Il dibattito sulle startup italiane ha recentemente messo in evidenza un aspetto comune a molte nuove imprese innovative: la maggior parte cominciano con fondi personali resi disponibili direttamente da parte degli stessi imprenditori, mentre resta ancora lontana la prospettiva di venture capital e business angel. Ma non sempre questo punto di partenza è un male e per dimostrarlo ho fatto qualche domanda a Stefano Colonna, founder di Movylo, la startup che ha sviluppato una piattaforma per la creazione di negozi digitali per fare marketing locale e mobile, trovare clienti e aumentare le vendite.
Attraverso LinkedIn Stefano ha conquistato Will Graylin, il business angel americano che ha convinto a finanziare Movylo con un milione di dollari.
Le ultime discussioni sul mondo startup italiano riguardano soprattutto il fatto che la maggior parte delle nuove imprese sia finanziato con fondi familiari. Tu come hai iniziato?
Io ho iniziato più di dieci anni fa licenziandomi da un posto fisso per fare l'imprenditore. Ho fatto la mia prima società, che è ancora attiva ed è sempre stata in utile. Tramite quella società, nel tempo, ho fatto nascere diversi progetti e alcuni sono poi diventati prodotti e poi ancora startup.
Abbiamo imparato e sbagliato tanto (sbagliare serve e insegna più di azzeccare al primo colpo alle volte!), ma ci siamo sempre autofinanziati per la fase iniziale. Quando poi i prodotti hanno raggiunto un grado di "maturità" sufficiente abbiamo aperto il capitale agli investitori.
Movylo ha sede a Boston, quanto agevola l'accesso agli investimenti il fatto di operare all'estero?
Raccogliere soldi è sempre complesso e legato al rapporto personale che si crea tra imprenditore e investitore. La componente principale è la fiducia e quindi ci vuole tempo a costruirla, a prescindere da business plan e pitch.
Raccogliere soldi negli USA è un processo sicuramente meno burocratico e più diretto, ma bisogna sfatare il mito che basti andare nella Silicon Valley per trovare i soldi.
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L'ultimo investimento è un colpo da un milione di dollari da parte del business angel Will Graylin, Su cosa puntava il tuo pitch?
In realtà è un rapporto che si è costruito negli anni. Movylo si occupa di aiutare i commercianti (merchant) ad aumentare le vendite e fare marketing locale, Will aveva una società che si occupava di pagamenti mobile e quindi insieme si poteva fare un ottimo pacchetto.
Gli ho scritto via LinkedIn e poi via mail per parecchi mesi, cercando di spiegargli perché doveva ascoltare la mia storia e mi diceva sempre che "non era ancora il momento per lui". Poi una volta mentre era in viaggio in Europa è venuto a trovarmi e abbiamo passato un giorno insieme e poi sono andato io a Boston a trovarlo.
Così, nel tempo, abbiamo costruito un ottimo rapporto e mi ha dato una mano prima a portare Movylo negli USA e adesso a farla crescere.
Nel frattempo ha fatto due exit multimilionarie (Roamdata venduta a Ingenico e LoopPay venduta a Samsung per fare Samsung Pay).
Con Movylo siete stati in qualche modo precursori di una tendenza: la diffusione dell'uso del mobile, anche per gli acquisti. Quanto conterà la possibile sinergia con i vostri investitori?
Molto. Movylo è un prodotto a sé stante e viene distribuito da solo, ma è anche ottimo se messo in bundle con i sistemi di pagamento: se consideri che Samsung Pay avrà decine di milioni di utenti nel giro di pochi mesi, il potenziale strategico è enorme.
Avete sede negli Stati Uniti, ma operate anche in Italia. Ritieni che sia più difficile entrare nel mercato italiano o in quello estero per una startup?
Non c'è nulla di facile e, dopo aver fatto diverse start up, penso davvero che la miglior forza di una startup sia il continuare ad esistere ed andare avanti.
Il problema del mercato italiano è che c'è poca apertura al cambiamento e che le società che possono servire ad una startup per distribuire il proprio prodotto, scalare, fare exit sono davvero poche.
Chi parte da zero non ha risorse per fare prodotto, distribuzione, pubblicità e deve quindi fare una cosa bene e il resto tramite partner, solitamente: ma sei i partner non ci sono o non riesci a convincerli... i tempi si allungano.
Ma c'è da essere ottimisti: si può fare una società in Italia e avere il mondo come mercato, ormai usando LinkedIn, social, Skype si possono contattare persone, società e investitori facilmente e in tempi brevi.
Il mercato è là fuori ed è globale ed essere in Silicon Valley o su una spiaggia italiana è molto meno penalizzante che qualche anno fa. Io passo le giornate a fare conf call con gli USA e non vedo grossi problemi.