[Sull'autore: Stefano Pepe è business developer per alcune startup, si interessa di Bitcoin dal 2012 e fa parte del direttivo dell’Associazione Bitcoin Foundation Italia]
In Italia l’argomento viene ancora trattato timidamente, ma i Bitcoin sono diventati il tormentone di un autunno particolarmente caldo, dall’epilogo del Datagate con Facebook e Google, alla discussa IPO di Twitter.
Dopo una fiammata speculativa in Aprile, che ha quadruplicato il tasso di cambio in pochi giorni per poi ridursi nuovamente a un terzo in sole 24 ore, il Bitcoin è rimasto un po’ in sordina, etichettato come “bolla speculativa 2.0”.
Se quindi da un lato si cerca di dimostrare quanto il Bitcoin sia una bolla o meno, dall’altro è corretto introdurli come se fossero una moneta virtuale peer to peer, soggetta a tassi di cambio puramente guidati dai meccanismi di domanda e offerta.
Le caratteristiche di Bitcoin
In questo momento quindi possiamo incasellare il Bitcoin nel consueto scenario delle tre funzioni della moneta (transazione, riserva di valore, unità di conto) scoprendo alcune peculiarità, sconosciute a tutti gli altri mezzi di scambio oggi in circolazione:
- è una moneta che si trasmette come un’email, la sua autenticità è dimostrata da numeri e “proof of work” basati su complessi algoritmi SHA256, con una Blockchain che li contiene
- si salva su un file e su quanti supporti si vuole. Quindi se ne possono avere molteplici copie ma possono essere spesi una volta sola (prelevandoli dal proprio “wallet”)
- sono frazionabili per svariati ordini di grandezza, pertanto l’unità di conto è BTC o “Satoshi”. Un Bitcoin è composto da 100 milioni di Satoshi.
A questo andrebbe aggiunta la facilità con cui si può pagare restando dietro pseudo-anonimato, caratteristica apprezzatissima dai clienti di Silkroad e affini; il costo pressoché nullo di trasferire i fondi da un wallet a un altro; la sicurezza con cui si possono accumulare e portare con sé - a patto di usare una password robusta e tenere il computer al riparo da virus; e infine la loro estraneità al mondo bancario, quell’odiato 1% che ha animato movimenti molto popolari come Occupy Wall Street o gli Indignados.
Di contro l’alta volatilità (ovvero la velocità con cui il valore sale o scende) rende impossibile la sua adozione come unità di conto, pertanto un acquisto in Bitcoin è sempre da ricondurre al tasso di cambio con valute “fiat” (come il Dollaro), il quale fluttuando moltiplica a sua volta l’impatto su domanda e offerta.
Appare chiaro quindi che queste tre funzioni spingono nella direzione di un fortissimo apprezzamento del tasso di cambio, in quanto sono assenti ostacoli burocratici/tecnologici e la compravendita è totalmente deregolamentata. Inoltre i Bitcoin come moneta non finiscono mai, in quanto basta “strappare a metà una banconota” (o un Satoshi) nel momento in cui la domanda raddoppia, per mantenere lo stesso valore e quindi lo stesso potenziale transazionale (ovviamente al netto di ragionamenti sulla deflazione).
Chiudiamo questa introduzione con l’ultima e forse più importante peculiarità: chiunque può crearsi da solo Bitcoin validi e spendibili, prestando la potenza di calcolo del proprio computer (il cosiddetto “mining”) per validare le transazioni che vengono scritte nella Blockchain. Ad oggi il circolante è circa 2 milioni di Bitcoin al giorno, in cambio il protocollo ne offre circa 3600 per ripagare i complessi calcoli che compongono le transazioni e aggiungerle alla Blockchain.
Realtà o speculazione?
In molti credono che questa sia la prossima bolla dei tulipani… e come dargli torto! Un Bitcoin oggi viene scambiato intorno ai 900 dollari l’uno, un anno fa era a circa 13 dollari e solo un mese fa gli scambi avvenivano al di sotto dei 200 dollari. Numeri che fanno sognare i più avidi speculatori, ma che in questo momento rendono contenti tutti: chi ha comprato un mese fa può anche monetizzare svalutando del 30%, comunque realizzerà un rapporto tra guadagno e rischio impensabile con qualsiasi altra opzione d’investimento oggi esistente.
I Bitcoin sono molto, moltissimo più di questo, al punto che probabilmente un articolo può solo scalfirne la superficie. Per questo è limitante pensarli come una valuta virtuale e sebbene ora la loro funzione sia questa (diremmo una riserva di valore altamente rischiosa) la più grande innovazione è composta dalla Blockchain e dalla rete distribuita del mining, responsabile di tenere in piedi l’intero ecosistema.
La creazione della moneta
Se infatti fino ad oggi era necessaria la presenza di un soggetto terzo per la certificazione della proprietà (governi, istituzioni, banche) con il Bitcoin è possibile scambiarsi denaro in ambiente “trustless”, quindi anche senza fiducia reciproca, con l’impossibilità di espropriarli senza l’uso di violenza o raggiro.
La rete distribuita della Blockchain li rende difficilmente vulnerabili a blocchi o filtri di vario genere, un po’ come è accaduto con il file sharing peer to peer, quindi non solo è impossibile espropriarli ma è anche impossibile impedirne lo scambio, basta che ci sia una connessione ad Internet per mandarli in pochi istanti in giro per il mondo.
La creazione della moneta è decentralizzata e affidata ai suoi stessi utilizzatori, mentre l’inflazione iniziale è programmata (come dicevamo circa 3600 bitcoin al giorno, calmierata dall’algoritmo del difficulty rating), motivo per cui al posto dei tulipani i più audaci parlano di “oro 2.0”.
Ampliando ulteriormente queste opportunità, possiamo allegare ad una micro-transazione di pochi centesimi (memorizzata nella blockchain e certificata) la licenza di software o file mp3, la proprietà di un account, l’autenticità di una mail ufficiale, perfino titoli bancari o il contratto d’acquisto di un terreno. Di fatto la Blockchain può facilmente diventare un “vault” universale e distribuito per certificare la proprietà, senza alcun arbitro oggi rappresentato da istituzioni di vario genere: i numeri certificano universalmente che una determinata transazione è stata effettuata da due determinati indirizzi (appartenenti a due soggetti), nessuno potrà mai dimostrarne il contrario.
Questo scenario diventa infinitamente più vasto quando si comincia a ragionare sulle cosiddette “alt-currencies”, ovvero criptomonete molto simili al Bitcoin nel principio di funzionamento, ma che si appoggiano a blockchain differenti (o algoritmi differenti, come il Litecoin che utilizza lo Scrypt). Ci troviamo quindi velocemente ad immaginare un mondo in cui il Bitcoin è solo la prima di decine (se non centinaia o migliaia) di alternative, in un enorme mercato globale di scambio del valore nel quale sono i numeri a gestire la proprietà e non soggetti terzi che devono godere della fiducia di tutte le persone coinvolte nello scambio, ovvero quello che accade oggi sotto il dominio esclusivo di Stati e Banche.
La strada da percorrere è ancora molto lunga, i sostenitori recitano che “i Bitcoin non sono i soldi di Internet, ma l’Internet dei soldi”. Questo dovrebbe essere il punto da cui partire per separare il valore di un Bitcoin dal suo prezzo.
[Stefano Pepe è business developer per alcune startup, si interessa di Bitcoin dal 2012 e fa parte del direttivo dell’Associazione Bitcoin Foundation Italia]