Filippo Giotto, Social Media Manager in Banca Mediolanum, è uno dei docenti del Social Media Marketing Lab. Durante il corso in aula ci spiegherà come saper leggere ed interpretare quelle che sono le metriche fondamentali per realizzare una buona attività di Social Media Marketing.
"I Social Network sono l'ultima occasione che i marchi hanno per ricostruire la propria reputazione con umiltà e trasparenza", queste le tue parole. In base alla tua esperienza, quali strumenti/strategie hanno per farlo?
A mio avviso il primo strumento che hanno è la presa di coscienza che il mondo è cambiato e non è più brand-centrico. L’autoreferenzialità non vende più da un bel pezzo e il tuo “bianco che più bianco non si può” è uguale al bianco di moltissimi altri. Da qui si riparte su un percorso di riavvicinamento alle persone, ma per farlo servono umiltà e trasparenza, nonché una grande integrità: ciò che dico si riscontra poi nei miei comportamenti?
“Integrity is what you do when no one is watching”
La comunicazione vera e propria, le strategie, i video di senso… viene tutto dopo. E in questo “dopo” i social network hanno un ruolo rilevante in quanto piazza pubblica in cui incontrare le persone, pronte a conversare.
Una Social Media Policy può modificare in qualche modo la genuinità tipica della comunicazione attraverso i social?
Per niente, anzi. Una Social Media Policy se stilata con coscienza e dalla parte dell’utente rende il lavoro di tutti più fluido, più sereno, più “partecipato”. La Social Media Policy è uno strumento abilitante che pone tutti i nostri collaboratori, colleghi, fornitori etc. nelle migliori condizioni per parlare di noi (e con noi) in maniera sicura, tutelando se stessi e il brand, restando alla larga dai pericoli in cui talvolta i meno esperti e chi è alle prime armi si infilano ingenuamente.
Pensiamo per esempio a un collaboratore che si scaglia a difesa del brand in una discussione in cui il marchio è sotto attacco e magari ha torto. È un gesto onorevole ma che si traduce in un suicidio che mette in difficoltà il collaboratore e il brand stesso.
Non smetterò mai di ripeterlo: le Social Media Policy sono uno strumento di lavoro fondamentale e al contempo i due guanciali tra cui ogni SMM ha il diritto di dormire.
Le cinque competenze che un social media manager deve necessariamente avere.
Solo cinque?
Battute a parte, credo che tra le capacità di un Social Media Manager non possano mancare comunicazione e relazione (prima ancora interne che esterne), piena consapevolezza del suo ruolo e del ruolo del suo team all’interno dell’organizzazione, conoscenza del marchio e comprensione profonda dei suoi processi aziendali, coordinamento e capacità gestionali. Vien da sé che lo sviluppo di talune competenze comporta profili con una certa seniority.
Non ultimo, mi piace sempre ricordare cosa NON è un Social Media Manager: non è uno smanettone.
Meglio la formula "pochi follower ma buoni" o "tanti follower ma poco attivi"?
La risposta è: dipende.
Dipende dagli obiettivi che ci siamo dati (o che ci hanno dato). Dipende da quali sono i numeri che alla fine dell’anno ci vengono richiesti. Dipende da cosa conta per il nostro business e per il management.
Siamo tutti d’accordo sul fatto che i nostri follower/fan debbano essere autentici, ingaggiati, altamente affini al brand e che “i mercati sono conversazioni”. Tutto vero, tutto legittimo, ma accettiamo anche il fatto che Facebook (per citarne uno su tutti) per i brand è sempre più un paid media: no money = no reach.
Il nostro compito è quello di trovare e mantenere quel magico equilibrio che fa convivere quantità e qualità, senza additare le campagne di fan acquisition come il peccato originale bensì impegnandoci a lavorare su un ottimo piano editoriale affiancato da molteplici attività verso nicchie di qualità su cui veicolare i nostri messaggi (e adesso lo dico) anche a pagamento.
La parola d’ordine, in fondo, resta qualità. Del resto, quando veniamo intercettati da una bella pubblicità sappiamo sempre riconoscerne il valore e l’autenticità e non facciamo gli schizzinosi perché “è paid”.
Durante il lab in Aula dedicherai una parte della giornata ai focolari di crisi sui social. Puoi anticiparci qualche consiglio su come intervenire tempestivamente prima che si trasformino in flame veri e propri?
Antenne. Occorrono tante ottime antenne.
Detta in altre parole, dobbiamo attrezzarci con tecnologie realmente funzionanti in grado di ascoltare cosa accade intorno al nostro brand (ma anche ai nostri manager e ai prodotti) e segnalarlo in tempo reale, senza limitarci ai luoghi di casa nostra bensì setacciando costantemente il maggior numero di ambienti e fonti possibile. Questo, a mio avviso, è il budget meglio speso di tutto l’ambito social.
E poi occorrono processi ben definiti, chiari e condivisi attivamente da tutti: piani di azione per le casistiche peggiori e livelli di servizio interni che siano coerenti con le aspettative delle persone che stanno interagendo con noi, anche indirettamente.
Scoprire in tempo reale che c’è un rischio reputazionale crescente in una determinata conversazione e non sapere verso chi scalare all’interno della propria organizzazione equivale a non aver fatto nulla per tutelare il brand e le persone che lo rappresentano. Con l’aggravante di aver speso del danaro.