Questa recensione è stata scritta da Marco Fongaro e Gabriella Conte.
"Da grande voglio fare il giornalista". Roberto Zarriello ha deciso di spiegarci come far avverare questo sogno calandolo nella sua incarnazione più contemporanea, quella virtuale.
L'autore di "Brand Journalism" mette in chiaro sin da subito la rivoluzione che la Rete ha portato nella professione, poiché Internet è uno strumento di comunicazione di massa che democratizza l'informazione. Le aziende non sono più vincolate ai media tradizionali, intermediari di informazioni e messaggi pubblicitari attraverso carta stampata, frequenze radio e tubo catodico.
Brand Journalism
Nel nuovo millennio ogni brand può diventare un editore, rivolgendosi direttamente alle persone attraverso social media quali blog, aggregatori, forum, social network, fino ad arrivare ad un vero e proprio magazine aziendale.
Non si tratta solo di veicolare messaggi finalizzati alla vendita, ricadendo dunque nel content marketing, ma anche di rivolgersi alle persone fornendo loro notizie utili (su un settore industriale) e raccontando la storia (del brand). Questo è brand journalism.
Nel secondo capitolo del libro, "Giornalismo e marketing: la sottile linea rossa" Zarriello approfondisce con una prosa quasi avvincente questo confine scottante, che fa del brand journalist un funambolo della parola, attento a fornire una "corretta informazione, distinta e distinguibile dal messaggio pubblicitario" (Carta dei Doveri dell'Ordine dei Giornalisti).
Mc Journalism
Certo, raccontare storie attrae clienti, ed è per questo che l'intuizione di Larry Light è stata geniale.
Nel 2004, l'allora capo dell'ufficio marketing di McDonald's si trovò a dover conciliare l'immagine pubblicizzata della catena di fast food, proposti come piacevoli punti di ristoro per famiglie e compagnie, con la pesante e reiterata accusa di vendere junk food.
Ecco allora la decisione di puntare i riflettori non più su un prodotto destinato ad una massa indifferenziata, ma su differenti fasce di consumatori, a cui fornire un cibo divertente per bambini, salutare per le giovani mamme e sostanzioso per un target maschile.
Da questa premessa e dalla nuova tagline, "I'm lovin' it", ha preso piede una nuova strategia pubblicitaria dove è la storia del marchio a essere protagonista, declinata per pubblici segmentati attraverso il brand journalism.
Brand magazine made in Italy
Gli USA possono vantare di aver dato i natali al brand journalism grazie all’intuizione di Larry Light, ma l’Italia non sembra essere immune al fascino del giornalismo d’impresa. Sempre più realtà imprenditoriali decidono di prendere parte alla rivoluzione copernicana dell’informazione – così come la definisce Zarriello – e di puntare su un nuovo modo di fare marketing.
L’assuefazione del consumatore ai messaggi pubblicitari fa nascere l’esigenza di un nuovo modo di raccontare la storia di un brand e la sua evoluzione: è questo quel che prova a fare un brand journalist.
Tra le case history esaminate da Zarriello ne ritroviamo alcune made in Italy, come il magazine digitale Centodieci curato da Mediolanum Corporate University, l’ente di formazione dell’omonima banca milanese. Online dal 2000, con l’obiettivo di “sviluppare il capitale culturale dell’individuo”, il magazine d’impresa punta ad un target ben definito, il family banker, senza però dimenticare imprenditori e studenti. I contenuti offerti spaziano dall’economia all’informatica e la redazione riunisce elementi interni all’azienda ed esperti di comunicazione digitale. Insomma, non vi ritroverete a fare i conti con articoli autoreferenziali, piuttosto avrete a disposizione contenuti che raccontano l’esigenza di una banca che prova a raccontare uno dei valori sui quali punta per la propria crescita.
Chi è il brand journalist?
Storytelling e disintermediazione: sono queste due delle keyword che descrivono al meglio l’essenza del brand journalism. Il testo di Zarriello diventa una cronaca de“l'esigenza crescente dei marchi di raccontarsi senza intermediari con lo scopo di accrescere la propria notorietà e fidelizzare i propri lettori-consumatori”.
Le aziende, quindi, hanno la possibilità di diventare vere e proprie news corporation, alla ricerca di un nuovo modo di raccontare se stesse. I contenuti diventano fondamentali per comunicare alle proprie community di riferimento. Il dominio del content marketing fa spazio ad un giornalismo consapevole degli strumenti del web, in grado di utilizzarli per comunicare in modo diretto con i propri clienti.
Dinosauro o brand journalist?
Dopo una prima parte del libro dedicata all’inquadramento teorico e concettuale del giornalismo d’impresa, Roberto Zarrillo prova a fornire una vera e propria guida all’aspirante giornalista e ai professionisti dell’informazione che guardano in modo ancora incerto al mondo del Web.
In un susseguirsi di capitoli dedicati agli elementi del web journalism, per poi analizzare la struttura di un blog e passare in rassegna la varietà di social network disponibili, senza dimenticare aggregatori e strumenti di monitoraggio dei dati, il libro si presenta come un vademecum in grado di fornire gli strumenti fondamentali per pubblicare online il proprio brand magazine.
Fare brand journalism significare fare content marketing? Il brand journalism è giornalismo? Qual è la differenza tra addetto stampa e brand journalist?
Se hai questi dubbi, caro ninja, è arrivato il momento di leggere “Brand journalism” di Roberto Zarriello!
“Il giornalista di oggi (…) non deve essere soltanto una buona penna ma un esperto praticante delle tecnologie moderne della comunicazione: due qualità necessarie per il perseguimento degli obiettivi del brand journalism. Altrimenti si rischia di fare la fine dei dinosauri.”
In questa rivoluzione copernicana della comunicazione, cosa scegli di essere? Un dinosauro del mondo dell’informazione o un brand journalist?