Deborah Pauly è una ragazza biondissima e sorridente, nella vita fa la consigliera a Villa Park (Orange County, California), uno di quei posti in cui a tutti piacerebbe vivere. Dopo anni nei banchi del suo comune per Deborah è giunto il momento di fare il grande salto: ad aspettarla nel 2016 c'è la campagna elettorale per il rinnovo dell'assemblea di Stato della California. Candidata in quota GOP (e Tea Party), la sua sarà una strada in salita. “Quando è passata la riforma sanitaria di Obama” ci racconta, ho scritto su Facebook queste esatte parole: “Applaudire l'Obamacare è come applaudire uno stupro”. Aggiungendo: “Do you feel sodomized?” Un post volutamente provocatorio. “Quel che ricordo dopo fu un titolone sulla stampa locale che recitava più o meno così: 'Consigliera locale paragona Obama allo stupro'. Sapete che il mio profilo è cresciuto moltissimo?”. Non abbiamo alcun dubbio, Deborah.
La marijuana di Jeb e la politica-intrattenimento
Politico ha posto per primo l'accento sul rischio che i social stiano “rovinando” il dibattito politico, esasperandone i toni e spingendo i contenuti verso il basso. Deborah ha le idee chiare anche su questo: “L'unico modo in cui i social media possono rovinare la politica è che la conversazione cominci e finisca con loro”. Ma per fortuna degli americani ancora non è così. Gli incontri, il porta-a-porta e i comizi, sono ancora molto popolari e consentono di andare a fondo nei contenuti. Tuttavia la tendenza alla estremizzazione del discorso, finalizzata a “prendere più like” e approvazioni, è un fenomeno reale, con conseguenze reali: il dibattito politico offline è ormai contaminato dagli strascichi delle polemiche online, che giocoforza fanno più notizia, essendo per loro natura più dirette, autentiche e frizzanti. I media tradizionali hanno preso l'abitudine di rilanciare i contenuti dei social, portandoli così all'attenzione di tutti, anche di chi non usa Facebook e Twitter.
La propensione al chiacchiericcio è evidente anche durante i confronti TV: nel recente #GOPdebate sulla CNN: le ricerche su Google sono letteralmente impazzite e non per approfondire la riforma sanitaria, né per le proposte sull'immigrazione, ma per saperne di più sulla moglie messicana di Jeb Bush e sulla figlia tossicodipendente di Carly Fiorina, scomparsa all'età di 35 anni.
La issue della droga è emersa grazie alla “confessione” di Jeb: il secondogenito della dinastia Bush avrebbe fumato una canna in gioventù. La risposta dell'ex CEO di HP non si è fatta attendere: “La marijuana che fumava Jeb 40 anni fa non è quella di adesso”.
.@JebBush: "40 years ago, I smoked marijuana" http://t.co/Oiiv58vZav#CNNDebate#GOPdebatehttp://t.co/DbopstGreF
— The Lead CNN (@TheLeadCNN) 17 Settembre 2015
Ma in conclusione, chi è il vincitore sui social del dibattito alla Reagan Library? Le mention non darebbero adito a dubbi: su 2 milioni di post ben 446,117 sono stati dedicati a The Donald, seguito da Fiorina a 165,767. È interessante notare come i sondaggi della CNN sembrano seguire esattamente l'andamento delle mention: Carly Fiorina balza al secondo posto del gradimento dell'elettorato conservatore, recuperando molti punti su Trump.
Un pledge per l'America
Tra i think tank americani più influenti c'è l'Americans for Tax Reform (ATR): il suo cavallo di battaglia è un pledge (un accordo) che dai tempi di Ronald Reagan il suo visionario fondatore, Grover Norquist, fa firmare a tutti i candidati alle più alte cariche istituzionali. L'impegno? Non votare mai l'aumento delle tasse e della spesa, neanche di fronte all'apocalisse.
A guidare la comunicazione dell'ATR c'è John Kartch, che ci aiuta a fare chiarezza: “In America stiamo assistendo ad una vera e propria ondata populista: ci sono un sacco di persone che credono che le élite politiche di Washington e NYC stiano tramando contro il popolo per arricchirsi. Con questo clima, candidati come Donald Trump e Bernie Sanders sono perfetti per racimolare consenso”.
Ci sorge un dubbio: Trump, così ricco e potente, dovrebbe essere il candidato più distante dalla gente, oppure no? Ci viene in aiuto il “Time” che, in un recente editoriale lo scrive a chiare lettere: gli americani – sondaggi alla mano – sono cambiati e non cercano più il candidato della porta accanto. Sono un po' stanchi del politico in jeans che fa di tutto per sembrare uno del popolo. All'America non serve più un uomo comune, serve un eroe. Meglio se atterra con un elicottero da sette milioni di dollari.
Donald Trump, il miliardario che non piace ai miliardari
“Trump è ricco e potente ma non fa parte delle élite”, ci tiene a precisare John. “Quando, ad esempio, acquistò la storica dimora Mar-a-lago in Palm Beach (Florida) i miliardari che possedevano già le loro ville laggiù facevano a gara per evitarlo, disgustati da lui e dal suo stile di vita. Il bello è che a The Donald non importa nulla del parere della gente 'che conta': lui, suo padre e suo nonno hanno lavorato duro per essere quello che sono. Gli americani lo sanno e non lo associano alla cosiddetta leisure class”.
In soldoni il vecchio Donald non ha nulla da perdere. Né finanziatori o lobbisti a cui render conto (la sua campagna è completamente auto-finanziata). Così può permettersi di sbeffeggiare tutti, soprattutto Jeb. Il secondogenito della dinastia Bush è accusato di avere poca energia e carisma. In questo breve spot, una ragazza che assiste al suo comizio si addormenta. E così l'ex Governatore della Florida diventa per Trump il “rimedio ideale per curare l'insonnia”.
La risposta di Jeb arriva durante il dibattito: il suo nome in codice da presidente sarà “Eveready”, come le batterie. Trump incassa con sportività e il “5” tra i due è già un piccolo cult della rete:
Now that's a high five pic.twitter.com/KGU6ccxWIo
— Amber Phillips (@byamberphillips) 17 Settembre 2015
La realtà? Ad oggi i social non sono (ancora) decisivi
“Capisco l'entusiasmo attorno ai social” prosegue John “ma dobbiamo guardare in faccia la realtà: ci sono milioni di elettori in America che non utilizzano nessun social e si informano da radio e TV. La maggior parte di essi sono anziani ma potete esser certi di una cosa: il giorno delle elezioni, si alzeranno ed andranno a votare”.
Mentre i giovani staranno a casa, come da tradizione. Sarà forse per questo che gli investimenti più importanti di ogni campagna sono tutt'ora orientati verso l'acquisto di spazi sul piccolo schermo per trasmettere quanti più spot possibile.
“La TV è la regina di ogni campagna. Raggiungere gli elettori con gli spot negli stati in bilico può fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta. Ma i TV ADS costano molto. Se vuoi fare una campagna low cost la strategia migliore è creare dei contenuti per i social così interessanti da essere utilizzati come news televisiva. Il costo? Zero, ovviamente”.
Insomma aveva sempre avuto ragione Deborah, che nella sua corsa solitaria di provincia le spara grosse su Facebook per andare sui giornali. “Ma ricordatevi sempre che il tema che è di tendenza oggi può non esserlo più domani”. Già, gli americani sono fatti così, persone adorabili di facili innamoramenti (e disinnamoramenti), che hanno un disperato bisogno di un eroe che li protegga per sempre. Fino all'arrivo del prossimo.