“Voglio fare il copywriter, che libri mi consigliate di leggere?” Questa è una delle domande più gettonate che fanno i giovani aspiranti copy e che leggo da 5 anni come admin del gruppo su Facebook “Un posto al copy” e da un anno come cofondatrice dell’Associazione Italiana Copywriter. Così, d’istinto, risponderei “tutti”, mettendo in fondo alla lista quelli di pubblicità e comunicazione. Tuttavia da qualche giorno c’è un libro in particolare che mi sento fortemente di consigliare: “#Digital Copywriter” di Diego Fontana. Un manuale prezioso non solo perché offre consigli e spunti pratici sul nostro mestiere, oltre a essere ricco di esercitazioni con cui un giovane aspirante collega potrebbe riempire il suo primo portfolio.
È prezioso soprattutto perché segna un cruciale punto di incontro tra due generazioni, quella dei signori dell’advertising classico e quella dei più giovani professionisti che a volte, con distacco e anche con un filo di disprezzo, vengono chiamati “web cosi” o “social media cosi”. Diego ha infatti tracciato i lineamenti del copywriter di oggi, quello nato dopo il 2000 e dopo che internet e i social network in particolare hanno rivoluzionato il modo di fare comunicazione, e lo ha chiamato appunto “digital copywriter”. Citando l’autore:
“In un contesto disgregato e caratterizzato da una certa incapacità di comunicare tra professionisti, il rischio già molto concreto è che i copywriter si trovino sempre più impossibilitati a fornire un apporto significativo in termini di qualità del pensiero e diventino meri redattori di testo. Mai come oggi è fondamentale aprire un dialogo per ricucire la frattura tra professionisti on e offline, favorendo una nuova figura professionale che integri il meglio di ogni approccio. Il digital copywriter deve pensare come un copy, ma agire in modo sempre più digitale.”
E infatti, con il nuovo millennio e l’avvento di internet, la figura del copywriter “di una volta” si è frammentata in tanti pezzi. Il copywriter è diventato social media manager, blogger, content editor, storyteller e tutta una giungla di qualifiche più o meno altisonanti che a volte iniziano con “web” e a volte finiscono con “specialist”. Ogni tanto oggi al copy capita perfino di fare il copy! A mio parere, invece, un copywriter che si rispetti deve saper fare tutto questo, come d’altronde ha sempre fatto. Se prima il bravo copy doveva saper passare da una campagna stampa a una radiofonica, ora deve saper saltare dallo spot al post con l’agilità di un ballerino. Perché alla fine il web e i social non sono altro che un nuovo mezzo. Ed esattamente come ogni mezzo hanno le loro regole e la loro grammatica. Il problema è che la natura “tecnica” di queste regole troppo spesso fagocita quello che dovrebbe essere il cuore di ogni comunicazione: l’idea.
E in effetti la chiave per comprendere pienamente non solo questo libro ma anche il divario tra le due generazioni sta proprio nel sottotitolo: pensa come un copy, agisci nel digitale. Ora se agire nel digitale spaventa i professionisti anziani, o almeno quelli che non sono riusciti a tenersi al passo, anche pensare come un copy non risulta sempre facile ai web-copy e a tutte le altre figure di cui sopra. Ma perché, come pensa un copy? Cito ancora Diego, che è più semplice: il creativo non è “l’esecutore pratico di una serie di modelli”, ma un professionista capace di “generare ponti fatti di pensiero e parole tra un committente e una persona, favorendo un dialogo fatto di affinità elettive, di comunanza di visioni, valori, idee.” Se ancora non è chiaro, ecco un esempio pratico:
“Quando un ragazzo, ancora nel 2017, sceglie un paio di Nike tra tanti altri brand di sneakers e scarpe da ginnastica, pensate che lo faccia perché ha letto una call to action sul sito, perché si è informato e si è imbattuto in un articolo che spiega i 10 motivi sul perché scegliere precisamente quel modello, pensate che le scelga perché ha letto una brochure in cui i tecnici di marketing hanno preteso fossero indicate le percentuali di incremento in fase di salto? Non credo, francamente. E non credo che nessun altro possa crederci davvero. Quel ragazzo sceglie Nike perché su di lui agisce ancora il mito che generazioni intere di copywriter e art director hanno contribuito a scrivere; un mito che diceva ‘Isaac Newton 0 – Michel Jordan 1’ invece di ‘Aumenta dello 0,4% le tue performance di elevazione’, o di spot spettacolari in cui i più grandi calciatori della terra venivano chiamati a difendere ‘il gioco più bello del mondo’ dalle forze demoniache che volevano distruggerlo.”
Il mio consiglio di leggere questo libro va a tutti: al giovane o alla giovane copy, che magari non ha la fortuna di frequentare scuole come IED e Accademia di Comunicazione, e che si sta formando da autodidatta, ma anche a chi ha più esperienza e guarda ancora con diffidenza i nuovi mezzi di comunicazione. O anche a chi mi scrive ponendomi domande inquietanti come: “Ho un blog e gestisco la pagina Facebook di un’azienda. Secondo voi sono un copy?” Caro amico, acquista “#Digital Copywriter”, leggilo e levati ogni dubbio.