Solo qualche mese fa, Facebook aveva annunciato l’ennesimo cambiamento dell’algoritmo, con il preciso intento di favorire la fruizione dei contenuti di amici e familiari e mostrare agli utenti ciò che realmente interessa loro.
Inevitabilmente però, ogni volta che si parla di mettere mano al news feed, scatta la polemica. In quel caso, come era prevedibile, le lamentele erano toccate ai publisher.
Da qualunque angolazione si voglia considerare la questione, il dubbio rimane lecito. Se l’algoritmo privilegia un certo tipo di contenuti rispetto ad altri (seppur in base alle preferenze dell’utente), si può dire davvero che Facebook sia una semplice tech company, e non, piuttosto, un media editor?
Il social rifiuta da sempre questa etichetta, e l’evento TechCrunch Disrupt, tenutosi da poco a San Francisco, è stato l’occasione per ribadirlo ancora una volta.
Adam Mosseri, Vicepresidente di Facebook e responsabile della gestione del news feed, ha avuto modo di spiegare il punto di vista della compagnia, e soprattutto di illustrare meglio gli ultimi cambiamenti a favore di un maggior controllo da parte dell’utente.
Come mostrano le statistiche, in media gli utenti di Facebook leggono 200 contenuti differenti al giorno, ossia circa il 10% degli oltre 2000 potenzialmente disponibili attraverso il news feed. Sempre in media, il tempo trascorso è di circa 45 minuti al giorno, sebbene il dato sia in crescita. Proprio questa è una delle prime ragioni per cui, stando alle interpretazioni di Facebook, gli utenti sembrerebbero apprezzare i cambiamenti apportati negli ultimi tempi.
Ciò che vediamo normalmente su Facebook include UGC, cioè contenuti creati (e poi condivisi) dagli utenti stessi - come foto, video e testi personali - ma anche contenuti condivisi dai publisher - articoli, in primo luogo. Stando ai dati, le condivisioni di entrambi i tipi di contenuto sarebbero in crescita, ma nel caso dei publisher l’aumento appare di gran lunga più elevato. L’utente di Facebook rischierebbe quindi, potenzialmente, di essere sempre più spettatore e sempre meno creatore di contenuti. Ecco perché Facebook pensa di dover garantire il giusto mix di contenuti attraverso il news feed.
Eppure, se consideriamo che i contenuti condivisi dai publisher - ben 3 miliardi nel primo semestre del 2016 - ottengono un engagement incredibile, sorge spontanea una domanda.
Siamo proprio sicuri che foto e status delle persone a noi più vicine siano quello che davvero ci interessa di più? E come si colloca, in questo discorso, l’atavico argomento censura?
Il recente intervento di Facebook per combattere la sgradevole pratica del click baiting ed evitare la visualizzazione di notizie false, mostra senza dubbio la necessità di un intervento da parte del social per filtrare i contenuti, nell’ottica di tutelare i lettori. Ma a che prezzo per l’utente?
Gli eventi di questi ultimi mesi - come il licenziamento del team dedicato alla selezione delle notizie dei trending topics, mostrano che il dibattito è ancora lontano dal trovare una soluzione, o anche solo il giusto compromesso.
In qualunque modo si preferisca interpretare l’intervento di Facebook sui ciò che leggiamo ogni giorno, però, la definizione di media editor - o quantomeno di media company - non sembra essere poi così lontana dalla realtà.