AdBlock e AdBlock Plus si sono affermati per gradi. Oggi, leggiamo su Marketing Land, contano quasi 200 milioni di utenti e la cifra cresce sempre più velocemente. Sono 22 i miliardi di ricavi globali persi finora nel 2015 a causa di questi dispositivi di blocco delle pubblicità.
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La gente non ne può più di quello che talvolta le capita navigando sul web: la video réclame che parte automaticamente mentre sta leggendo una notizia, ad esempio, o l’essere spedita in un’altra pagina in cui viene domandato il download di un’app totalmente estranea. Tutte cose fastidiosissime.
Sempre più mobile
Nello stesso articolo di Marketing Land, apprendiamo che più del 98% dell’ad-blocking avviene adesso su desktop. Ma estensioni di ad-blocking esistono già anche per le versioni mobile di Chrome e Firefox. E il nuovissimo iOS 9 consente di scaricare applicazioni come AdBlock Browser (disponibile pure per Android: Google, sotto pressione, non ha potuto esimirsi).
Il successo del mobile ad-blocking, stando a Digiday, minaccia e complica il quadro finanziario già difficile per i publisher che hanno a che fare col mobile. Ma per Adweek può trattarsi di una ragione in più, qualora le altre non bastassero, per puntare pesantemente e seriamente sul mobile (che è, vale la pena ricordarlo, la piattaforma più grande), non solo dal punto di vista economico ma anche da quello strategico.
Ma è immorale?
È il desiderio folle di avere tutto di certi pubblicitari, indifferenti agli effetti sulla user experience del lettore, a portare le persone verso gli ad-blocker. Ma allora dove va a finire la questione morale? È chiaro che, se blocchi le pubblicità, i siti perdono entrate (e molto spesso le uniche).
Tuttavia, è pericoloso pensare che i lettori debbano sopportare qualsiasi cosa gli advertiser richiedano loro. Perché mai questi ultimi dovrebbero essere immuni al cambio evolutivo o rivoluzionario nelle abitudini dell’utente?
Altro che Darwin
“Che forma prenderà l’evoluzione? Beh, date un’occhiata a siti come BuzzFeed e il loro impiego di contenuti native. Se la pubblicità è generata dal sito stesso, è automaticamente molto più difficile bloccarla”. A parlare è Charles Arthur, ex Editor della sezione Tecnologia al The Guardian, sul suo blog.
Inoltre, osserva acutamente il giornalista, “qualsiasi argomentazione che provi a mettere una condanna morale allo scorrere tecnologico è destinata presto o tardi a soccombere”. Così è stato nel caso di Napster e di BitTorrent, così sarà, molto probabilmente, anche con AdBlock.
Per concludere, un consiglio spassionato: coltivare una sorta di "ecologia" della comunicazione