Nel 2015 il mercato della pubblicità interattiva in Europa valeva 36,4 miliardi di euro; per il 2016 la crescita era del +30% rispetto all’anno precedente.
In campo pubblicitario, è cresciuto l’interesse verso il segmento video perché è al centro dell’esperienza digitale degli utenti: in Europa ha raggiunto un valore di oltre 2,3 miliardi di euro.
Come mai tanto interesse per i video? Il motivo è presto detto, secondo Carlo Noseda, Presidente IAB Italia:
“Il formato video è in grado di arrivare ai consumatori con una potenza evocativa e una capacità di coinvolgimento emotivo senza precedenti”.
Chiaro no? Tenendo ben presente questa definizione, vediamo insieme la novità nel mondo pubblicitario: il formato video outstream.
LEGGI ANCHE: 5 falsi miti da sfatare sulla metrica della Viewability
Video oustream: che cos'é?
Le opinioni sono ancora piuttosto discordanti e non si è ancora arrivati una definizione univoca di video outstream, ma il team di AppNexus ci prova definendolo così:
"Un video outstream, comunemente chiamato anche in-read o native video, è una nuova tipologia di video advertising che si riproduce automaticamente in un grande formato ogni volta che un utente naviga in un contenuto testuale (come un articolo), anche se l’editore non ha dei propri contenuti video da offrire all’interno del sito. È definito outstream perché il video pubblicitario esiste al di fuori dei contenuti video – definiti instream video content — in cui la pubblicità è presente prima (pre-roll), durante (mid-roll), o dopo (post-roll) il contenuto video dell'editore".
Credits: mov.ad
Quali novità comporta?
Le novità riguardano non solo il come il video viene mostrato agli utenti, ma cambiano anche le modalità di acquisto dello spazio pubblicitario.
Fino a poco tempo fa per pubblicare un video pubblicitario, era indispensabile inserirlo all’interno di un altro contenuto video, non pubblicitario, così da poter sfruttare il lettore video di quel contenuto.
Per gli editori non in possesso di contenuti video propri questo significa avere una fonte di reddito in meno perché non avendo contenuti video propri, non possono vendere gli spazi pubblicitari.
Gli inserzionisti invece si sono limitati alla realizzazione di campagne pubblicitarie, agendo all’interno di piattaforme video come YouTube.
Secondo Bertrand Quesada, CEO di Teads, la natura meno invasiva del formato, dettata dalla possibilità di poter scrollare la pagina e interromperne la fruizione, e la possibilità di espansione della reach, rendono questo formato prezioso e molto interessante come nuova fonte di reddito.
Perché utilizzare il formato video outstream nelle campagne di advertising?
I video outstream possono essere fonte di guadagno per tutti gli editori; come già detto sopra, non avendo bisogno di ospitare contenuti video all’interno del proprio sito per vendere spazi pubblicitari, lo si può ospitare all’interno del contenuto testuale o negli angoli della pagina web.
Gli inserzionisti invece possono contare su una maggiore portata di visibilità: nei video instream l’utilizzo indispensabile di un lettore video a cui appoggiarsi, pone di fatto un limite al numero di visualizzazioni possibili, con i video oustream il vincolo viene superato.
Possono non preoccuparsi se un video viene effettivamente visto oppure no, perché sono impostati per riprodursi solamente quando sono al 100% in-view. Se l’utente fa scrollare la pagina, l’inserzione andrà in pausa fino a quando non tornerà indietro.
Credits: Motomedia.nl
Viene meno anche il problema delle frodi in campo pubblicitario: il formato outstream si riproduce solamente attraverso un’azione dell’utente non falsabile attraverso l’utilizzo dei bot. Last but non least, gli inserzionisti pagheranno solamente quando i loro video saranno visibili per una certa quantità di tempo prestabilita.
Le criticità tecniche da superare per il formato outstream video
Essendo il fenomeno nuovo, ci sono ancora una serie di criticità da superare. Innanzitutto, la scarsa reperibilità del prodotto sul mercato: troppe poche piattaforme offrono questo nuovo tipo di formato.
In secondo luogo, nuovo formato significa anche nuove metriche: il ROI risulta ancora difficile da tracciare perché le piattaforme non sono ancora attrezzate con strumenti d’analisi adatti.
Inoltre, non tutti i lettori offrono al loro interno l’opzione del suono, e spesso è proprio la caratteristica ricercata dai brand per creare engagement con il proprio target.
Le best practice sono ancora sconosciute, ma ci auguriamo che il 2017 possa essere un anno ricco di esperimenti.