Le fake news: una piaga.
In Italiano utilizziamo spesso la parola bufala per tradurre fake news, ma nonostante la parola suoni canzonatoria, non c’è nulla su cui scherzare!
Le fake news (o bufale) attaccano uno dei comportamenti più virtuosi di una rete sociale: la condivisione di un contenuto.
Dovremmo stare tutti più attenti quando condividiamo qualcosa nella nostra rete sociale, perché non abbiamo la piena consapevolezza del potere moltiplicatore di un’intelligenza collettiva e degli effetti che possono essere prodotti da un indefinito numero di condivisioni.
Le Fake News dell’operaio situazionista di Terni
"I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività”
disse Umberto Eco in occasione dell’ultimo Referendum Costituzionale all’interno delle sue argomentazioni a sostegno del SI.
Per ovvi motivi l’ottimo Eco non poteva aver pronunciato quelle parole in occasione del Referendum visto che non è più tra noi da un pezzo, ma la foto falsa ha girato in rete in modo spiccatamente virale, grazie a soggetto e sceneggiatura redatti da Ermes Maiolica, un operaio di Terni appassionato creatore di bufale online.
Maiolica ha una fantasia fervida, ma ci sono anche numerosi esempi di creazione di fake news a scopo di lucro; ad esempio, secondo il sedicente Libero Giornale, il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni avrebbe recentemente affermato:
“Gli Italiani imparino a fare sacrifici e la smettano di lamentarsi”.
Poi si è scoperto che questo Libero Giornale si appoggiava, come numerosi altri siti produttori di fake news, su un hosting residente in Bulgaria e facente capo ad un imprenditore di Albenga.
E dove vengono condivise queste notizie per avere una traction maggiore e più rapida? Ovviamente, su Facebook.
Il cambio di rotta di Facebook a causa delle fake news
Recentissima è la notizia che Mark Zuckerberg ha cambiato la sua posizione in merito alla sua azienda, definendola - finalmente aggiungo io - una Media Company.
Ora però verrà il bello, l’opinione pubblica e alcune istituzioni internazionali hanno chiesto a più riprese sia a Google che Facebook di farsi garanti dei contenuti da loro veicolati - anche se occorre sottolineare che non ne sono i creatori - ma queste richieste nascondevano un’ammissione di impotenza di fondo.
Videopath è una startup berlinese che potrebbe fare al caso di Zuckerberg per fornire una soluzione al problema dei contenuti video fake che si propagano in rete.
Il presupposto è quello di contestualizzare il contenuto con dei link interni informativi, molto utili a livello di enrichment e che possono anche essere utilizzati dall’utente per comprendere meglio il perimetro da cui nasce questo contenuto e compiere una sorta di fact-checking individuale.
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Lo stimolo più interessante, a mio avviso, è quello verso la presa di coscienza dell’utente fruitore: non possiamo sperare che sia Facebook o qualsiasi altro produttore di contenuti a sostituirsi al nostro spirito critico.