Sembra una di quelle barzellette che anche ripetendola all'infinito non si riesce proprio a considerare simpatica: la storia degli ultimi anni di Twitter è stata costellata di scelte a dir poco azzardate, che hanno sempre più spinto gli utenti a porsi una domanda: "Ma dove vogliono andare veramente?". E proprio come quando quella barzelletta finisce, ecco che a rimanere è solo un imbarazzante vuoto pneumatico.
Già: se Facebook nei suoi primi 14 anni di vita ha messo in piedi una struttura in grado di evolvere, di cambiare, e arricchirsi di feature in grado di caratterizzare l'esperienza utente, Twitter non ha saputo andare oltre i propri limiti, ne tantomeno valorizzare le proprie peculiarità.
L'ossessione di fondo è sempre stata una: la scarsa crescita dei volumi di crescita. Twitter rallenta, rallenta da anni, e ancora una motivazione reale del perché la base utenti sia sempre la stessa non c'è. Per farci un'idea chiara della portata del fenomeno, basta osservare un grafico, quello del volume di crescita utenti per quadrimestre.
Se negli ultimi due anni la base utenti è stata sostanzialmente immutata, con un rallentamento del tasso di ingaggio che ha del clamoroso, non c'è da stupirsi che dall'anno della quotazione in Borsa, il valore del titolo si sia abbassato sempre più, fino a toccare le vette odierne, non propriamente esaltanti.
Non è chiaro se il processo sia irreversibile: certamente, il sito di microblogging più famoso al mondo non se la passa bene. Possiamo sfruttare questo percorso per dedurre, al di là delle scelte relative alla dimensione più strategica del fenomeno, qualcosa anche sul pubblico che abita questo social network, e in generale sugli abitanti della cosiddetta "social sfera".
Vivere snaturandosi o morire rimanendo se stessi?
Era il 2011 quando ci fu il terremoto in Giappone, e Twitter giocò un ruolo decisivo nel mantenere vive le comunicazioni, anche durante la crisi.
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Sempre nel 2011 fu ucciso Bin Laden: un'operazione che rischiò di saltare proprio a causa di Twitter. Ricordate il "tweet spoiler" direttamente da Abbottabad, dove si nascondeva il famigerato terrorista?
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Helicopter hovering above Abbottabad at 1AM (is a rare event).
— Sohaib Athar (@ReallyVirtual) May 1, 2011
Erano gli anni delle Primavere Arabe, il cui vento spirava grazie (anche) all'accellerazione del processo informativo dato da Twitter, e della seconda campagna elettorale di Barack Obama, che dell'uso dei social media e in generale del rapporto crossmediale fra mezzi di comunicazione aveva fatto il proprio cavallo di battaglia. Twitter splendeva di luce propria, grazie alla sua unica capacità di veicolare messaggi e renderli virali, attirando un numero crescente di persone, attratte dal miraggio di comunicare sostanzialmente in un ambiente libero e senza restrizioni dal punto di vista sociale (cosa che invece era nativamente impossibile per Facebook, considerando il vincolo della concessione di amicizia), e - aspetto non secondario - godere di un social media che era strutturalmente pensato per chi non pagasse dazio al digital divide e/o all'analfabetismo funzionale.
In altri termini, nel suo essere difficile (per l'uso degli hashtag, per il concetto di mention, e ovviamente per il limite di 140 caratteri che obbligavano ad abbondare nell'uso della sintesi) Twitter era il posto giusto per chi volesse elevare il proprio dialogo a scambio virtuoso di idee.
"Twitter è una cosa da fighettini"
Un ambiente per certi versi elitario, che escludeva inizialmente chi non possedeva uno smartphone (il device ideale per vivere Twitter) e chi non avesse buona conoscenza dell'inglese - almeno in una fase iniziale. Un concetto che non poteva durare e che si è scontrato con la necessità impellente di aprirsi alle masse per mantenere sostenibile il modello. Il Twitter che permetteva ai giovani egiziani di rendere possibile l'occupazione di piazza Tahrir non era appetibile in termini pubblicitari: doveva raccogliere più soldi.
È stato qui che, forse, è mancata una fedeltà di fondo alle proprie radici, la quale ad esempio non è mancata a Pinterest, un canale che ha continuato - lentamente - a crescere, ritagliandosi uno spazio importante nel mondo dei social media. Twitter ha preferito, negli anni, inseguire Facebook sul suo territorio: invece che esaltare le proprie qualità, valorizzando le innovazioni che il microblogging aveva introdotto nei nuovi linguaggi digitali, ha preferito semplificare il suo utilizzo, snaturandolo, e intaccando quelle caratteristiche sostanziali che ne caratterizzavano l'esperienza.
Lo sviluppo e il successivo abbandono di Vine rientra in questa categoria: una piattaforma complessa da utilizzare, ma snella, concreta, e molto creativa, in grado di competere come formato con le oggi inflazionatissime GIF. Un'idea ricca di potenzialità che si è scontrata con l'impossibilità di mantenerla, perché non sostenibile in un momento di forte crisi dell'azienda: una rinuncia che ha pesato, dato che Vine poteva essere considerata come l'evoluzione video di Twitter.
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L'esempio però forse più chiaro di questa trasformazione/involuzione, probabilmente anche a livello simbolico, è stato il passaggio dalla stellina al cuore per contrassegnare i tweet preferiti. Una sorta di dichiarazione di manifesta inferiorità verso Facebook, che del concetto di "like" era il legittimo proprietario. Una trasformazione mai del tutto accettata da parte dell'audience, che ha vissuto un passaggio per certi versi anche non così importante (a livello funzionale non cambiava granché) come un tradimento allo spirito originario del social.
Do you prefer?#TwitterHeart — Santa Claus (@1DAFSanta) November 4, 2015
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Se a livello simbolico il passaggio al cuoricino non è mai stato veramente considerato vincente, l'ampliamenot a 280 caratteri rischia seriamente di far saltare il banco: dando "più spazio" agli utenti (come dichiarato nel post del blog ufficiale), automaticamente si perde lo spirito di leggerezza e sintesi che ogni twittero ama, non semplificando però quel tanto che basta per raggiungere un sostanzioso aumento della base utenti. Quindi, che si fa? Continuare sulla strada della snaturamento, abbandonandosi a una lenta ma inesorabile fine, o provare a difendere la propria identità, giocandosi il tutto per tutto?
Come ripartire in 4 "semplici" mosse
Per Twitter, arginare l'emorragia di nuove iscrizioni e il progressivo deterioramento del valore sembravano (sembrano!) essere ancora obiettivi raggiungibili. Troppo importante è stato, ed è ancora, il mondo dell'uccellino blu: ne è una dimostrazione la portata che ha - anche in termini virali - dei post del presidente Trump (personaggio che riconosciamo probabilmente farebbe notizia anche se parlasse solo via telegrafo).
I told Rex Tillerson, our wonderful Secretary of State, that he is wasting his time trying to negotiate with Little Rocket Man... — Donald J. Trump (@realDonaldTrump) October 1, 2017
Riconosciamo a Twitter ancora il ruolo di piazza ufficiale dove lasciare pensieri, forse ancor più di Facebook. Percepiamo come autentico e personale un tweet, a differenza di un lungo post su una fan page, perché il format dei 140 caratteri è ancora identificato come ideale per trasferire un flusso di pensieri.
Ripartire da qui può essere la chiave per dare nuova verve a quello che, a parere di molti, il social network più furbo e divertente. Come ninja, abbiamo pensato a quattro semplici mosse che Twitter potrebbe mettere in campo per risollevarsi, partendo da ciò che è stato.
1. Intervenire sul processo di fruizione
Il tasto "Edit", che forse è una di quelle release più invocate dagli ultimi anni e che semplificherebbe di molto la vita a tutti gli utenti, non è mai stato inserito per uno spirito di autenticità che contempla anche gli errori: inserirlo sarebbe stato depotenziare la realtà che si nasconde dietro un tweet. Un primo passo che però potrebbe diventare decisivo, anche per motivare nuovamente gli utenti. Il processo di fruizione non si risolve però solo con questo. Rivalutare l'impatto anche visivo delle mention (perché non tornare indietro a quanto il nome utente che si cita era chiaramente visibile nel post?), creare meccaniche di risposta rapida, riaccorpare tweet e risposte in un unico spazio, incentivare l'ingresso nel social media creando norme di utilizzo più rigide (si pensi alla nudità, permessa solo su Twitter): tutte scelte che impattano direttamente sul modo di interagire con lo spazio, e che segnalerebbero una forte discontinuità con il passato.
2. Dare più spazio al format video
Nell'anno che sta consacrando i video come format principale di content creation, l'assorbimento delle funzionalità di Periscope in Twitter è passato quasi inosservato. Per certi versi, sembrava che Periscope fosse più competitivo quando era un'app a sè stante. Incentivare l'utilizzo delle dirette video su Twitter, creando sinergie con media company e publisher di contenuti importanti (come fatto ad esempio da Facebook) potrebbe riportare una base utenti impigrita a condividere nuove risorse, andando così a impreziosire l'ambiente stesso.
3. Sfruttare i big data per personalizzare la UX
Ognuno di noi, quando twitta, può disattivare la geolocalizzazione che connota ogni post, così come in moltissimi hanno inserito il proprio numero di cellulare e i propri dati personali per proteggere l'account. Questo però non significa che quel dato potrebbbe non essere comunque rilevante. Incentivare come fatto da Facebook il rapporto con ad esempio lo spazio, o mappare l'utilizzo di keywords e hashtag creando una tassonomia per personalizzare l'esperienza di navigazione, potrebbe impreziosire ancor di più le sessioni di navigazione. Un po' questo già avviene, e i tentativi di proporre all'utente i contenuti più corretti sono stati tantissimi. Al di là dei suggerimenti basati su criteri temporali ("Mentre eri assente...") un utilizzo maggiore dei dati degli utenti potrebbe rivelarsi importante sul lungo periodo proprio per "costruire" intorno all'utente la sua esperienza.
4. Ritornare allo spirito creativo originario
Quando nacque TumblrTV, da un lato sembrò che si fosse esagerato: come poteva essere considerata un canale tematico un flusso ininterrotto di GIF? Bene: l'iniziativa della più grande piattaforma di blogging (Tumblr, appunto) si rivelò essere geniale, a suo modo. Un formato che oggi ci è molto famigliare, e che è tornato prepotentemente in auge anche grazie a iniziative così avveniristiche. Ecco: lo spirito che dovrebbe oggi cogliere Twitter e il suo management è questo. Una vocazione a guardare avanti, non tanto cercando di sfruttare i trend già osservabili oggi, quanto dettare l'agenda di cosa ci piacerà domani.
Twitter ha per certi versi anticipato la vocazione alla sintesi e alla leggerezza che ha contraddistinto il modo di esprimersi online fino ad oggi: scegliere di abbandonare quello stesso spirito, in favore di una "normalizzazione" che insegue competitor oggettivamente inavvicinabili, rischia di essere la sconfitta definitiva di quella che è stato, nel bene e nel male, una delle pietre miliari nell'evoluzione del modo di comunicare online.