Se siete dei pubblicitari avrete probabilmente divorato le memorie di Jaques Séguéla e David Ogilvy, ma spero - perché in caso contrario, avrete finora perso una grande lettura - che conosciate anche l'italianissimo e divertentissimo libro di Lele Panzeri.
Uscito già nel 2006 grazie a casa Lupetti, arriva oggi da Blonk nel formato digitale il divertente, iconoclastico e mai troppo lodato C'ero una volta del leggendario art director Lele Panzeri.
Tra memoir e romanzo di formazione
A metà tra un memoir e un romanzo di formazione, in C'ero una volta, l'autore si diverte e racconta i suoi picareschi cinquant'anni, tutti vissuti pienamente e seguendo sempre i tumulti del cuore: dalle prime infatuazioni allo scoppio dei grandi amori, tra i quali, oltre alle compagne e ai figli, possiamo annoverare il disegno, Frank Zappa, la patafisica, la vela, la regia e, ovviamente, la pubblicità.
È un romanzo scritto di pancia come le risate che riesce a suscitare nel lettore, perfetto nelle sue imperfezioni, anzi, così perfetto da riuscire a trasmettere, chiaramente, la sensazione che l'autore si sia divertito moltissimo scrivendolo.
Tra le righe che compongono il romanzo di una vita, Panzeri riesce anche a rispondere alla domanda delle domande, un quesito su cui pubblicitari, luminari e uomini di genio scrivono, tutt'oggi, tomi su tomi: ma come nasce un creativo?
Leggendo il libro di Lele Panzeri la risposta diverrà ovvia, come quelle lezioni di educazione sessuale che si tengono ai bambini: «un uomo conosce una donna e...»; se la prende comoda Lele Panzeri – e il lettore gliene è grato, perché le avventure narrate sono una gioia per il cuore e per lo spirito – cominciando la narrazione a partire dalla sua nascita.
Dal primo vagito in poi, è tutto un susseguirsi di avvenimenti che permettono al giovane Panzeri di "militare nelle file dell'Advertising", ed entrare così in contatto diretto con i più grandi creativi italiani tra i quali Emanuele Pirella, Annamaria Testa, Michele Rizzi, Enzo e Sandro Baldoni, Dario Diaz, Roberto Pizzigoni, Giampiero Vinti, Pasquale Barbella.
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L'età dell'oro dell'advertising
Parla comunque di tempi strani l'autore del romanzo, che stendono talvolta durante la lettura un velo di sgomento negli addetti ai lavori, soprattutto in junior e aspiranti tali, i quali ogni giorno affrontano le difficoltà del collocamento dalle quali, comunque, non è immune ai giorni nostri tutto il settore professionale.
Una presunta età dell'oro dove alle agenzie spettava il compito di formare i talenti, all'interno dei reparti, offrendo loro spazio e tempo per crescere professionalmente, creativamente, e nel contempo riconoscendo loro uno stipendio che lievitava proporzionalmente all'aumentare delle competenze.
Un'epoca che - sebbene priva di scuole di comunicazione e costosi master - sfornava geni capaci di lasciare un segno nella storia della pubblicità.
Anni, quelli narrati da Panzeri, in cui si credeva genuinamente e si investiva nel potenziale umano.
E si investiva in formazione così tanto, che il primo partner con cui fece coppia creativa Panzeri, era il copywriter Pietro Vaccari, assoldato in seguito a un tamponamento causato da Roberto Granata, direttore creativo della TBWA al volante della sua auto (un esperimento che l'autore di questa recensione vorrebbe provare se vivesse a Milano, e non sulle coste dello Jonio dove è più probabile imbattersi in un disoccupato privo di assicurazione).
C'era una volta e, fortunatamente, c'è ancora
C'ero una volta di Lele Panzeri - sia che venga definito, come piace all'autore, «una autobiografia non autorizzata», o sia elogiato, come io sostengo, quale libro sull'arte di vivere – è il racconto di uno spirito libero, da sempre incuriosito dagli aspetti divertenti e paradossali della vita, che ha espresso il suo straordinario talento nell'Advertising.
Fortunatamente per noi tutti, la storia dell'uomo Panzeri incrocia la storia della pubblicità italiana della quale è protagonista a partire dagli anni '70, e l'Art Director dalle pagine di questo romanzo, nel mezzo del cammin di sua vita, continua a ricordarci che il mestiere del creativo era e può essere ancora divertente.