Abbiamo intervistato Bruno Ballardini, copywriter di successo e di notevole esperienza, docente universitario e scrittore di diversi saggi universitari e non, con l'intento di entrare nel mondo di un pubblicitario e descriverne sensazioni, dubbi, emozioni, successi, fallimenti, idee geniali e applicazioni alla realtà.
Un modo di raccontare la vita in agenzia ed i suoi ruoli, in particolare quello del "copy", un lavoro sognato un po' da tutti.
Ci descriva il suo ruolo quando era in agenzia e cosa fa tuttora
Sono stato junior copywriter in BBDO, copywriter in Compton, senior copywriter in Saatchi & Saatchi e Young & Rubicam, direttore creativo in Interwork e Nautilus e infine mi sono stufato di fare il semplice creativo e ho cominciato ad occuparmi di strategie come consulente per grandi aziende. È molto più creativo fare strategie (con tutto quello che ne consegue) piuttosto che mettere solo la ciliegina su una torta che è stata confezionata da altri.
Come era composto il suo team?
Inizialmente i team creativi cui ho partecipato erano composti da un art e un copy junior (io ero il copy junior), un art e un copy senior e due assistant. Ovviamente in stanze diverse ma comunicanti. Poi col passare degli anni siamo rimasti in due, un art senior e un copy senior (sempre io). Infine, negli anni della crisi, alla formazione classica art-copy si è aggiunto stabilmente un terzo elemento: il cliente. E, come si sa, il cliente ha sempre ragione...
Come avveniva la riunione creativa?
Ci sono sempre stati quattro livelli di riunione creativa: uno era con il direttore creativo che dopo aver ripassato il brief con le varie coppie coinvolte nel lavoro dava il via libera ad un brainstorming collettivo in cui tutti erano autorizzati a tirar fuori le più immani cazzate. Poi si passava ad una seconda riunione che ciascuna coppia faceva nell'intimità della sua stanza senza tirar fuori niente di diverso dalle cazzate che aveva tirato fuori poco prima ma sviluppandone alcune. Poi c'era la presentazione al cliente che dopo un po' si trasformava in riunione creativa perché il più delle volte anche il cliente si metteva a fare il creativo. E infine il quarto livello di riunione che si faceva tornando in agenzia e cercando di coniugare gli "input" (ma sarebbe meglio chiamarli dictat) del cliente con la dignità creativa dell'agenzia.
Quale "procedura" seguivate per il brainstorming?
C'erano i brainstorming condotti dai clienti internazionali, con tanto di rotolo di carta su cavalletto o slides di Power Point, e noi dovevamo subire tutte le regole inventate da qualche guru di serie B su "come si conduce un brainstorming", poi tornavamo nelle nostre stanze e ricominciavamo daccapo alla maniera nostra. Oppure alla maniera nostra, cioè bevendo birra, ascoltando musica a tutto volume e sfogliando annual fino a quando qualcuno non lanciava un'idea. A quel punto iniziava un ping pong rapido dal tavolo del copy a quello dell'art fino a quando qualcuno non entrava in schiacciata con l'idea definitiva o un'illuminazione improvvisa che sparigliava tutte le carte in tavola.
L'art che ruolo aveva?
L'art senza nemmeno leggere il brief cominciava subito a sfogliare annual per vedere di farsi venire qualche idea che regolarmente non c'entrava nulla.
Mentre il copy che compiti aveva?
Il copy aveva il compito principale di arginare le "fantastiche" idee dell'art che in genere non si riferivano mai al brief ma ad alcune pubblicità viste la sera prima, ad esempio: "Senti, ma perché non facciamo uno spot tipo quello che è appena uscito per XY però girato al contrario, capito come? Raccontando la storia in flashback con il prodotto che compare alla fine cioè adesso..." Dopo di che volavano i pennarelli.... Oltre a questo, il compito del copy era anche quello di tirar fuori delle idee.
Un esempio di campagna in cui c'è sintonia tra copy e visual ?
Un esempio di eccellente sintesi nel rapporto fra copy e visual può essere quella realizzata dall'Agenzia Richter7 di Salt Lake City, commissionata dallo Utah Commission on Marriage. Questa campagna realizzata nel 2010 dice esattamente quello che deve dire coinvolgendo il pubblico in un semplice gioco visivo. Di norma è preferibile non far compiere al pubblico nessun "lavoro" mentale affinché il messaggio arrivi in modo diretto prevenendo così la possibilità di un brusco cambio di pagina o di canale alla minima difficoltà di comprensione. Ma qui il messaggio si propone sotto forma di gioco e il minimo "lavoro" che occorre per scoprire la soluzione è parte integrante del messaggio stesso: perché un'unione sia durevole, occorre lavorarci. Insieme.
Ci racconta un aneddoto sulla realizzazione di qualche campagna a cui ha partecipato?
Per dare un'idea dell'assurdità delle richieste di certi clienti (perfino durante l'epoca d'oro della pubblicità) citerò un passaggio del mio libro "La morte della pubblicità" che sta per uscire in edizione aggiornata.
"Dovevamo girare un commercial in stile slice of life per una nota marca di prodotti per l’infanzia. Questo genere di format prevede l’utilizzo di testimonial reali in presa diretta durante le loro abituali attività quotidiane. Quello che se ne deve ricavare, a detta del cliente, è un senso di “verità”. In realtà questi film sono costruiti con un abile montaggio di scene in presa diretta alternate a scene in cui il protagonista parla fuori campo. Per ottenere un testo aderente allo schema imposto dal marketing dell’azienda, sarebbe bastata una psicologa intervistatrice che avrebbe bombardato di domande le donne fino a quando non saremmo riusciti a ottenere le risposte che volevamo. Il vero problema è che si trattava di insegnanti d’asilo nido vere con bambini veri. E il cliente, per motivi di convenienza, aveva deciso di girare il commercial con una casa di produzione olandese. Così, partimmo per Amsterdam. In aereo, l’unica parola che disse il tv producer della nostra agenzia fu: «Mah». Era disorientato. In tanti anni di carriera non gli era mai capitato di scontrarsi con l’irragionevole pervicacia di un cliente come questo. Si poteva girare benissimo in Italia, invece... Quando arrivammo, il progetto si rivelò in tutta la sua assurdità.
L’asilo nido era stato ricostruito dagli scenografi all’interno della casa di un giornalista olandese, e poiché fuori la temperatura era parecchi gradi sotto zero, anche la porta d’ingresso dell’asilo nido era stata realizzata all’interno dell’appartamento con un telaio che la reggeva in piedi in mezzo al salotto. L’intervistatore doveva bussare “da fuori” e la donna avrebbe dovuto aprire la porta... E tutta questa messa in scena, in mezzo al salotto, sarebbe dovuta apparire il più “naturale” possibile! I manager dell’azienda presenti mostravano segni d’inquietudine per quella che a loro appariva come incapacità da parte nostra nel cercare di ottenere dalle donne un comportamento spontaneo... Uno di loro, una specie di guru della comunicazione che con le sue guidelines andava in tournée per tutte le sedi internazionali dell’agenzia, osservava cinicamente i nostri insuccessi lontano dal set, dentro un pullman attrezzato con monitor, fumando un sigaro avana. Come si poteva pretendere che da una situazione così stupida avremmo ricavato un commercial intelligente? Dopo due giorni di tentativi andati a vuoto, tutti i membri dell’agenzia si aggiravano per il set come belve inferocite".
Ci fa un esempio di "campagna intelligente" ?
Il BETC, laboratorio per i new media creato dalla storica agenzia Euro RSCG di Parigi (quella di Séguéla, per intenderci), ci indica una via per la pubblicità del futuro. Per il lancio della Peugeot 208 ha realizzato uno dei primi spot interattivi. La storia si sviluppa in modo lineare ma, nei nodi cruciali in cui occorre fare una scelta, lo spettatore viene invitato a immedesimarsi nel protagonista e a scegliere al suo posto, istintivamente. Il claim "Let your body drive" (lascia che sia il tuo corpo a guidare/guidarti) contiene la strategia di comunicazione: la Peugeot 208 oggi è la scelta più istintiva e naturale per chi ama la guida, un'auto che sa interpretare meglio di qualunque altra il tuo istinto, quasi un'estensione del tuo corpo. Lo sviluppo del sito è di Anonymous. Fateci un giro: www.208.peugeot.it
Ad impulso, ci può dire le sue sensazioni, le sue emozioni ed esperienze sul lavoro vissuto?
È un lavoro da ragazzini. Ti dà la tua dose quotidiana di adrenalina e all'inizio è eccitante per questo. Ma nessuno si augura di continuare a "farsi" di adrenalina dopo i 40 anni. A parte i drogati, intendo.
Ci descriva la sua giornata tipo "9/24"
Dalle nove? No no, si arrivava tutti in agenzia intorno alle 10 (a meno che non ci fosse una riunione fissata prima, ma le fissavano apposta alle 10). Si leggevano un po' di riviste, si ricevevano nuovi brief dagli account, dopo di che si andava a pranzo in uno dei tanti posti vicini all'agenzia, dove spesso si incontravano i creativi di altre agenzie e tutti, in presenza degli altri colleghi, facevano finta di essere stanchi morti, stressati dall' iper lavoro e dagli stipendi troppo bassi (questo per dissuadere psicologicamente chiunque avesse la minima tentazione di fare un colloquio nella propria agenzia col rischio che fosse più bravo di noi e che venisse preso).
Per quanto riguarda la sobrietà in comunicazione?
Ecco un esempio di sobrietà. Per fare della buona comunicazione, non occorre cercare a tutti i costi soluzioni eclatanti ma è necessario invece far arrivare il messaggio in modo diretto, come la linea della metropolitana. In questo caso si fa coincidere anche visivamente l'idea di vicinanza (o di facile raggiungibilità) della struttura ospedaliera con il fatto che la soluzione a questo problema chirurgico è più vicina di quanto si pensi. Il doppio senso si realizza fra copy e visual, e non banalmente come spesso si fa, soltanto nel titolo. Sono questi piccoli accorgimenti tecnici che fanno la differenza.
Un consiglio per i giovani pubblicitari?
Scappate finché potete. Oppure, se rimanete, sappiate che lo fate a vostro rischio e pericolo.