Se siete assidui di Twitter, avrete notato in questi giorni un promoted hashtag molto invitante (almeno nelle intenzioni): #Guerrieri.
Il topic voleva coinvolgere gli utenti a raccontare la loro storia nell'ambito della campagna "Guerrieri" di Enel: un'iniziativa nata per coinvolgere gli utenti a raccontare le proprie esperienze di vita speciali, concorrendo così al concorso per vincere una bicicletta elettrica.
Il legame "battaglia - energia per vincere", concept semplice ma tutto sommato efficace, era insomma affidato alla community degli utenti, che nelle intenzioni del brand dovevano concorrere in massa alla gara per condivere narrazioni personali e speciali attraverso la produzione poderosa di User Generated Content su una piattaforma creata ad hoc.
La scelta di veicolare con una massiccia campagna su Twitter il concept ha avuto, però, risvolti poco positivi. Nei giorni scorsi, infatti, all'Enel è stato sì dedicato un buon numero di contenuti, ma non tutti atti a evadere la richiesta dell'emittente.
Nello storify che vi proponiamo, abbiamo una serie di reazioni contrastanti. Volutamente abbiamo lasciato alcuni tweet positivi nell'elenco, per darvi un'idea della proporzione diversificata fra tweet in linea con la richiesta di Enel rispetto a quelli critici. In molti infatti hanno posto l'accento sulle attività considerate non belle, scherzando sull'essere #guerrieri... al contrario, e il rapporto di contenuti attesi rispetto a quelli imprevisti è stato decisamente a favore di questi ultimi.
Questo è un sunto della faccenda: abbiamo atteso qualche ora per vedere le risposte del brand, che per adesso non ci sono state. L'episodio però apre ad alcune riflessioni.
Sulle storie non si scherza: usare lo Storytelling è arte da... #guerrieri.
Chiedere agli utenti di mettersi in gioco può essere una soluzione interessante per alimentare la comunicazione. Se l'azione porta a stimolare la produzione di narrazioni frutto di un'esperienza personale, si può generare infatti un flusso di contenuto virtuoso e viralizzabile con facilità. Nella pratica: un brand chiede di produrre qualcosa che sarà bello fruire a prescindere dal core business veicolato (in questo caso, il mercato dell'energia) che potrebbe avvicinare eventuali prospect attirati intanto dalla bellezza di fruire un determinato numero di contenuti inediti, originali, vari.
Content marketing, insomma: basato nel caso della campagna #Guerrieri, sulle più elementari tecniche di Storytelling.
Il calcolo da farsi è però più complesso rispetto a un'osservazione sommaria. Se infatti il brand opera in un settore dalle mille sfaccettature (l'alimentare, la moda, o peggio la politica), è chiaro che la sensibilità degli utenti sarà segmentata in molte forme differenti. Prendiamo ad esempio il caso della campagna sviluppata in occasione delle ultime elezioni politiche da Scelta Civica (ne abbiamo parlato diffusamente nel post Gamification e politica: l’Agenda Monti diventa social): una strategia improntata sul coinvolgimento in prima persona dell'utente, che doveva mettersi in gioco attraverso i propri profili social per ottenere dei benefit.
In questo caso, il target di riferimento era chiaramente quello dei, passateci il termine, "clienti già acquisiti": se un utente non era convinto della bontà dell'Agenda Monti, semplicemente non passava dal sito e non offriva la propria partecipazione. Se invece un elettore di Scelta Civica decideva di partecipare, non faceva che rafforzare posizioni probabilmente già espresse attraverso i suoi profili, andando quindi semplicemente a rafforzare un messaggio già erogato.
Il rischio "boomerang" della campagna, in questo caso, è stato pari a zero.
Diverso il caso di #McDStories (ne parliamo diffusamente qui: McDonald’s e #McDStories: ecco cos’è successo (e alcune riflessioni sul caso): alla richiesta di raccontare esperienze in maniera generalizzata, il brand si è esposto a un pubblico che per forza di cose comprendeva anche i detrattori. Un rischio che ha generato un effetto boomerang praticamente istantaneo, in seguito gestito da McDonald's con esiti tutto sommato positivi considerando le campagne che sono seguite per dialogare apertamente con chi aveva condiviso storie di esperienze discutibili vissute nei fast food della nota catena.
Non sempre il rischio di chiedere agli utenti di raccontare qualcosa può essere gestito. Intendiamoci: ogni stimolazione dei social network da parte dei brand è potenzialmente foriero di critiche più o meno spiccate, soprattutto in determinati settori. Ma il dire agli utenti di Twitter o Facebook "Raccontateci qualcosa", quando di base si è in una posizione complessa come quella di Enel (per via delle moltissime attività sparse per il globo) ecco che presta il fianco, inevitabilmente, a una serie di imprevisti che possono rivelare un effetto opposto a quello desiderato in partenza.
Le storie sono arte: far raccontare agli utenti, esercizio difficile. La campagna #guerrieri, di base, potenzialmente voleva mettere in circolo un concept che - ci ripetiamo - rispecchiava in maniera chiara la volontà di aprirsi a un approccio più green da parte di Enel: le critiche che sono piovute addosso all'azienda sono però state troppo precise per essere ignorate. Proprio perché però l'imput di partenza è stato "Raccontateci una storia", se la risposta è "Prima raccontaci tu, la tua storia, spiegandoci questo episodio della tua vita" allora il brand dovrebbe, perlomeno, continuare sul medesimo sentiero e rispondere a tono a chi, legittimamente, chiede spiegazioni.
Enel dovrebbe mostrare ai #guerrieri, veri e presunti, ciò che gli viene imputato come negativo, mostrando come ogni sua azione possa rispondere a un'attività in linea con il concept della campagna, che indica - si presume - un nuovo corso.
Alcuni imput che potrebbero essere interessanti e in linea con la campagna:
"Mi imputate una cattiva gestione dell'energia in America Latina? Vi racconto le idee di sviluppo laggiù.".
"Mi accusate di vendere a caro prezzo il mio prodotto? Datemi un contributo in termini di idee che io valorizzerò per far sì che la bolletta scenda.".
Il brand deve insomma continuare ad applicare le regole della metodologia, andando però a parlare il medesimo linguaggio degli utenti. Quando si usa lo storytelling è il narratore ad avere il coltello dalla parte del manico, e non è (solo) il brand ad assolvere questo ruolo: ma tutti gli utenti.
Se un'azienda che chiede di raccontare a chi la segue poi... non si racconta, il risultato è che sarà sempre attaccabile. E, inevitabilmente, lo scopo della campagna andrà perduto in un mare di critiche.
Che ne pensate, amici lettori?