Moncler e le piume d'oca, Moncler e i social network, la gestione della crisi di Moncler: il dibattito scatenato sui social network dalla puntata di Report ha occupato i newsfeed di tutti i maggiori social network dell'ultima settimana.
Fra colpevolisti e innocentisti, pro-piumino e consumatori indignati, sono state espresse tutte le opinioni possibili: uno scambio di idee che continua ancora in queste ore sulla brand page dell'azienda, la quale continua a rispondere in maniera decisa alle accuse mosse dal team di giornalisti della Gabanelli, negando qualsiasi addebito e annunciando querele.
Molti analisti hanno sottolineato come la crisi scatenata dalla trasmissione di RaiTre, grazie anche al booster dei social network e alla viralizzazione dei contenuti di Report, avrà conseguenze importanti per l'azienda: eppure qualche dubbio rimane, soprattutto se si confronta l'attuale situazione a casi più o meno recenti, che come per Moncler hanno visto multinazionali difendersi da accuse fondate e non.
L'(in)sostenibile leggerezza delle piume per gli azionisti Moncler
Alcuni lettori hanno imputato al nostro Francesco Turturiello di aver affrontato il caso Moncler in una forma forse troppo superficiale, non valutando gli effetti complessivi della crisi d'immagine generata dal servizio di Report.
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Il nostro lettore non sbaglia a indicare come i tempi di risposta di Moncler abbiano influenzato gli effetti della crisi, in particolare per ciò che riguarda tutta la fase di community management: ma è altrettanto corretto dare la colpa del crollo in borsa alla puntata di Report? Ni.
A guardare il trend della settimana trascorsa, si direbbe che le azioni Moncler comincino a perdere valore in concomitanza dell'hype di discussione su oche e piumini:
L'inchiesta di RaiTre è stato l'unico fattore a determinare il crollo? A sottolineare la cosa è già Il Post, che in un articolo recap del caso sottolinea come alcuni analisti finanziari abbiano associato la perdita di valore non solo alla "crisi delle piume", ma a una valutazione negativa fatta da BPN Paribas del titolo. Fattori insomma lontani dal mondo dei media, social e non.
Inoltre, rimane il dubbio: prima qual'era l'andamento del titolo Moncler? Una domanda da porsi considerando che mentre scriviamo il titolo guadagna circa 2 punti percentuali.
Analizzando il trend su base annuale, il risultato è abbastanza inaspettato:
Moncler è stata quotata in borsa nel 2013, e il titolo sembra aver avuto un andamento naturalmente altalenante con picchi in negativo già prima della crisi delle oche: ora, questo non è un blog finanziario e chi vi scrive non è un'analista finanziario, ma osservando il grafico il presentimento che il dibattito generato intorno alle oche e alle procedure di prelievo delle piume sia stato un po' sopravvalutato resta, rispetto ai reali effetti che ha generato almeno a livello finanziario (se provate a cercare maggiori informazioni, potete imbattervi in articoli tipo questo).
Certo, resta la crisi d'immagine da gestire sui social e le motivazioni che, come sottolinea il nostro lettore, hanno portato Moncler a rispondere a Report con tempi più dilatati. Ma è dipeso tutto dalla velocità di reazione o le cause sono da imputarsi a ragioni più articolate?
Corporate identity e contenuti: cosa deve raccontare un'azienda?
Sarebbe bastato intervenire in real time sulla brand page di Facebook per limitare la crisi? Sarebbe stato necessario intervenire anche in altri ambienti digitali? Osserviamo un altro media dell'ecosistema Moncler: il suo sito internet.
La home page del mercato Italia apre con un top dedicato interamente al casus belli e una tematica più da Corporate Social Responsability che non di prodotto: la qualità della materia prima e la bontà del processo produttivo che serve ad ottenerla. Chiaramente, un contenuto inserito dopo l'esplosione della crisi. Un intervento che pare essere non l'unico fatto "dopo", secondo le nuove accuse mosse dal team di Milena Gabanelli (per maggiori info, guardate il servizio pubblicato sul sito della trasmissione televisiva): su questo lasciamo che siano gli attori coinvolti a rispondere nelle sedi opportune.
Rimanendo però sulla semplice strategia di comunicazione, possiamo dedurre, analizzando l'ecosistema Moncler e i tempi di reazione, che:
- tale contenuto sia quasi uno snaturamento del sito di prodotto, data l'assenza di sezioni dedicate a temi quali le tecniche di produzione o standard di qualità;
- le tematiche suddette, apparentemente, non rientrassero prima nella crisi nei piani editoriali e in generale nella content strategy del brand.
Ita.moncler.com è infatti giustamente virato sul prodotto, i suoi contenuti relativi alle collezioni e la sua comunicazione orientata solo al consumatore che intende informarsi sull'offerta commerciale. Provando a cambiare paese, ad esempio scegliendo la home page internazionale (http://eng.moncler.com/):
la differenza è ancor di più marcata.
Che però il caso delle oche meritasse un focus dedicato era palese, tanto che anche sul sito Corporate, MonclerGroup.com è stato inserito un avviso dedicato con varie call to action d'approfondimento:
Call to action che, come nel caso di prodotto, rimedia all'assenza di contenuti relativi alle tematiche di cui sopra.
Su questo punto è necessario soffermarsi, aprendosi a confronti anche particolari: è mai capitato che Moncler abbia dovuto confrontarsi con accuse di questo genere, prima? E quanto contenuti virati sull'importantissimo tema della Sostenibilità sono sembrati indispensabili per rispondere a una crisi? Rispetto dell'ambiente e accuse sui prezzi sono topic nuovi per un'azienda che ha fatto dell'esclusività, della qualità e dell'essere "senza tempo" i suoi valori fondanti:
Prima del servizio di Report, Moncler non aveva mai ritenuto necessario fare proprie tematiche di questo genere e tradurre il proprio approccio in contenuti da usare come leva di comunicazione. Spiegare che tipo di piume venissero usate per fare i piumini Moncler o giustificare i prezzi non serviva: semplicemente perché il consumatore non lo chiedeva, o non lo considerava un criterio di scelta.
Rispondere in real time, insomma, è stato impossibile: perché mancavano i contenuti per farlo.
Voi direte: ok, dopo Report però sarà probabilmente così. Ma siamo sicuri che Moncler subirà un danno consistente in termini di vendite?
I contenuti come strumento di difesa dalla crisi
Prima di rispondere alla domanda, un piccolo inciso.
Appare chiaro come una strategia in grado di veicolare tematiche di Sostenibilità Ambientale, magari usando una sezione dedicata sul sito corporate, avrebbe fatto molto comodo a Moncler nella gestione della crisi: si sarebbe potuto rispondere in tempi ragionevolmente più snelli e anche in forma più credibile, costruendo una meccanica per cui alle reazioni del pubblico sui social network dopo la trasmissione del servizio il brand si sarebbe presentato con toni più sereni e rassicuranti.
Ovvio: sono le occasioni che determinano eventuali necessità mai preventivate. Senza dubbio il bisogno di interagire con un pubblico molto ampio anche non in target, in grado però di incidere sulla percezione del marchio, è una situazione particolarmente inedita per Moncler: può però essere interessante per far diventare una crisi un'occasione di dialogo, di potenziamento della brand reputation e chissà, un touch point per eventuali prospect.
Cambiando settore, ci sono multinazionali che si sono prodigate per mostrare come molte accuse fossero infondate e cercando, appunto, di usare tutti gli strumenti in loro possesso per avviare questo dialogo (e contestualmente, magari far cambiare opinione ai detrattori).
Su tutte, l'esempio forse più interessante è Nestlè, la corporate svizzera che da decenni combatte contro accuse anche molto gravi e potenzialmente pericolose:
Non è questo il luogo per dire se un'azienda, una multinazionale, un brand sia più o meno senza scrupoli. Mettere però in condizione il consumatore di scegliere è parte del ruolo di ogni player del mercato, e il ruolo dei media digital e social è proprio quello di offrire le informazioni nel modo più semplice possibile.
La strategia di Nestlé per rispondere a critiche potenzialmente devastanti per il suo posizionamento nel mercato non si limita ai social network e alle attività di community management, ma non si limita lì, e anzi coinvolge su tutti gli ambienti digitali.
L'obiettivo è raccontare una corporate identity il più possibile trasparente e corrispondente alle aspettatitve dei consumatori, ponendo al centro della relazione componenti più valoriali ed emozionali, stressando il concetto di sostenibilità fino a farlo diventare l'architrave con cui raccontare l'azienda (a partire dal logo, accompagnato da un claim forte e indicativo, fino ad arrivare alle sezioni del sito stesso). Una declinazione del contenuto con ampio impiego della metodologia dello storytelling ha fatto il resto: una narrazione in grado di misurarsi, potenzialmente, con tutti i servizi di Report del mondo e che è in grado di accogliere le critiche con un modus operandi percepito come meno improvvisato e più radicato nell'identità dell'azienda (e conseguemente, dei brand).
Cosa resterà della "crisi delle piume"
Ricollegandoci alla domanda di prima, proviamo a formulare una teoria.
Della crisi d'immagine che ha coinvolto Moncler, nel medio e lungo periodo rimarrà poco o nulla: chi comprava Moncler prima continuerà a farlo, così come chi non poteva/voleva comprare i loro prodotti continuerà a mantenere le proprie preferenze d'acquisto, magari suffragando la propria scelta con la leva del prezzo che Report ha sostenuto non essere non giustificato. Il titoli in borsa salirà se vi sarà un inverno particolarmente freddo (come già capitato all'inizio dell'anno) e gli investitori faranno le loro valutazioni a seconda dei feedback ricevuti dalle società di rating.
Attenzione: queste sono ipotesi. Ma è altresì vero che ad oggi si registra un solo caso in cui un'azienda ha pagato realmente il dazio di una crisi d'immagine fino a veder crollare così tanto la propria brand reputation da dover cambiar nome: Mosaico Arredamenti. Un'azienda tutto sommato molto più piccola rispetto a Moncler e - ci perdoni il suo fondatore - anche con una storia e un'affiliazione decisamente minore.
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A supporto di ciò, citiamo una ricerca di Nielsen del 2013 secondo cui il primo criterio di scelta degli italiani per acquistare un prodotto è la Qualità (65%). Secondo è il prezzo (53%) mentre il 34% si dichiara di esser disposto ad acquistare prodotti ecofriendly a dispetto del prezzo. Nel settore dell'abbigliamento però "in Italia il 42% definisce il prezzo come fattore chiave (Europa 48%), il 37% il design (Europa idem), il 18% la qualità (Europa 22%).": statisticamente, quindi, criteri che non includono ad esempio l'impatto della produzione sugli animali, fulcro dell'inchiesta di Report.
Per concludere, ciò che è prevedibile è un acutizzarsi del processo di polarizzazione fra "pro" e "contro" Moncler, tipico di tutti i love brand che acquisiscono un profilo d'esclusività e riescono a diventare status symbol. A Moncler era già successo negli anni '80, quando il piumino insieme alle Timberland e prodotti di altri marchi era diventato uno dei simboli di una subcultura giovanile abbastanza nota fra gli over 30: c'era chi comprava i suoi prodotti e chi li detestava. Piani diversi di paragone, visto che la non sopportazione era dettata da questioni di stile più che da alti principi morali come l'amore per gli animali. Ma, osservando anche le scelte fatte a monte da Moncler e che abbiamo dedotto dall'osservazione del suo ambiente digitale, sembrano questi temi che non riguardano il target di riferimento dell'azienda e che, paradossalmente, non sembrano mai esser sembrati strategici.
Certo, questa crisi ha aperto degli spiragli e posto delle domande; anche per questo, potrebbe diventare un'occasione per Moncler per aprirsi ad altri mondi di contenuto e nuovi approcci comunicativi e, conseguentemente, ad altri target... Sempre che ci sia interesse da parte dell'azienda stessa.
Con buona pace delle oche e delle loro piume, che continueranno a riempire i piumini e scaldare chi vorrà acquistarli (e dopo averne riempiti per tutto l'inverno, che tornino a ricrescere addosso alle legittime proprietarie: perché in fondo, anche le oche ci risultano molto simpatiche!).