Nell’ottobre del ’35 Mao fermava la Lunga Marcia verso la liberazione della Cina dai nazionalisti, nel 2016 Zuckerberg ne intraprende una nuova alla riconquista del "Regno di mezzo" (la traduzione letterale di Cina dal cinese Zongguo). Lo scorso 12 Ottobre durante la conferenza stampa in preparazione per la World Internet Conference, un reporter di Bloomberg ha chiesto a Ren Xianliang, vice direttore del Cyperspace Administration cinese (che sovrintende l’amministrazione di internet) se il governo avesse permesso ai due giganti di Silicon Valley di rientrare in Cina.
Entrambe le aziende in realtà sono ancora presenti all'interno del paese con i loro business services, ma Google ha ufficialmente chiuso il suo search engine agli utenti nel 2010 lamentandosi dell’eccessiva censura e cybersecurity. Le autorità hanno invece bloccato Facebook dal 2009 ed Instagram nel 2014.
Ren ha risposto:
“Lo sviluppo di internet in Cina ha sempre mantenuto una politica di apertura. Per quanto riguarda le aziende internet straniere, sono le benvenute in Cina a patto che rispettino la legge cinese e non compromettano gli interessi del paese e dei consumatori."
La legge cinese
Per legge cinese, Ren si riferisce allo stretto apparato di censura che impedisce agli utenti di cercare e diffondere qualunque informazione considerata critica per il Partito Comunista.
Attraverso una serie di algoritmi e staff dedicato, le aziende internet nazionali collaborano con il governo centrale per tenere a freno il dissenso in rete, censurare alcune parole chiave e condividono informazioni private degli utenti con le autorità (quando richiesto).
Nel frattempo la “Great Firewall” cinese blocca l’accesso dei consumatori a molti siti esteri, inclusi Facebook e Google, poiché attualmente non censurano contenuti critici come richiesto dalle autorità. Tutto ciò non ha fermato comunque i due giganti americani, che continuano a farsi strada verso la Cina.
Anche se per le aziende internet straniere la Cina è la terra della sconfitta morale, molti hanno sempre sperato che prima o poi le autorità allentassero un po’ la cinghia sul controllo delle informazioni. Alcune aziende che si battevano per la libertà di parola, hanno poi preso parte alla censura dei cittadini. Yahoo ha fornito alle autorità cinesi informazioni su attivisti democratici finiti di seguito agli arresti. Microsoft ha chiuso il blog del giornalista cinese Michael Anti, attivista per la libertà di parola; e lo stesso Google ha censurato risultati di ricerca sensibili alla politica cinese prima di chiudere i battenti nel 2010.
Ma Zuckerberg è determinato a tornare a Pechino
Zuckerberg ha fatto sapere a Pechino che è pronto a tornare in Cina, costi quel che costi. Il regno di mezzo è un territorio allettante per tutte le company internet americane. Il numero di utenti internet non fa altro che aumentare, contando ad oggi 700 milioni e risulta ancora un territorio con grandi potenzialità rispetto a quello occidentale ormai sempre più saturo e competitivo, ma la censura cinese diventa sempre più stretta.
Oltre alla “Great Firewall”, che blocca l’accesso ai siti stranieri, la censura diventa ancora più intensa grazie a dei veri e propri censori di internet, blog o social network gestiti dalla polizia locale. Inoltre non dimentichiamo che tutti i giganti di Silicon Valley dovrebbero vedersela con il “gigante” cinese WeChat che conta centinaia di milioni di utenti.
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Il CEO di Facebook ha chiaramente intenzione di rischiare e rientrare in Cina anche a costo di perdere i propri “western values”.
All'inizio di quest’anno il CEO di Facebook si è recato a Pechino a rendere i propri omaggi alla classe governativa e a congratularsi per il progresso di internet in Cina. Nonostante ciò, i pezzi grossi di Pechino sono stati chiari: una versione cinese di Facebook sarebbe comunque censurata.
Nel 2014 Zuckerberg ha invitato il ministro cinese della Cyberspace Administration presso gli uffici di Facebook, e il caso ha voluto che in quell’occasione il libro del presidente cinese Xi Jinping “The Governance of China” si trovasse proprio sulla sua scrivania.
Insomma, Zuckerberg la sa lunga: parla cinese, ha una moglie cinese, è un businessman americano, ha praticamente tutte le carte in regola per riuscire a raggiungere un accordo con i pezzi grossi di Pechino. Nonostante tutte le restrizioni, Facebook ha indubbiamente il potenziale per supportare i business cinesi e renderli globali e questo è sicuramente un altro punto a suo favore, dopotutto gia vende advertising alle aziende cinesi per pubblicizzarsi in terra straniera, ma lanciare una versione di Facebook in Cina potrebbe stringere i rapporti tra le aziende cinesi e i consumatori all’estero.
Molti si sono già espressi a riguardo sostenendo che non avrebbe senso lanciare Facebook in Cina data la presenza di WeChat, la service platform per i residenti in Cina, mentre Facebook è una advertising platform senza precedenti nello scenario social.
WeChat è Cina, Facebook è mondo.