Questo articolo rientra in una mini-serie di post dedicati alla comunicazione narrativa e allo storytelling ed è stato scritto da Andrea Bettini, co-founder di Strategike e co-autore di "#Personal Storytelling. Costruire narrazioni di sé efficaci".
“Homo faber fortunae suae.”
Troneggiava così, la celebre citazione di Appio Claudio Cieco, al centro di una sala dell’auditorium vestito a festa per accogliere il meeting di un centinaio di agenti di vendita di una nota azienda. Non era puramente motivazionale la scelta di quella frase. Era il fil rouge di una riunione dove i professionisti arrivavano da tutta Italia per fare un bilancio dell’anno appena trascorso, ma soprattutto tracciare le linee di quello da poco iniziato.
Il mio intervento arrivava dopo quello di un collega che aveva ben rappresentato quale era lo scenario di un futuro, già presente, dei media digitali. Al passaggio del microfono, un effetto larsen, creò quel disturbo che solo delle parole meritevoli d’interesse avrebbero potuto attenuare. “L’uomo è artefice della propria storia”, recitava la mia prima slide. Sarebbe potuta essere anche l’ultima. Il legame tra sorte e storia era chiaro. Lo era meno quello con il mondo digitale, ma ancora per poco.
Esordii con una domanda:
“Che cosa i clienti apprezzano maggiormente di voi?”
Superati gli imbarazzi per chi dovesse alzare per primo la mano, poi le risposte si susseguirono una dopo l’altra. Erano naturalmente corrette le loro risposte e la sintesi di tutte loro si poteva racchiudere in un’unica parola: Fiducia.
Prima di tutto, fissare le basi del proprio racconto:
- Essere se stessi;
- Scegliere la propria voce;
- Capire dove.
La prima non aveva bisogno di essere spiegata. La differenza tra essere una persona e costruire un personaggio era diventata chiara. Il racconto di sé, per essere efficace, non poteva che andare nella prima direzione. Anche il tone of voice era stato compreso. Ne avevano capito le diversità, ma soprattutto l’importanza. Sul capire dove avrebbero dovuto prestare un po’ d’attenzione. Far capire che il racconto deve essere strutturato sulla base del medium che lo ospiterà, richiede pratica e molta esercitazione.
Prima di arrivare alla conclusione era necessario far capire che esistono anche dei modelli per raccontare attraverso i media digitali la propria storia. Qui l’esempio non potevo che prenderlo da uno dei modelli che io e Francesco Gavatorta abbiamo inserito nel nostro recentissimo libro “#Personal Storytelling. Costruire narrazioni di Sé efficaci”.
Il modello ripreso da Christy Dena sul Transmedia Storytelling applicato al personal storytelling fa capire come funziona la narrazione del sé sui diversi media, dove nel franchise narrativo (nel nostro caso la persona) c’è una testualità centrale che ha più importanza e attorno ad essa una serie di testualità, su altri media, che diventano non periferici in termini di senso, ma "satelliti" per comprendere nella sua interezza la narrazione.
A questo punto l’attenzione in sala era totale e forse anche la consapevolezza. La consapevolezza che dopo quell’incontro ognuno dei presenti avrebbe potuto iniziare a raccontare la sua personale storia. Non rimaneva che ricordare alcune delle regole del personal storytelling:
- Sii te stesso (non aveva più bisogno di essere commentato)
- Non esagerare (l’esasperata ricerca dell’effetto wow non sempre premia… a differenza della semplicità)
- Non uscire dalle regole (ogni media ha una sua “grammatica”, occorre rispettarla per sfruttarne al meglio le potenzialità)
- Non rinnegare nulla (vale per le imprese, ma vale pure per le persone… non rinnegare mai, ma spiegare sempre)
- Non aver paura di rinnovarti (la capacità di leggere quando un momento è passato e dobbiamo cambiare il modo e il canale con il quale ci raccontiamo)
Arrivò la slide finale con i miei personali ringraziamenti e contestualmente partì un applauso dalla sala. Era un applauso che rappresentava l’inizio di nuove storie. Le loro.