per Londra. Barbara collabora spesso anche con i media italiani. Nel 2011 e 2012, ha condotto due stagioni di "Cosmo", programma di divulgazione scientifica domenica sera su Rai Tre. Dal 2007 partecipa da Londra al programma TV Talk su Rai Tre.
Per la carta stampata, Barbara ha scritto vari articoli per il Magazine del Corriere della Sera toccando, fra i vari argomenti, il tema del femminismo in Italia e la situazione nella Striscia di Gaza. Barbara è nata a Milano da genitori italiani, ma è cresciuta all’estero, prima in Danimarca e poi in Inghilterra. Ha una laurea in Relazioni Internazionali dalla London School of Economics e un Masters in Giornalismo dalla City University a Londra.
In base alla sua esperienza, com'è possibile contribuire oggi al giornalismo italiano?
"Vorrei fare una premessa: esiste un po' il mito che in Italia non ci sia la Stampa libera. C'è da dire invece che in Italia ognuno è libero di dire ciò che vuole senza il pericolo che venga picchiato o arrestato, cosa che invece succede, come stiamo vedendo, per esempio in questo momento in Egitto, che tiene in prigione quattro dei nostri giornalisti da mesi e mesi. Perciò non è corretto dire, come si sente a volte, che l'Italia non sia un Paese libero.
I giornali sono un business e il pubblico dovrebbe sempre tenerlo a mente. Ci sono sicuramente dei conflitti di interessi più gravi di altri, ma questo dipende da particolari leggi che esistono in alcuni Paesi e in altri no. In Italia c'è molta, troppa influenza politica sulle testate giornalistiche sia tv che stampa. Perciò come si può fare giornalismo in Italia? In Italia ci sono tante storie incredibilmente rilevanti, l'Italia è un Paese molto stimolante per un giornalista, che non può mai annoiarsi qui. Certo, ci vuole anche coraggio in Italia a fare questo lavoro più che in altri luoghi.
Per quanto riguarda l'indipendenza dei gruppi editoriali anche fuori dall'Italia si assiste a una condizione per cui ci sono interessi partitici e sono solo questi, nelle forme più importanti, a costituire un reale problema per la gente. Anche all'estero è così. Anche in America è così, dove i giornali più che legati ad una politica sono impostati ideologicamente, cosa che di per sé non costituisce un problema, in quanto si possono avere idee di destra o di sinistra ma mantenere comunque una posizione neutrale nel trattare una notizia. Dobbiamo perciò avere fiducia nel pubblico aiutandolo a capire cosa sta leggendo, ma dobbiamo lasciare che ognuno scelga liberamente il proprio canale di informazione.
In Italia si può contribuire al giornalismo, quindi, trovando storie di inchiesta e cronaca che veramente sappiano cambiare poco a poco il sistema".
Che tipo di formazione è necessario avere per lavorare nel mondo dell'informazione?
"Molti dei colleghi che ho avuto in posti importanti, come Al Jazeera o Sky News, non hanno neanche la laurea. Io credo che il giornalismo non sia un lavoro, ma un mestiere.
Il nostro lavoro è raccontare il mondo e dire davvero cosa sta succedendo; per farlo non hai bisogno di una laurea. Naturalmente ci sono alcune cose che devi imparare per non finire in galera e non far male qualcuno, ma quello lo impari in tre mesi. Perciò se mi chiedi qual è la formazione che bisogna avere, ti rispondo: vivere, guardarsi attorno, essere curioso, essere intelligente, saper scrivere correttamente, andare veramente a scovare nei dettagli e non essere superficiale, chiedere tutti i pareri legati ad una storia, ricordarsi che ci sono sempre tantissime versioni di un evento e mai solo una, essere coraggiosi, essere pronti ad avere la mente aperta.
Il mondo del giornalismo è diventato talmente tanto competitivo che sta passando l'idea che fare il giornalista sia come fare l'avvocato o il medico. Ma non è così, considerando che per fare uno stage è richiesta la Scuola di Giornalismo, Nel mio libro, Gli italiani non sono pigri, ho parlato con tanti ragazzi italiani e a proposito di questo sbarramento uno di loro ha affermato che sia "come pagare una tangente". Dal mio punto di vista questo sistema è sbagliato, perché il giornalista, per definizione, deve riflettere molto sulla propria società. Se si chiede di conseguire una laurea, un'altra laurea, un post laurea, poi uno stage, si stai selezionando chi, con i soldi di famiglia, poteva permettersi tutti questi passaggi e si sta tagliando via quelli che magari a diciotto anni erano andati a trovarsi un lavoro e magari a venticinque hanno un'idea più chiara di come davvero funziona la società.
Pensa che a Londra non c'è neanche l'albo dei giornalisti".
Cosa pensa dell'affermazione "I giornali sono in crisi, ma il giornalismo non è mai stato meglio" di Alan Rusbridger di due anni fa?
"Io ho iniziato a lavorare come giornalista nel 1999, quando c'erano molte meno opzioni rispetto ad ora. Basta pensare che oggi solo la tv ha moltissimi canali di all news rispetto al passato, o che la radio ha i suoi canali digitali e che, se i giornali sono in crisi, non lo è l'esigenza di scrivere, di avere un blog, di fondare una testata, di studiare come la gente si fida di questi canali.
Ma le cose stanno cambiando e per me, quando questo avviene, significa che allora si stanno aprendo più opportunità. Sta tutto cambiando. Non è più il momento di sognare di condurre il tg delle 20:00, perché tra qualche anno non esisterà neanche più il tg delle 20:00. Oggi il giornalista deve guardare al futuro, non pensare al passato. Facebook, per fare un esempio, è stato inventato da un ragazzo che ha cambiato il mondo per quanto riguarda i contatti sociali, ma chi mai avrebbe detto "da grande voglio fare qualcosa come Facebook"? Il cambiamento importante è arrivato da un giovane. Ecco perché sono completamente d'accordo con Alan Rusbridger".
A suo parere, quanto i social media aiutano la diffusione delle idee scientifiche ed innovative?
"C'è un pericolo sui social media: la gente segue solo le cose a cui è interessata e non segue gente che non pensa come loro. Quindi seguire persone interessanti significa seguire persone con cui vai d'accordo. Non c'è niente di male in questo, ma ti stai chiudendo.
Per fare un esempio: il direttore del Tg1 sceglie ogni giorno le sette, otto storie che sono più importanti da far conoscere al pubblico italiano quel giorno. Questo è il lavoro di un direttore di un telegiornale. Su Twitter sei tu che scegli la scaletta delle notizie da seguire, quindi se puoi scegliere di seguire le persone che la pensano come te sui temi che più ti interessano, non necessariamente avrai un'immagine di quelli che sono i temi più importanti in assoluto.
Per fare un altro esempio, fino a qualche anno fa nessuno seguiva l'economia, poi c'è stata la crisi dell'Euro e adesso ci troviamo dove sappiamo. Perciò i social media, in questo senso, conservano il pericolo che la gente si chiuda e segua le mode del momento".
Può darci qualche anticipazione dall'intervento che terrà ad TEDxMatera?
"Rispetto al tema dell'Ancient Future è interessante parlare di Matera rispetto alla sua storia perché, lavorando da Al Jazeera e avendo origini meridionali -mia madre è siciliana-, posso dirti che noi mediterranei che siamo abituati a considerare come "antiche" le cose che viviamo e lo diamo quasi per scontato. Ho letto su internet la lista dei luoghi più antichi e ho scoperto che in Siria c'è una delle città più antiche del mondo, poi c'è Atene, poi c'è l'Egitto, c'è Gerusalemme, c'è la Terra Santa, e alla luce di queste scoperte il nostro concetto di'antichità cambia di connotazione. Se infatti consideriamo Grecia, Siria, Israele, Palestina, Egitto e Italia ci rendiamo conto che l'antichità, com'è stato nel vostro straordinario caso, non è garanzia di successo.
Tutto questo ci porta al tema del Cambiamento: non vuol dire infatti che avere una grande storia significhi avere un grande presente e sto cercando quindi di interpretare l'Ancient Future rispetto alla necessità di rinnovare il Paese, di cambiare la società, di cambiare la mentalità.
L'argomento principale è che noi, in Italia, guardiamo molto al sistema anglosassone che è riuscito a diventare dinamico, competitivo e, nonostante tutti quanti i suoi difetti, comunque ha successo.
Allora io paragonerò questo sistema, in cui sono cresciuta e che conosco, con quello italiano e userò la parola d'ordine di questo momento, che è "meritocrazia". Tutti ne parlano come la soluzione ai nostri problemi, perché è giusto, ma nessuno parla davvero di che cosa sia la meritocrazia.
Dopo vent'anni che lavoro a Londra posso dirti che la meritocrazia è molto più spietata di quanto ne parlino in Italia, perché la meritocrazia non premia i bravi, ma i migliori. Ma per diventare il migliore devi saper competere e devi riuscire ad alimentare un'ambizione che hai dentro. Noi in Italia invece parliamo di meritocrazia come se fosse un antidoto a tutto, ma non capiamo cosa voglia dire.
La meritocrazia premia la competività, il lavoro e l'ambizione. A Londra arrivano ogni giorno cinquemila persone nuove, tutte con un curriculum. Ogni giorno arrivano cinquemila curriculum nuovi e bisogna scegliere il migliore. Gli altri poi si rimettono in gara, una delle grandi differenze tra Non si può dire che a Londra possa contare il curriculum, quindi. Una delle più gradi differenze tra un giovane italiano e un giovane inglese è proprio nella questione della mentalità, perché bisogna saper competere, saper perdere e saper rimettersi in gioco. Gli italiani tendono ad arrendersi alla prima sconfitta.