Ascoltare, capire, definire un tone of voice adeguato. Preparare una guideline ad uso esclusivo dei community manager, dare un volto, colori, attitudini nella stesura di una brand identity: i marchi devono essere sempre più umani, nel volto, nel linguaggio, nell'immagine, nei sentimenti.
E per quanto riguardi le questioni sociali? La politica?
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Se un brand è umano, come tale dovrà reagire anche agli stimoli esterni che, in questi ultimi due anni come mai prima d'ora, vertono costantemente sulla politica.
Costruire una identità di brand solida, esclusiva e inclusiva, nella quale i consumatori si riconoscano in maniera empatica, che li faccia scegliere la marca ogni giorno, tutti i giorni; valori che vengano trasmessi dall'impronta digitale della marca, espressi attraverso i suoi prodotti, i suoi servizi e le comunicazioni con il pubblico. Arriverà anche il momento in cui i consumatori si aspetteranno che questi valori così passionalmente esposti vengano poi effettivamente difesi, anche se la cosa potrebbe andare a toccare il profitto.
La giusta dimensione della fedeltà
Dovresti politicizzare il tuo brand?
Non ho nessuna risposta definitiva da importi, ma posso darti uno spunto di riflessione. Iniziamo dissipando un mito comune: la fedeltà alla marca (Brand Loyalty) è importante, fondamentale, per sostenere la domanda attuale, ma in nessun modo favorirà la crescita del brand.
È importante che noti come porsi l'obiettivo di connotare politicamente il tuo brand possa invece farti mancare il bersaglio principale: la crescita. Sostenere una posizione politica, che si declini anche nell'appoggiare determinati movimenti sociali, sicuramente aumenterà la fedeltà dei tuoi consumatori al brand, non i loro acquisti.
Per guidare la crescita, la brand loyalty deve essere funzionale alle vendite, cosa che non è nella maggior parte delle categorie merceologiche.
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Prendiamo in considerazione una categoria di acquisti che siamo obbligati a fare con una determinata costanza: ammettiamo che un cliente compri sempre lo stesso brand di pneumatici, cambiandoli regolarmente una volta l'anno. Questa è fedeltà, non crescita. Ammettiamo invece che, lo stesso cliente, cambi l'intero treno di gomme più volte l'anno, o che acquisti sempre due o tre pneumatici in più. Oltre a non essere un comportamento regolare, non è né prevedibile né affidabile tanto da svilupparci sopra un modello di business.
Un esempio più digital: quante volte l'anno un brand si affida ad un'agenzia per il restyling del proprio sito o per un rebranding?
Questo è il primo motivo per cui non ricorrere alla politicizzazione del tuo brand: non devi farlo se il tuo primo obiettivo è, invece, quello di crescere.
2017, annus horribilis per essere agnostici
Le elezioni americane dello scorso anno non sono state solo una lezione di social media management, hanno anche tracciato un solco: o sei dentro o sei fuori.
Quasi nessuno tra brand, intellettuali, "establishment", Hollywood è rimasto in silenzio. Tutti hanno detto la loro, tutti si sono schierati chi con e chi - gran parte - contro il nuovo presidente USA.
Ed è stato questo il caso in cui mantenere un profilo neutro in merito si è rivelato un contro.
Lyft e Uber: prendere posizione si è rivelato discriminante
Quando lo scorso 27 gennaio il presidente Trump ha firmato il cosiddetto "Muslim Ban", con il quale bloccava l'ingresso negli Stati Uniti alle persone provenienti da sette Paesi a maggioranza islamica, Lyft si è da subito schierata contro l'emendamento. Il servizio di ride-sharing ha reagito inoltre promettendo 1 milione di dollari all'American Civil Liberties Union.
Uber, al contrario, non solo si è astenuta dal contrastare la scelta del neo presidente, ma inizialmente ha anche deciso di eliminare il sovrapprezzo dalle sue corse il 28 gennaio, in risposta allo sciopero promosso dalla New York Taxi Workers Alliance per mostrare solidarietà a tutti coloro che venivano colpiti dall’ordine restrittivo.
Tardiva la risposta dell'Amministratore Travis Kalanick che ha rilanciato promettendo ben 3 milioni di dollari da destinare alla difesa legale da tutti i cittadini colpiti dal decreto: in rete si era ormai diffuso l'hashtag #DeleteUber, diventato subito trend topic.
In questo modo Lyft ha costruito fiducia e rafforzato il suo rapporto con i clienti, mentre Uber ha causato una disconnessione - anche se temporanea - dovuta all'ipocrisia riconosciuta in un brand che dichiara: «Uber è una comunità. Siamo qui per sostenerci l’un l’altro».
Cosa succede in Italia quando una casa non c'è per tutti
Anche in Italia abbiamo avuto la nostra serie di trend topic dovuti alla reazione dei consumatori a fronte di particolari dichiarazioni.
Qualche anno fa non poco scalpore suscitarono le dichiarazioni di Guido Barilla. In un'intervista radiofonica, l'erede dell'impero portato avanti dal pay off "Dove c'è Barilla c'è casa", dichiarò che mai si sarebbero viste famiglie omogenitoriali negli spot dell'azienda di famiglia, in quanto loro credevano nelle famiglie tradizionali.
Inutile dire come la rete si mosse all'unisono con #BoicottaBarilla come hashtag ufficiale e tanti brand, tra concorrenti diretti e non, si dichiararono ufficialmente contrari alle dichiarazioni del delfino parmense.
Politica sì o politica no per un brand?
Se proprio non si può evitare di entrare nella bagarre politica, insomma, bisogna assicurarsi di non disattendere mai i valori di marca dichiarati, dimostrati o trasmessi. Se stai considerando di politicizzare il tuo brand ricordati che le questioni definite politiche sono anche (soprattutto) le questioni legate all'immigrazione, all'equalità, al contesto che si vive.
Questi temi hanno sicuramente un aspetto politico, ma sono quelli sopra citati gli ambiti su cui il tuo brand dovrebbe prendere posizione, non lo schieramento al quale si avvicinano o meno.
Politicizzare un brand non significa esprimere una posizione su ogni tematica che domina i media in un dato momento: concentrati sul soddisfare le aspettative di chi crede in te. Mantieni le tue promesse elettorali, non quelle di altri.