“Abbiamo avuto modo di vedere qualcosa che non era mai accaduto prima: l’ AlphaGo di DeepMind ha battuto il leggendario giocatore professionista di Go, Lee Sedol (9 Dan con 18 titoli mondiali vinti) ponendo una pietra miliare nella storia dell’intelligenza artificiale.”
Queste sobrie parole scritte sul blog - che assolutamente non fanno trasparire alcun entusiasmo particolare da parte di Demis Hassabis (CEO e co-founder di Deepmind, azienda acquisita da Google nel 2014) - commentano efficacemente la recente, importantissima vittoria della macchina contro il campione umano per 4 match a 1.
Perché gli sviluppatori hanno scelto proprio il gioco del Go
AlphaGo è un programma sviluppato per l’antichissimo gioco cinese da tavola “Go” - nato più di 2500 anni fa e molto diffuso in Asia - ancora più complesso degli scacchi. Se da un lato, infatti, per questo gioco le combinazioni possibili stimate sono di 10 elevato alla 120esima potenza, per il GO sarebbero addirittura di 10 alla 761esima.
Troppe possibilità da valutare anche per un computer: una sfida perfetta per gli sviluppatori di intelligenza artificiale di DeepMind, che sono riusciti a rendere possibile da parte di Alphago l’elaborazione di mosse/soluzioni intuitive e strategiche quasi di tipo umano.
Come funziona AlphaGo
AlphaGo infatti sfrutta il sistema Deep Learning: due network neurali che, appunto, simulano i processi cerebrali degli esseri umani rendendo il software in grado di trasformare decisione semplici in quelle più complesse.
Il “policy network” utilizza un modello che predice la mossa dell’avversario, sistema che è stato affinato attraverso l’”apprendimento rinforzato” facendo giocare AlphaGo con se stesso milioni di volte – dopo aver battuto nel 2015 anche il campione europeo di Go per 5-0 Fan Hui - e il “value network” rende possibile la valutazione del da farsi non sulla base delle combinazioni possibili del gioco ma sulla partita “reale” che si sta giocando.
Quali possibili evoluzioni?
Nonostante l’intelligenza artificiale stia facendo passi da giganti negli ultimi anni e le sue potenzialità siano sempre maggiori - tanto da temere la sostituzione della forza lavoro umana in vari settori - non sembra ancora in grado di riprodurre quella creatività e quel pensiero non lineare propri degli umani.
Vincendo una partita, infatti, Lee Sedol ha dimostrato come sia ancora possibile battere una macchina pensando 'fuori dagli schemi'.
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Ma è davvero così scontata la sostituzione degli umani da parte dei robot?
Finché si tratta di un gioco, con regole ben definite e match “indipendenti” tra loro, l’intelligenza artificiale senz'altro dà il meglio di sé, mostrando la 'perfezione' del suo ragionamento. I suoi limiti però sorgono quando le scelte richiedono “giudizio” e “intuizione”, qualità molto ma molto umane.
Pensiamo per esempio alle scelte manageriali che vanno prese in un contesto (come quello della concorrenza) meno regolato dove, al concetto di vincita e sconfitta, va affiancata la quantificazione di eventuali perdite o guadagni a esse associate.
Inoltre, il tempo è un fattore importante nelle scelte più complesse, quelle che hanno conseguenze di ampio respiro e che necessitano di essere prese pensando a come “adattarsi” e rispondere a nuove esigenze del mercato.
Ritornando al gioco, Lee ha pensato di più sulle mosse più difficili, mentre AlphaGo ha calibrato i tempi in base ad un algoritmo di 'efficienza', che però non l’ha aiutato nel momento in cui Lee ha messo a segno l'unica partita vittoriosa; se si fosse preso più tempo per 'riflettere', magari, AlphaGo avrebbe potuto cambiare le sorti del match.
Ancora, nonostante la macchina abbia appreso nozioni da un database incredibile di partite giocate da essere umani, è stato preso alla sprovvista da Lee grazie ad una mossa inaspettata e dunque “unica” nel suo genere, frutto di creatività, resilienza e – forse – coraggio: qualità ancora, per fortuna, 'troppo' umane.
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