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Grazie al progetto Kids react, un format web tv dedicato all'infanzia ideato e diretto da The Fine Brothers, si ricreano e si simulano situazioni in cui il web ancora non esisteva e si arrivano a comprendere quali competenze abbiamo perso e quali abbiamo acquisito attraverso il supporto della tecnologia nella vita di tutti i giorni.
La puntata "Kids react to walkmans" risulta particolarmente illuminante ai fini del nostro discorso: ad alcuni bambini vengono dati dei lettori musicassette e queste sono le loro reazioni.
I nativi digitali hanno ucciso il vecchio modello dell'industria musicale
Non posso negare che, non essendo una nativa digitale, ho provato tenerezza e nostalgia nel rivedere il walkman che, prima dell'arrivo di iPod, iPhone e soluzioni cloud, ha fatto parte della nostra vita fino a poco tempo fa (e ci faceva sentire molto moderni a portare in giro la musica con noi, prima importante innovazione che ha preceduto il concetto di "mobile").
Ad ogni modo, questi sette minuti di video mostrano nel concreto quale grande cambiamento sia avvenuto nelle nostre società in pochi anni, e in che senso la "generazione internet" sembra aver definitivamente perso l'abilità di manipolare oggetti "antichi" preferendo la tecnologia.
Quel che è più emblematico in questa osservazione è che sì, i nativi digitali hanno praticamente già scelto quale sarà il futuro della musica, e il dibattito sul cambiamento del business discografico è ristretto soltanto fino alla mia generazione, quella degli anni '80 e '90.
Galeotto l'esempio usato da Mario Calabresi al 66° Congresso mondiale dell’editoria tenutosi pochi giorni fa e dedicato "Alla ricerca di un futuro digitale credibile", in cui spiegava come il settore discografico sia stato il primo a essere colpito dalla disruption digitale e come stia riuscendo a rinnovarsi, ho deciso di approfondire meglio il processo di cambiamento del business musicale che stiamo vivendo.
Se da un lato infatti i vecchi metodi di produzione e distribuzione del prodotto discografico siano entrati largamente in crisi, di certo per questo la musica non è morta. E non morirà.
Come funziona la musica
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Immaginiamo di poter smontare il risultato finale di una composizione musicale per poter capire come sia stato costruito: i musicisti solitamente compongono un brano in funzione del contesto in cui verrà ascoltato. Un tempo c'era Bruce Springsteen che restava in studio per tre anni per incidere Born to run - scrive David Byrne in How music works - quei giorni però sono finiti perché fare musica oggi ha un valore di per sé, con una compensazione che non è soltanto economica, e deve avere un suo tempismo rispetto a cambiamenti sociali in atto.
Infatti un tempo gli artisti anticipavano tendenze e mode dando vita a nuovi fenomeni culturali, mentre oggi sono i consumatori a indicare al mercato cosa desiderano e come preferiscono riceverlo, e i produttori, al contrario, ora seguono le nuove tendenze.
La scena musicale attuale è caratterizzata da nuovi modelli di contratto, nuovi obiettivi nel creare collaborazioni tra artisti e nuove funzionalità che un testo musicale deve avere in rapporto ai prodotti cinematografici e pubblicitari. È all'interno di questo contesto che il processo di produzione musicale si è drasticamente evoluto e, con la diffusione delle tecnologie e delle soluzioni digitali, la musica ha iniziato a fare i conti con le esigenze dei nuovi consumatori, trasformandosi in un racconto vero e proprio che viene scritto in base alla piattaforma di diffusione.
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In buona sostanza, la musica ha imparato a fare crossmedia, oggi è un nuovo prodotto della comunicazione e si avvale non poco degli strumenti social e crowdfunding.
Lo streaming è diventato il modo preferito per ascoltare musica
La generazione dei nativi digitali ha accesso tanto alla diffusione e all'ascolto di musica in massa, on-line e spesso gratuitamente, quanto ai modi di produzione, dando così il colpo di grazia agli ultimi sussulti di un'economia morente.
Fonte: lesinrocks.com
Con la digitalizzazione il fatturato dell'industria musicale è diminuito del 62% in dieci anni, e la spirale discendente ha toccato il fondo tra il 2011 e il 2012, con una leggera ripresa dell'1% nel 2013, la speranza è che il periodo più buio nella storia del settore sia finita.
Questi numeri si spiegano perché mentre le gradi etichette discografiche lottano per mantenere ancora il privilegio di vendere dischi in tutto il mondo, sia in analogico che in digitale, dal tempo i modelli peer-to-peer in streming, in aumento negli ultimi anni, hanno reso la vendita del disco alla base di un modello di business non più redditizio.
Parallelamente la generazione internet sta guidando i cambiamenti di mercato e controlla l'offerta avvalendosi delle nuove forme di distribuzione e di fruizione del prodotto musicale.
Fonte: lesinrocks.com
Scaricare musica, guardare video su YouTube, costruirsi playlist su Spotify, seguire gli account Soundcloud e Instagram dei musicisti, condividere le loro canzoni su Twitter o su Facebook, sono funzioni di una nuova società della comunicazione che la sociologia non ha ancora messo a fuoco.
Un nuovo marketing musicale
I giovani consumano di più, più velocemente e sono più propensi a fare zapping: i primi mercati che hanno deciso di beneficiare di queste pratiche sono stati quello dell'abbigliamento, delle bevande e della telefonia, concentrandosi sull'influenza capace di generare un artista, rispetto anche al numero di dischi che vende.
Il nuovo modello di business trae profitti dall'immagine dei musicisti, oltre che investendo direttamente nei loro progetti, sfruttando la musica come molti altri prodotti editoriali, cioè come un contenuto che consente di sviluppare nuove declinazioni di marketing.
Il mondo della musica rappresenta perciò una gallina dalle uova d'oro per le aziende in grado di fare un inventario di nuovi metodi di consumo musicale. Lungi dall'essere passiva, questa generazione sta sviluppando insomma nuovi modelli e nuovi circuiti che aiuteranno il rinnovamento di tutti i più importanti mercati, rapportandoli con le esigenze di sostenibilità.
Fonte: lesinrocks.com
I produttori indipendenti ringraziano, ma le major accusano un calo importante
Oltre a preferire la maggior parte della musica on-demand, i nativi digitali sono anche più propensi a creare un approvvigionamento e favorire la distribuzione dei prodotti musicali al di fuori dei canali tradizionali.
Registrare musica non è mai stato così facile come oggi: bastano un pc e alcuni software che riprodotto uno studio di registrazione in casa propria. Non c'è bisogno di un tecnico del suono, se non addirittura degli strumenti stessi in quanto il software ce li ha di default, per non parlare dell'immediatezza nell'imparare ad usarlo: basta fare un giro su Youtube e cercare qualche tutorial, e anche questo passaggio viene subito risolto.
Se consideriamo che uno dei programmi più efficaci e più facile da usare, Logic Pro di Apple, costa solo 200 dollari, e che questa cifra è l'equivalente di mezza giornata in uno studio di registrazione, i conti sono presto fatti.
Un esempio di tutto questo è rappresentata da Somebody That I Used To Know, singolo dei Gotye che si è classificato nella top 10 in 30 paesi e ha venduto 11,8 milioni di copie, fissando il record della più importante vendita digitale di tutti i tempi e vincendo il Grammy Award alla registrazione dell'anno: si tratta di una canzone che è stata registrata nella casa dei genitori dell'artista a Melbourne.
In questi ultimi anni il numero di produttori indipendenti è aumentato in modo esponenziale, gli artisti o le etichette emergenti che vogliono concentrarsi sulla produzione artistica spesso decidono poi di occuparsi anche del marketing, della strategia di sviluppo business e della distribuzione, oppure creano partnership ad hoc per farsi aiutare in uno di questi compiti specifici, evitando i contratti con le grandi case discografiche che acquisirebbero gran parte dei diritti e dei profitti sul lavoro finito.
Credo sia importante capire che questa metamorfosi non avviene contro le etichette, ma sta semplicemente creando un altro settore in ambito musicale, sviluppando un'intelligence discografica affidata alle scelte autentiche dei fruitori di musica, piuttosto che su costruzioni a tavolino di gruppi e di voci migliorate in studio, che onestamente mancava da molti decenni. Se consideriamo che la EMI, una delle quattro grandi case discografiche che sono riuscite a monopolizzare il mercato musicale, che esisteva dal 1931 (finché due anni fa la Universal ha rilevato la società, che con quest'azione ha raggiunto uno share di mercato del 42,9%), aveva un quota del mercato mondiale del 13,4%, e che nel complesso le major riuscivano a genera il 77% del fatturato nel settore della musica con solo l'1% degli artisti di tutto il mondo, appare normale che oltre alla convenienza economica di far musica da soli ci sia anche un'esigenza di superare gli ostacoli oggettivi che permangono nel settore.
Infine, un altro dei cambiamenti importanti che si registra nel mondo della musica è il crescente interesse per concerti e festival, in un mix di copertura economica che proviene dagli spettatori e un'altra che deriva dagli sponsor pubblicitari, evitando così anche il finanziamento pubblico di eventi culturali, altra piaga per la fruizione della musica.
Piattaforme di streaming: in base ai consumi, Spotify potrebbe uccidere iTunes
Secondo i dati diffusi da Nielsen e Billboard, lo scorso anno le vendite di download degli album sono aumentate del 6,3% mentre le vendite di CD sono crollate del 14%.
Tra le piattaforme di streaming, a parte la più popolare YouTube, che impone requisiti rigorosi per garantire l'indipendenza degli artisti, minacciando anche di censurare i video dalla piattaforma in caso di violazioni, il mercato è attualmente conteso da attori come Apple, con il music business proposto su iTunes, oppure come Spotify, Pandora e Rdio.
Tutti offrono grandi quantità di musica gratuitamente con diversi vincoli, che per la maggior parte vengono rimossi in cambio dell'acquisto di una versione pro dell'applicazione, oltre ad essere supportate dal digital advertising: è così che lo streaming continua a vivere una crescita enorme, con oltre 50 miliardi di audio e video stream scaricati durante la prima metà dell'anno, secondo dati Nielsen. Stando sempre a questa fonte, il numero totale di flussi è aumentato dall'anno scorso del 24%, ma quello che non sappiamo è se lo streaming potrà essere redditizio vendendo singoli download a 0,99 euro.
Considerando però anche che gli utenti sopportano sempre meno la pubblicità che interrompe l'ascolto e che Spotify consente di aggirare la questione offrendo un canone mensile di abbonamento, neanche iTunes radio -idea nata per fare promozione dei brani e aumentare le vendite su iTunes- riuscirà a conquistare più di tanto gli utenti che, al momento, preferiscono i servizi di Spotify.
Spotify ha così attirato più di 6 milioni di abbonati, consentendo loro di ascoltare qualsiasi canzone della propria biblioteca musicale grazie ad un abbonamento di 9,99 dollari al mese.
Per ora, comunque, nessun servizio streaming ha fornito dati sui guadagni reali per poter considerare questa contesa già risolta da qualcuno.
Ma in base alla produzione è GooglePlay che potrebbe avere la meglio su tutti
Google Access Music è un modello simile a Spotify, on-demand e che è molto più redditizio per le etichette.
Dal canto loro, infatti, le case discografiche e gli editori musicali non vogliono un altro servizio web radio che soddisfi solo i requisiti di consumo della musica, che ma non paga loro molto, ma ritengono molto importante che i nuovi servizi digitali li ripaghi con una quota equa delle entrate.
In questo modo l'industria musicale tende ad avvicinarsi di più ad aziende come Apple e Google, che si sono fino ad ora focalizzata sulla vendita del download singolo, abbracciando ciò che le etichette intendono per "modelli di accesso" al mercato della musica.
Le case discografiche sperano così che Apple e Google possano realizzare un lavoro migliore dei propri competitor, perché questi titani tecnologici sono gli unici player di mercato che possono permettersi una perdita intanto che si evolvano ancora i loro ecosistemi globali, che comprendono smartphone, tablet e set-top box per comprare musica direttamente sui propri device e ascoltarla dove si preferisce.
[Update: per completezza delle informazioni aggiungo che in un comunicato stampa del 5 giugno 2014, Dori Ghezzi, Presidente onorario di PMI - Produttori Musicali Indipendenti, ha dichiarato che "tale opportunità non va scambiata per totale subordinazione ai colossi come Google: non è possibile accettare compensi inferiori a quelli offerti alle multinazionali o a quelli che già si ricevono da servizi equivalenti". Per questa segnalazione si ringrazia Andrea Corelli].
Dall'Italia la startup musicale che ha conquistato il mondo: musiXmatch
MusiXmatch è il player musicale numero uno sia del Play Store che dell’App Store di Apple, registrando oltre 20 milioni di utenti. Si tratta di un'applicazione che fa da player musicale e integra sistemi di riconoscimento dei testi in stile Shazam, permettendo automaticamente la sincronizzazione della propria collezione musicale con i testi delle canzoni. L'idea è innovativa e prima di questo momento non era stata ancora realizzata da nessuno: l'app abbina ad ogni canzone tutte le informazioni possibili, come autore, biografia, album e inoltre, andando a riprodurre la musica, fornisce tutto il suo testo corrispondente.
Il riconoscimento dei testi è utilizzabile anche al di fuori dei brani inseriti nel device e sono chiaramente condivisibili attraverso tutti gli altri social network, dulcis in fundo l’intero sistema funziona in crowdsourcing, cioè i testi vengono inseriti manualmente dagli utenti e non dalla software house.
Come si evolverà questo servizio e quali modelli di business svilupperà ancora? Possiamo aspettarci nuove contromosse da Google oppure big come questo seguiranno i trend nascenti? Come cambierà ancora la musica? Il discorso non finisce qui. Continuate a seguirci.