Ogni settimana vi proponiamo una rubrica dal titolo Epic Win & Fail, che raccoglie il meglio e il peggio di quanto visto sui social network nella settimana passata. In questa puntata, visto il thread discusso nei giorni passati, era presumibile che trovaste post di Ceres, Taffo, UniEuro e chissà quanti altri che parlavano del famigerato video della filiale Intesa San Paolo di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova. Katia, l'assente per malattia Fabio, l'Io ci sto cantato a squarciagola e quel piglio tutto allegria e team building hanno riempito le nostre bacheche fino alla saturazione, con un mare di user generated content che hanno giocato sulla faccia forse un po' ingenua della (ormai nota) direttrice di banca.
Ecco, forse il centro di questa rubrica avrebbe dovuto essere questo.
Perché non spariamo su Katia e i suoi colleghi
La redazione Social, di concerto con il direttore, ha però pensato che questa volta no, non avrebbe contribuito a mantenere alto l'hype della conversazione su questa storia, mutuando le scelte fatte dagli utenti del web nei giorni passati. Il motivo è molto semplice: siamo di fronte a un caso che è nato da un dolo, cioè la messa online di quel video.
Qualcuno ha condiviso un contenuto, mettendo alla berlina delle persone che stavano partecipando a un'attività interna all'azienda. Stavano (in un certo senso) lavorando, e per quanto possa essere risultato poco professionale il risultato, hanno soltanto svolto parte di quello che era il loro dovere.
I social ci stanno scappando di mano
Avremmo potuto scrivere editoriali su che tipo di attività si svolgono oggi in azienda, su che tipo di attività bisognerebbe svolgere per sviluppare una buona sinergia fra dipendenti, quali siano le best practice di comunicazione interna ed employee advocacy. Magari lo faremo, ma indipendentemente da questa storia.
Quelle persone non volevano (e non dovevano) essere messe alla gogna. Ci sono finite loro malgrado, e questo lo prendiamo non tanto come un esempio sul come realizzare contenuti efficaci, semmai sul come stia scappando il piede sulla frizione della nostra percezione dei social media.
A livello comportamentale, infatti, l'accelerazione dell'informazione sta portando sempre più persone a discettare di ogni argomento senza comprendere pienamente lo scenario: tutti vogliono arrivare per primi a dire la loro, a sviluppare like e acquisire visibilità. Una deriva malata del concetto di influencer, che sta però alimentando nel nostro settore una pericolosa deriva superficiale e poco edificante, anche sotto il punto di vista umano.
Non ci nascondiamo dietro un dito, anche noi Ninja abbiamo discusso in redazione di questo video, ne abbiamo riso e ci siamo chiesti il perché fosse stato realizzato. Fortunatamente, non siamo saltati a conclusioni, e, ripetiamo, è stata una fortuna: altri hanno detto la loro, prima, e lo hanno fatto cominciando a enunciare le cinque regole fondamentali per realizzare un buon video, il fallimento del concetto di employee advocacy in Italia, la figuraccia della più grande banca italiana. Tutti argomenti fuori luogo, visti i fatti.
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Un modo di fare informazione che non ci appartiene, proprio perché di questo fenomeno dell'accelerazione informativa, delle meccaniche comportamentali sui social media, di come la mediazione di un canale digitale sempre attivo e presente modifichi i nostri comportamenti, vogliamo essere profondi conoscitori.
Non si può informare, senza capire: e questa storia ha insegnato ancora una volta (anche a noi) che non c'è corretta informazione senza comprensione e rispetto di quello che si racconta.
Ci siamo lasciati trasportare da quello che si può definire umorismo pirandelliano: il problema è stato, però, che anche dal punto di vista più strettamente settoriale.
Perché quel video è un epic win
E qui entra in ballo questa rubrica. Secondo noi Katia e i suoi colleghi sono stati trattati ingiustamente come carne da macello digitale, e il motivo è molto semplice: perché il loro video è un win. Sì, proprio così: per noi è un win.
Guardato infatti alla luce dei fatti, il loro non è stato un contenuto mal fatto per la comunicazione interna, ma il risultato di un'interpretazione, di un modo di leggere e tradurre la consegna data dal reparto HR. Per questo possiamo dire che il loro video sia autentico ed efficace, perché rispecchia - presumiamo - le persone che in quella filiale lavorano, e anche se hanno scelto di raccontarsi recitando uno script non professionale scritto di loro pugno, cantando una canzone scritta da Ernesto Olivero del Sermig (perché la canzone è dell'Arsenale della Pace, non si canta in chiesa come letto un po' ovunque), e mostrando una torta con il loro logo aziendale, hanno comunque provato a partecipare, a fare squadra, a uscire dalla mediocrità che garantisce il rimanere anonimi.
Il video era in verticale? Lo script scritto male? C'erano stacchi non funzionali? E la canzone, poteva essere un'altra? Pazienza. Ricordiamolo: siamo nel campo del contest aziendale, non spetta a noi dire cosa fosse giusto o meno. E se proprio avessimo voluto dire la nostra, sarebbe stato necessario basarci su fatti concreti e non su supposizioni.
Che poi i dipendenti siano chiamati a fare quest'attività, questo è un altro paio di maniche: da giudicare, però, non erano quei dipendenti, e sicuramente non in quest'occasione.
I Ninja sono stati promotori, anni fa, di un hashtag: #StopWebViolence. Che questa storia possa aiutare tutti coloro abitano i social media ad apprendere come ciò che capita online sia reale, autentico, e come tale non ha ritorno: da parte nostra, come Ninja (della redazione Social, ma anche delle altre) continueremo ad essere sempre "giornalisti non convenzionali": non cercheremo like a tutti i costi, anzi, punteremo sempre ad arricchire i professionisti della comunicazione di oggi e domani.