Alla nuova edizione del Forum delle Eccellenze, che inizierà il 29 novembre prossimo a Milano, ci sarà anche Francesco Gallucci, uno tra i massimi esperti di neuromarketing, il cui lavoro è teso principalmente a comprendere le dinamiche che influenzano le persone nel prendere decisioni.
È per questo motivo che insieme a Michael Gelb, Kjell Nordstrom, Mauro Berruto e Alex Bellini, Francesco Gallucci interverrà a proposito del cambiamento legato al tema dell'innovazione per stimolare a imprese e professionisti attraverso dati, esempi e casi di studio rilevanti. Ecco intanto come ha risposto per noi in anteprima sull'evento tanto atteso.
In che momento il marketing smette di fare il suo dovere?
Innanzitutto c'è il problema generale che il marketing non ha elaborato tutti i possibili benefici derivanti dalla tecnologia. L'innovazione sembra incontrare più resistenze nel mondo del marketing rispetto alle altre funzioni aziendali. Ciò dipende principalmente dal fatto che l'impresa non è organizzata per sviluppare efficaci strategie di marketing integrando i diversi media e canali e ciò penalizza la capacità di comunicazione dei brand e dei suoi valori attraverso, ad esempio, lo storytelling, il brand content e il brand entertainment.
Il marketing smette di fare il suo dovere anche quando si tratta di conoscere i bisogni dei propri clienti o di anticiparli. In questo senso le neuroscienze potrebbero dare un contributo di conoscenze consistente e ridurre notevolmente il rischio associato al lancio di un nuovo prodotto o di una nuova campagna. Un problema più generale riguarda la scarsa diffusione dell'approccio “scientifico” al marketing nel nostro Paese che potrei riassumere nella criticità di come misuriamo le cose. Se ad esempio vogliamo quantificare l’impatto che l’uso dei social ha su ogni brand, dovremmo aver cura di creare un misurazione ad hoc almeno per ogni categoria di prodotto, invece si fa tutto allo stesso modo.
Il secondo problema è che la maggior parte dei decisori pensa oggi che l’advertising fatto sui media tradizionali continui ad essere la più efficace. Ma cosa vuol dire essere efficace? Penso che con tale termine vogliamo intendere la capacità di persuasione e di spinta all'acquisto. Con i media tradizionali abbiamo perso queste certezze e ormai si parla quasi esclusivamente di esposizione e di audience. Con i nuovi media, invece si guarda sempre di più al coinvolgimento emotivo e all'interazione che producono migliori risultati sulla capacità di decisione e di trasformazione in acquisto.
Ma si tratta di meccanismi sfuggenti e di certo le metriche in nostro possesso non sono affidabili come credevamo in passato, tantomeno possono venirci in aiuto le ricerche di mercato tradizionali. La novità dei nuovi media, invece, è che possiamo capire qual è il “sentiment”, ovvero l’opinione generale degli utenti rispetto a questo o a quel brand. Si passa da una pubblicità persuasiva e insistente all’aggiungere valore su valore per coinvolgere il cliente. Anche in questo ambito disponiamo ormai di neurometriche consolidate che ci aiutano a comprendere e a quantificare gli effetti cognitivo-emozionali della comunicazione o dell'esperienza di consumo dei nuovi prodotti.
Qual è il ruolo del cervello umano all'interno dell'evoluzione tecnologica?
L'evoluzione del cervello e l'evoluzione della tecnologia procedono in parallelo.
Quanto più siamo in grado di accrescere le nostre conoscenze e creare nuove connessioni tanto più aumenta la nostra capacità di creare nuovi presupposti per fare un balzo tecnologico imprevedibile accelerando l'evoluzione in modo non lineare ma logaritmica.
Infatti, un processo evoluzionistico qual è quello della tecnologia nel tempo accelera perchè si creano nuove funzionalità che servono per fare il prossimo passo. Se riportiamo su un grafico i pilastri dell'evoluzione biologica prima e quella umana poi si coglie una tendenza molto chiara: una radicale e profonda accelerazione del processo evoluzionistico.
Ad esempio il primo passo nell’evoluzione biologica, l’evoluzione del DNA, ci ha messo miliardi di anni, ma poi l’evoluzione ha usato quella spina dorsale di processo d’informazione per fare il passo successivo. L’esplosione Cambriana quando tutti i corpi animali si sono evoluti, ha richiesto solo 10 milioni di anni, 200 volte più veloce. E poi arriviamo noi l’homo sapiens, la prima specie che ha creato la tecnologia, la specie che ha unito la funzione cognitiva con un appendice opponibile e ha richiesto centinaia di migliaia di anni. Dai primi strumenti di pietra l’uomo ha sempre usato la tecnologia di ultima generazione per creare la generazione successiva: la stampa ci ha messo un secolo per essere adottata, i primi computer erano progettati con carta e penna, ora usiamo computer.
Sembra proprio che il tasso di adozione di nuove idee raddoppia ogni decennio, ci abbiamo messo mezzo secolo per adottare il telefono, la prima tecnologia della realtà virtuale tecnologie recenti, come il PC, il web, i cellulari, in meno di un decennio. Possiamo affermare che l'accelerazione logaritmica della tecnologia sia fortemente legata allo sviluppo delle conoscenze che il cervello acquisisce continuamente e che sta imparando a memorizzare anche in spazi esterni e pubblici e quindi condivisi e accessibili in qualunque momento anche se apparentemente in modo caotico.
Sembrerebbe un processo molto irregolare e casuale ma la crescita esponenziale della conoscenza condivisa e della tecnologia è invece un risultato molto omogeneo e costante.
Nell'era del consumo consapevole è ancora possibile “vendere con le emozioni”?
L'iperofferta che ci circonda sta alla base della nuova ecologia dei consumi. Possiamo accedere a centinaia di migliaia di prodotti, siamo avvolti da un sistema che comunica continuamente attraverso miriadi di piccoli e grandi device. Attrarre il consumatore vuol dire prima di tutto stimolare la sua attenzione e indirizzarla sui contenuti di un messaggio per qualche frazione di secondo, quanto basta per innescare il desiderio di approfondimento. Ciò che muove l'interesse del consumatore non è un meccanismo razionale, il tempo di esposizione è troppo limitato, ma è emozionale.
Quindi si deve partire dall'attenzione, di cui si occupa una nuova branca di studi, l'economia dell'attenzione appunto, e di come questa può essere attratta da particolari stimoli emotivi che guidano le scelte di ognuno di noi e attraverso queste convogliano verso un obiettivo sogni, desideri e traguardi da raggiungere. Sappiamo che ogni persona ha un desiderio perché è mossa da un'emozione. La vendita emotiva riguarda i processi di scelta del consumatore, diventa efficace se riesce a comprenderne il linguaggio e quelle zone dell'interesse che definisco “aree della pertinenza”, ovvero dove i bisogni più sentiti dei consumatori affiorano in mondo più evidente e la cui conoscenza può consentire di progettare le nuove proposta e creare occasioni di vendita in grado di suscitare attenzione ed emozioni.
In che modo il neuromarketing può sostenere valori sociali ed economici creando un valore maggiore rispetto al mero guadagno delle aziende?
L'attenzione e i desideri delle persone si stanno spostando sempre di più sui valori “spirituali”, sui valori etici e su quelli in grado di suscitare emozioni positive. A queste deve ispirarsi chi pensa e produce prodotti e servizi di qualsiasi natura. Lo stesso vale per la comunicazione che deve essere in linea con il nuovo sentire dei consumatori. Le esperienze delle aziende sul web e sui social media confermano in modo evidente tale tendenza, le aziende di successo sono quelle che riescono a portare nel loro business l'autenticità, le emozioni, la trasparenza e l'empatia.
Hanno più successo i brand che sanno raccontarsi in modo credibile ed elargire esperienze emotive e valori sociali che non puntano in modo esclusivo al profitto. Il neuromarketing è lo strumento di ricerca più efficace per cogliere, attraverso lo studio delle reazioni profonde agli stimoli i livelli di empatia e di pertinenza attivati sui consumatori fornendo in tal modo indicazioni preziose per modificare i contenuti stessi dei messaggi.
Cosa influenza le decisioni di acquisto oggi?
Gli studi più recenti sui processi decisionali dei consumatori dimostrano che ogni fase è accompagnata e preceduta dall’attivazione di neuroni.
L'attivazione neurale non è una semplice conseguenza dell’azione in quanto tale, ma deriva dallo scopo che il consumatore si è prefissato. Questo è un'obiettivo di fondamentale importanza per il marketing.
Tuttavia, l’acquistare è un processo che molto spesso scaturisce dall’interazione tra la mente emotiva e la mente cognitiva, cioè tra processi automatici e i processi razionali. Nel momento in cui la corteccia frontale orienta la scelta dell’individuo, la sua mente emotiva ha già concluso il processo decisionale. Questo dimostra che le emozioni sono una componente imprescindibile dei processi che regolano le decisioni, e non solo un input che devia il cervello consapevole dalle scelte razionali. Altri studi ci dicono che le informazioni sui prodotti di cui mediamente dispone un consumatore sono superiori alla capacità di elaborazione della corteccia orbito-frontale, sede del pensiero razionale e della creatività. Pertanto, molte informazioni oltre a risultare inutili, possono indurre a compiere scelte sbagliate.
Il rendimento nell’analisi cognitiva delle informazioni è decrescente, ciò vuol dire che superata una data quantità d’informazioni, il cervello razionale non è più in grado di discriminare la diversa rilevanza dei dati, e finisce col prendere decisioni illogiche, oppure col non decidere. Quindi un’informazione eccessiva porta a decisioni errate poiché ha un impatto negativo sulla comprensione dei dati stessi. Ogni volta che la mente si trova a ponderare un possibile acquisto, il consumatore vive inconsciamente una tempesta di emozioni di diverso segno. La decisione dell’acquisto è determinata dal prevalere delle emozioni di segno positivo su quelle di segno negativo. Gran parte delle decisioni inerenti gli acquisti deriva da un calcolo mentale che pone sui due piatti di una ipotetica bilancia emotiva: le sensazioni positive derivanti dall’acquisto o quelle negative conseguenti la perdita di denaro dovuta al pagamento. Posso affermare che la regola generale prevede che sia l’emozione dominante a guidare l’acquisto.