I giornalisti esistono perché le persone hanno bisogno di sapere che cosa è successo, e, soprattutto, perché.
Le informazioni sono trasmesse più efficacemente e più credibilmente da chi ha un mix di conoscenze approfondite su un argomento e capacità di rispondere alle esigenze del pubblico. Negli ultimi anni i social networks hanno rilevato una parte della funzione del giornalista, cioè quella del farci sapere che cosa è successo, grazie a fenomeni di citizen journalism o semplicemente di un word of mouth veloce ed efficace.
Ma la parte del “perché” è qualcosa che compete ancora, per fortuna, al giornalista. Durante un panel al Prix Italia che si sta svolgendo in questi giorni a Torino, Roberto Suàrez Candel, responsabile EBU Media Intelligence Service, ha presentato i dati dell’eurobarometro che evidenziano come la fiducia dei cittadini nei confronti dell’informazione via radio, TV e stampa sia nettamente superiore a quella rivolta all’informazione derivante dai social networks.
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Quando i Navy Seals hanno fatto fuori Osama bin Laden, la prima informazione pubblica è arrivata da Sohaib Athar su Twitter (@reallyvirtual), quello che scrisse: «sono chi ha fatto il live blogged il raid di Osama senza saperlo».
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Sohaib Athar non è un giornalista (è un consulente IT di Abbotabad, la località pachistana dove si è svolto il raid) e probabilmente neppure sapeva che stava facendo del giornalismo, ma ha agito come un giornalista. Athar twittò di aver sentito un elicottero e una esplosione, poi rispose a richieste di chiarimento, aggiunse informazioni quando pensava di averne, seguì il filo della storia e offrì il contesto. Athar diventò una risorsa per i giornalisti che cercavano di ricostruire la successione degli eventi, una parte nel sistema di verifica delle informazioni da confrontare in tempo reale con la versione ufficiale.
Per molti eventi di interesse giornalistico è sempre più probabile che la prima descrizione disponibile sia prodotta da un cittadino connesso invece che da un giornalista di professione.
Quando si mette insieme un numero sufficiente di individui si ha una folla (crowd). Una delle cose che le folle fanno meglio dei giornalisti è raccogliere dati. Quando il Giappone fu colpito da un terremoto nel marzo 2011 in seguito al quale la centrale nucleare di Fukushima Daiichi subì una perdita, la mancanza di dati aggiornati sui livelli delle radiazioni ha spinto alcune persone a registrare la situazione con contatori Geiger, filmare i risultati e trasmetterli in streaming via UStream.
Piattaforme sociali come Twitter e Facebook dimostrano che raccogliere e interpretare tutte le informazioni disponibili è un compito che va al di là delle possibilità umane. Tutte le piattaforme sociali e i motori di ricerca hanno al loro interno capacità algoritmiche che aiutano ad analizzare quali argomenti siano condivisi, quali questioni siano più discusse e da chi, quando emergono specifiche informazioni e come si muovono.
La disponibilità di risorse come le foto dei cittadini non rende inutile il giornalismo o i giornalisti, ma cambia il loro lavoro: non si è più la fonte dell’iniziale ripresa fotografica o dell’iniziale osservazione, ma si diventa la persona che richiede le informazioni rilevanti e che filtra e contestualìzza i risultati.
Se oltre ad essere fonte, volete spingervi nel campo del digital Journalism, ecco qualche strumento social che potrebbe fare al caso vostro.
I Dati
Per reperire e analizare dati ti consiglio queste piattaforme: Raw, Silk, Tableau Public e Import.io.
Dove scrivere
Twitter ci mette a disposizione 140 caratteri, ma anche una piattaforma meravigliosa come Medium. Se sei uno che ha da poco iniziato a cimentarsi con la scrittura e con il giornalismo online, ti sconsiglio di aprire un blog, rischieresti di leggerti da solo. Meglio puntare su piattaforme come Medium, appunto, oppure LinkedIn Pulse, Storehouse o le note di Facebook (da tenere sott'occhio per l'upgrade che ci sarà a breve per tutti gli utenti).
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I video
Il video è ormai lo strumento principale per il racconto. I migliori strumenti per realizzarli, come veri reporter, sono Videolicious (scelto da Bezos per il Washington Post), Animoto, Magisto, Explee e ReEmbed. Ce n'è per tutti i gusti.
Le mappe
Se volete inserire mappe customizzate all'interno dei vostri articoli, provate ad utilizzare Mapbox, CartoDB, StoryMap JS, Mapsense e Mapmaker. Il mio preferito è il primo: semplice, colorato e con molte feautures disponibili nella versione free.
Le infografiche
Ti consiglio solo due tool, ma eccezionali: infogr.am e easel.ly. Potrai completare le tue inchieste con elementi che coniugano storia e grafica in modo impressionante.
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