Sergio Tacchini è un marchio mondiale, da quasi cinquant'anni veste i grandi del Tennis e dello sport, rappresentando lo stile italiano, perfettamente equilibrato tra qualità e essenzialità. Da Ayrton Senna a Marc Girardelli, da John McEnroe a Novak Djokovic, Tacchini ha vestito i grandi del tennis e dello sport, arrivando ad essere alla metà degli anni Novanta una realtà da 220 miliardi di fatturato e 450 dipendenti.
Sette anni fa il marchio è stato ceduto ai cinesi di Hembli. Adesso è solo una brand company, con sede a Milano, che sta pian piano sparendo dal mercato. Ma il 28 maggio scorso, a Novara, Sergio e Alessandro Tacchini (padre e figlio) hanno esposto l’attuale situazione e il loro desiderio di riportare l’azienda in mani italiane.
Dalla carriera sportiva al marketing, l'anticipazione di un grande trend
Recita Wikipedia che Sergio Tacchini, ex tennista, divenuto poi imprenditore e stilista italiano, è considerato un innovatore poiché, anche come imprenditore, ha dato impulso all'introduzione dei colori nell'abbigliamento tennistico, mondo dominato negli anni Sessanta dal bianco.
La carriera sportiva di Sergio Tacchini iniziò presto, avvicinandosi al tennis a soli 17 anni e, e già nel 1960, fu segnata del titolo di campione d’Italia infliggendo la sconfitta a Nicola Pietrangeli.
Partecipò per cinque volte in Coppa Davis tra il 1959 e il 1960 e sei anni dopo l'ultimo torneo, nel 1966, fondò la Sandy’s S.p.A., che diventerà poi la Sergio Tacchini S.p.A. a Caltignaga, Novara.
Il marchio crebbe velocemente grazie ai contatti di Tacchini, che anticipò la strategia dei campioni dello sport al servizio del marketing. Presto ingaggiò come testimonial John Mcenroe, dopo un’estenuante trattativa con il padre in un pub di Londra. Il successo fu incredibile e la ditta novarese, con il tennis nel dna, vinse le forniture alle Olimpiadi di Montreal e Atlanta, così il marchio era su occhiali e profumi.
La delocalizzazione di Sergio Tacchini di fine anni'90
Tacchini fu anticipatore, oltreché nel marketing, nella tendenza alla delocalizzazioni delle produzioni italiane. La concorrenza da Europa dell’Est e Asia diventa serrata e lui diventò, nel 1997, tra i primi produttori italiani a portare le produzioni in estremo oriente, Grecia e Portogallo mentre in Italia apriva una serie di negozi monomarca. Fino a che, nel 2007 cedette tutto a Hembly, colosso della moda cinese. La casa di Bellinzago ha visto smantellare la propria rete di negozi e si è passati da 250 a 13 dipendenti nel settore commerciale.
L’anno scorso la decisione di cedere il ramo d’azienda che detiene il marchio a Wintex Italia, che a sua volta fa capo alla Wintex di Honk Kong. Wintex Italia ha aperto una sede a Milano e il futuro di Bellinzago si è fatto più incerto che mai. Nel frattempo la società cinese proprietaria della Tacchini è finita in debito d’ossigeno finanziario e deve presentare da mesi un piano per il concordato preventivo.
La famiglia Sergio Tacchini ci ripensa
In questo modo si è arrivati al 28 maggio 2014, quando Sergio e Alessandro Tacchini hanno annunciato l’offerta fatta a Wintex Italia per acquistare il marchio a 5 milioni di euro.
Ma la Sergio Tacchini International, la società che detiene attualmente il marchio affittato lo scorso anno dalla Wintex Italia, ha respinto al mittente l’offerta.
Siamo sicuri che la trattativa proseguirà e che questo è solo il primo “assalto alla diligenza” portato avanti dai Tacchini. A prendere la testa dell’azienda sarebbe il figlio Alessandro, ma il padre tornerebbe per rilanciare il marchio nel settore Tennis.
Delocalizzione, probabilmente il marchio Sergio Tacchini rimarrà caso isolato
La famiglia Tacchini in conferenza stampa il 28 maggio 2014 per annunciare la volontà di riportare il marchio in Italia
Alla luce di questa storia, possiamo affermare che questa sia una battaglia in controtendenza rispetto al trend del periodo, e ci piace. La banca del popolo cinese con Zhou Xiaochuan che si butta su Eni e Enel, Bernard Arnault che investe 2 miliardi in Loro Piana, Cova, Vicini e Marco De Vincenzo, Francois Pinault che vuole l’81% di Pomellato: insomma, continua il grande shopping di fondi e banche verso i varchi e le eccellenze italiane.
Seguiremo la vicenda, ma saremmo ben felici di vedere sforzi per riportare in mani italiane un marchio che rappresenta un'Italia industriale che fu e che potrebbe essere simbolo dell’Italia che sarà.