Come sarebbe andata la #Resistenza sei ci fossero stati i social media? Saremmo comunque qui a taggare #25Aprile? Come avrebbero agito Danton, Marat e Robespierre se avessero avuto Twitter a disposizione durante la Rivoluzione Francese? O ancora Masaniello, avrebbe incluso una social media strategy all’interno della rivolta napoletana?
I social media oltre a cambiare il modo in cui ci relazioniamo tra esseri umani, hanno cambiato il modo in cui ci relazioniamo agli eventi storici, prendiamo parte alle proteste o a qualunque causa che vogliamo difendere.
Attivismo social
Grazie ai social media, siamo al corrente di avvenimenti in tempo reale, a volte siamo esposti a notizie non troppo accurate, ma generalmente possiamo seguire eventi in real time, supportare cause in cui crediamo anche a chilometri di distanza. Tutto grazie al potere degli hashtag, che se utilizzati nel modo giusto, sono lo strumento che permette di unirsi a conversazioni globali e di acquisire consapevolezza di eventi che stanno accadendo dall’altra parte del mondo.
I social media sono un’arma molto potente, tanto da non permetterne il libero utilizzo in alcune parti del mondo. In ogni caso, i social ci rendono consapevoli di tutto ciò che accade. Prendiamo ad esempio l’ultimo incidente contrassegnato come #BoycottUnited: grazie ai social media siamo potuti venire a conoscenza di quel gesto atroce commesso nei confronti di un passeggero a bordo di un volo United, e tutti hanno potuto supportare la causa del passeggero maltrattato. I social media danno voce a ingiustizie che passerebbero altrimenti inosservate.
Le conseguenze
Dopo che abbiamo twittato per un paio di settimane, cosa succede a #BoycottUnited #DeleteUber e #BoycottPepsi?
Dopo lo spiacevole incidente accaduto a bordo, centinaia di migliaia di utenti della Rete hanno deciso che non sarebbero mai più saliti su un volo United, o per lo meno cosi dovrebbe essere se coloro che hanno utilizzato l'hashtag #BoycottUnited restassero fedeli alle proprie parole. Effettivamente il valore delle azioni delle compagnia ha subìto una bella scossa, ma se pensate che ciò abbia portato danni irreparabili, beh, non proprio.
https://twitter.com/rgay/status/851460848195448832
Se la durata della vita di un tweet è di 18 minuti, quanto dura una protesta sui social media? E soprattutto cosa succede dopo l’esplosione di una guerra a colpi di hashtag?
Il fatto è che il #Boycott è oramai di moda, soprattutto in America. Durante le elezioni, andava di moda il #DeleteUber poiché la compagnia continuava ad operare dall’aeroporto JFK nonostante ci fosse in atto una protesta contro il “Muslim ban” di Trump, nonostante 200.000 utenti avevano rimosso l'app, la popolarità di Uber non era poi calata di molto in quel periodo; qualche settimana fa gli utenti di Twitter hanno boicottato la Pepsi per via dell'irrispettoso ads di Kendall Jenner. In questo caso, per esempio, si è ottenuto l’effetto opposto a quello di United: quando lo spot pubblicitario è diventato virale e i social media sono impazziti, il valore azionario della compagnia è salito, al contrario è sceso a picco quando Pepsi ha ritirato lo spot scusandosi con gli utenti.
https://twitter.com/LanaMinas/status/849467031116230656
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Cosa ne è conseguito al baccano di Twitter e dei protestanti? Che siamo consapevoli delle ingiustizie commesse sul volo United, che non a tutti è piaciuto lo spot della Pepsi, e che il valore azionario delle due aziende, come riscontrato da MarketWatch è risalito, tutto insomma è tornato alla normalità.
Nel dicembre del 2014, una campagna boicottava Amazon perché accusato di evasione delle tasse e per non rispettare i minimi salariali nei confronti dei propri lavoratori, chissà se qualcuno lo ricorda ancora. Oggi invece i “trumpiani” boicottano Amazon perché Bezos si è schierato contro il travel ban di Trump, quindi a favore dei musulmani.
https://twitter.com/ish10040/status/856121161230536706
Quando boicottiamo qualcosa sui social cosa stiamo cercando in realtà di ottenere? Un rallentamento delle vendite, una svalutazione dell’azienda? O stiamo in realtà davvero cercando difendere una causa più importante? Cosa ne resta di un #Boycott su Twitter? Niente.
Storicamente i boicottaggi avevano lo scopo di cambiare le politiche aziendali. Quando la lista delle compagnie da boicottare si allunga però (e spesso non si è nemmeno a conoscenza di tutti i marchi che sono parte di un'azienda) il messaggio politico che si sta cercando di supportare tende a scomparire sotto la montagna di hashtag.
In realtà quello che stiamo cercando di ottenere in molti casi è che la filosofia di un brand sia in linea con i nostri valori e questo ha fatto dell’attivismo social un elemento importante del social media marketing senza che neanche ce ne accorgessimo. Poi accade che i brand fanno un passo troppo lungo al fine di farsi portatori dei nostri valori, e ne risulta uno spot che quello della Pepsi.
Conclusioni
Fin quando ci sarà una destra ed una sinistra ci sarà sempre un motivo per boicottare qualcosa, ed è importante far sentire la propria voce anche sui social media, che nonostante vengano categorizzati spesso come uno strumento di polemica inutile, hanno sicuramente un peso importante (e sicuramente il CEO e gli impiegati di United ci penseranno più di una volta prima di “rimuovere” qualcuno dal suo posto).
Le conversazioni social d'altro canto, sono veloci, passeggere e vengono presto dimenticate, cosi come i problemi che vi vengono discussi. Da un lato sono assolutamente uno strumento per portare alla luce determinate tematiche ed un mezzo di partecipazione ed adesione ad una causa per coloro che sono impossibilitati a partecipare attivamente, dall’altro invece portano una certa passività davanti ai problemi ed a causa della velocità e la superficialità con i quali sono affrontati, a volte non consentono alle problematiche di uscire dal mondo social.
Chissà come avrebbero utilizzato il potere social Masaniello e Robespierre...