Una giornata piena al Festival of Media Global. Dopo aver raccolto la sua dichiarazione sull'acquisizione di AOL da parte di Verizon, abbiamo continuato la chiacchierata con Jimmy Maymann, CEO di Huffington Post, spostando la conversazione su giornalismo digitale e branded content.
Cosa ti ha insegnato la partnership tra HuffPo e Leo Burnett sull'evoluzione delle tempistiche nel media planning?
Una delle cose che abbiamo visto negli ultimi due anni e mezzo, è l'evoluzione di native advertising e branded content. Le campagne di native adv così come erano state impostate agli inizi funzionano ancora, ma hanno una natura molto tattica.
Naturalmente vogliamo vedere un'evoluzione. Come publisher vorrei far parte dell'intero processo creativo, far parte della content strategy in modo che possa inserirsi bene all'interno della brand strategy. Questo è il presupposto che ha fatto partire la collaborazione con Leo Burnett, sbloccare i potenziali del brand.
Bisogna pensare in maniera olistica e creare un rapporto a lunga durata tra l'inserzionista e chi crea il contenuto.
Quale criterio utilizzi nella scelta dei partner?
In molti modi. Noi siamo tra i più grandi publisher online, abbiamo un'audience vastissima ma allo stesso tempo dobbiamo accettare che anche se i social media sono il punto focale, non vuol dire che non ci siano altre opportunità con altri canali importanti per i consumatori. Ad esempio noi non facciamo niente in TV, anche se un mezzo ancora molto utilizzato, quindi, a meno che non facciamo qualcosa con delle persone che capiscano di TV, stampa e radio, non riusciremmo ad ideare una campagna olistica.
Leo Burnett è una delle più importanti agenzie creative al mondo, avevo lavorato in quest'agenzia quindi è stato facile pensare a questa partnership.
Non si tratta di dividere e conquistare, ma di sedersi tutti ad una tavola rotonda e dirsi: noi facciamo questo e voi fate quello e accettare che non possiamo fare tutto. Questo è ciò che è successo con Leo Burnett, così si crea una buona partnership. La sintonia anche è importante.
È lo stesso per La Repubblica, immagino.
Sì, quando cerchiamo una partnership cerchiamo un brand forte non troppo lontano e diverso dal nostro, e allo stesso modo deve essere importante sul mercato. Come ho già detto è anche una questione di sintonia: cerchiamo persone interessanti con cui lavorare per instaurare un rapporto a lungo termine.
Il branded content è come l'uva passa nascosta in un cookie al cioccolato come ha detto John Oliver? Data la recente controversi BuzzFeed e Dove, dove si traccia il confine tra modi accettabili ed inaccettabili di fare branded storytelling nelle news?
Sono assolutamente d'accordo su ciò che ha detto John Oliver. È molto importante mantenere dei confini, ad esempio noi separiamo i redattori da coloro che si occupano di branded content. Alcuni publisher hanno deciso di mischiare contenuti informativi e pubblicità e credo sia una cosa molto pericolosa. È una cosa che noi non condividiamo. Credo che in questo modo non funzioni, perché si rischia di perdere credibilità. Dal mio punto di vista non è un buon lavoro, quando John Oliver punta il dito non ha tutti i torti.
Noi abbiamo deciso di tracciare un confine e sembra sia la direzione giusta perché le persone ci apprezzano ancora.
Come prosperi? [thrive come il titolo del libro appena pubblicato da Arianna Huffington, ndr]
Dopo una settimana passata in ufficio :) Siamo presenti in decide di Paesi in tutto il mondo, quindi puoi immaginare la mia settimana tipica. Tornare a casa, giocare a calcio con i miei figli e rilassarmi con la mia famiglia, questo è ciò che mi fa sopravvivere.