L'idea di OrangeFiber non poteva che nascere dalla mente di due siciliane, Adriana Santanocito ed Enrica Arena. Unendo la soluzione ad un problema oneroso per la loro terra - quello dello smaltimento degli scarti di produzione dell'industrie di lavorazione degli agrumi - con la passione verso la moda e il tessile, queste due giovani innovatrici hanno dato vita ad una soluzione davvero interessante.
Dopo la partecipazione al programma Shark Tank, in occasione dello Startup Weekend di Taranto abbiamo scambiato qualche battuta con Adriana Santonocito, CEO e Founder di OrangeFiber, per conoscere gli sviluppi di questa startup che unisce business e attenzione alla sostenibilità.
OrangeFiber ha raccolto numerosi premi. Quanto conta l’aspetto ecosostenibile nel successo della vostra startup?
L’ecosostenibilità è uno dei grandi valori di OrangeFiber. Noi partiamo da un’idea: recuperiamo quel sottoprodotto che deriva dalla trasformazione degli agrumi negli stabilimenti industriali. Questo sottoprodotto è un problema, perché si tratta di 700.000 tonnellate che ogni anno devono essere smaltite.
Da questa materia, che in gergo tecnico si chiama pastazzo, creiamo un tessuto per la moda, bello e con un alto valore aggiunto perché ha l’aspetto serico.
Le realtà che si ispirano alla creazione di prodotti ecosostenibili sono in crescita in tutto il mondo, è questo insieme il futuro virtuoso dei rifiuti e del fashion?
Assolutamente sì. Nel 2014, all’interno della Campagna Detox, sette grandi brand si sono impegnati ad acquistare 7 milioni di metri di tessuto sostenibile. Quindi questo è sicuramente la nuova frontiera del tessile.
Le aziende di moda, i brand non possono tirarsi indietro davanti a questa sfida, anzi devono utilizzare materie prime che abbiano modelli più sostenibili.
LEGGI ANCHE: Wardroba, il laboratorio online dello stile made in Italy [INTERVISTA]
Nel vostro ciclo produttivo ci sono ulteriori scarti di produzione?
Sì, ci sono scarti sempre di tipo organico. Per risolvere davvero il problema degli scarti delle industrie agrumicole bisognerà lavorare in filiera. Ogni azienda deve fare la sua parte.
C’è un progetto, sempre legato agli scarti agrumicoli, finanziato da Coca Cola, che porta come prodotto finale alla produzione di biogas.
Con OrangeFiber abbiamo vinto un bando del MISE per l’impiego dei sottoprodotti dell’industria agrumicola e quindi speriamo che facendo sinergia con altre aziende si possa davvero risolvere questo problema di riutilizzo degli scarti.
OrangeFiber punta più al mercato dell’alta moda o alla produzione industriale di massa?
Inizialmente il nostro tessuto sarà un prodotto paragonato alla seta. Per la prima volta viene realizzato un filato di questo genere, infatti il tessuto agli agrumi è una nostra ideazione per cui abbiamo anche depositato un brevetto internazionale PCT.
Quindi ha tutti i problemi legati alla produzione, non solo di sviluppo industriale. In un futuro, quando riusciremo a produrre volumi davvero consistenti, potrà entrare nel mercato di massa. Adesso è sicuramente indirizzato ad un mercato di lusso.
Shark Tank è stata sicuramente una bella vetrina, indipendentemente dal finanziamento ricevuto. Quali sono gli obiettivi per il futuro?
A Shark Tank abbiamo partecipato per un motivo ben preciso: adesso stiamo cercando investitori e fondi per avviare la commercializzazione del prodotto. Per fare questo stiamo cercando 500.000 euro a fronte del 10% della società.
Per noi andare a Shark Tank era un’opportunità, non solo di ricevere il finanziamento, ma anche di avere feedback da imprenditori che sono dei guru nell’ecosistema italiano. A noi è sembrata una bellissima possibilità da cogliere ed è stata una bella esperienza anche se il deal non si è chiuso, perché abbiamo ricevuto il calore della gente attraverso i social network.
Da Twitter e da Facebook ci sono arrivati tantissimi riscontri, quindi anche se OrangeFiber non è ancora nel mercato, già piace alle persone. E questo ci ha dato una ulteriore conferma che lo spazio per il nostro prodotto c’è.