I media italiani e internazionali parlano copiosamente di millennials, Y generation, sharing economy e tanti altri argomenti in gran parte inerenti al mondo del consumo giovanile. Tutta quella parte dell’economia dei paesi avanzati che si basa sui consumi realizzati dalle fasce di popolazione meno giovani viene invece troppo spesso dimenticata.
“La Silver Economy può essere definita come il risultato delle opportunità che nascono dalla spesa pubblica e dalla spesa dei consumatori relative all'invecchiamento della popolazione e alle esigenze specifiche della popolazione over 50”.
Questa è la recente definizione di Silver Economy data dalla Commissione Europea.
La Silver Economy sta acquisendo e acquisirà in futuro una grandissima rilevanza, in relazione ad alcune trasformazioni demografiche a cui saranno sottoposti i paesi avanzati e, in particolar modo, l’Unione Europea, che già attualmente ricopre il ruolo di continente più vecchio al mondo.
La popolazione europea sta invecchiando rapidamente a causa del combinato disposto dell’incremento dell’aspettativa di vita e di un basso tasso di natalità. Le stime prevedono che nel 2060 l’aspettativa di vita in Europa sarà di 84,8 anni per gli uomini e di 89,1 per le donne. Nello stesso anno il tasso di natalità sarà dell’1,76, lontano dal tasso naturale di sostituzione del 2,1.
In Europa, sempre entro il 2060, ben un cittadino su tre avrà più di 65 anni, generando così una composizione demografica senza eguali e antecedenti nel mondo. In base ai dati riportati nel report “The Silver Dollar: longevity revolution primer” di Merril Lynch il numero di persone con più di 60 anni nel mondo passerà dagli 841 milioni del 2013 agli oltre 2 miliardi del 2050.
Sempre in base alle risultanze di questo report gli individui over 65 supereranno in quantità i bambini under 5 per la prima volta nella storia dell’uomo nel 2047. Appare chiaro come un fenomeno di queste proporzioni non possa che avere delle ripercussioni economiche di almeno pari entità.
Secondo dati Euromonitor riportati nello stesso report già citato entro il 2020 la disponibilità di spesa della fascia di consumatori con più di 60 anni raggiungerà i 15 trilioni di dollari. Entro il 2030 i consumi generati da questi segmenti demografici peseranno addirittura il 50% del PIL di paesi come Stati Uniti e Giappone (dato di Oxford Economics).
Considerando che attualmente questa parte dell’economia ha un valore di circa 7 trilioni di dollari possiamo fin da subito comprendere quanto rapida e decisa sarà l’evoluzione in questo senso nel futuro più immediato.
Dal punto di vista qualitativo possiamo identificare questi consumatori come i baby-boomers degli anni ’60. Questa generazione ha vissuto pienamente gli anni del boom economico dell’Occidente, ha avuto occupazioni fisse e generalmente ben remunerate e gode pertanto di una disponibilità economica molto spesso superiore a quella delle nuove generazioni.
I settori che potranno beneficiare maggiormente di questa evoluzione saranno ovviamente quelli dei farmaceutici, delle assicurazioni, dei servizi finanziari, dei beni di consumo, dell’healthcare e altri simili. Tutti questi mercati dovranno comunque subire degli importanti cambiamenti per poter affrontare al meglio le nuove sfide rappresentate dal mutamento demografico.
Anche l’amplissimo settore del retail, trasversale a molti dei mercati di cui abbiamo appena parlato, dovrà adattarsi a questo trend di invecchiamento della popolazione: i negozi dovranno avere corsie più ampie, con più sedute in prossimità delle code e indicazioni chiare, con scritte con caratteri di grandi dimensioni e colori più accesi.
Anche i prodotti di tipo FMCG, soprattutto nei loro formati e packaging, dovranno subire degli adattamenti sostanziali per venire incontro alle specifiche esigenti di questa crescente classe di consumatori. Le porzioni assunte dai consumatori più anziani, infatti, sono più contenute rispetto alle altre fasce d’età e la loro propensione allo spreco è assolutamente minima.
I camerini dei negozi di abbigliamento dovranno essere di maggiori dimensioni, per facilitare i movimenti a persone con lievi difficoltà di deambulazione. Gli store della GDO dovranno diventare sempre più luoghi di aggregazione e condivisione sociale, dotati di veri e propri salottini con giornali e libri, ospitali per individui spesso soli e che richiedono un surplus di socialità.
La stessa disintermediazione e l’automazione dei processi di acquisto e di consumo, che hanno caratterizzato la nostra società in questi anni, dovranno conciliarsi con le necessità di maggiore tradizionalità da parte di questi consumatori. La disponibilità di commessi capaci di informare e guidare i consumatori più anziani nel loro consumer journey potrà essere ancora decisiva.
Anche nel mondo dei beni semi-durevoli si sta muovendo qualcosa: è infatti significativo che L’Oréal abbia scelto Helen Mirren, attrice di 70 anni, come una delle sue testimonial. È pertanto chiaro che le grandi multinazionali e i brand più importanti abbiano compreso già da tempo la direzione verso la quale andrà il mondo del consumo del futuro.
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Anche il marketing e la comunicazione, quindi, nell’ambito della pianificazione della value proposition aziendale, non dovranno commettere l’errore di concentrare tutte le loro risorse nell’innovazione sfrenata per intercettare i consumatori più giovani, certamente i più formati come tali e conseguentemente i più difficili da conquistare.
Tali sforzi dovranno infatti essere necessariamente conciliati con un’adeguata attenzione al segmento di consumatori più anziani, che dovranno essere raggiunti tramite canali comunicativi più tradizionali e campagne ad hoc per conquistare la loro attenzione e intercettare le loro preferenze.
A fronte di un’evoluzione, continua e vivace, delle dinamiche di consumo tradizionali, che si stanno sempre di più orientando verso soluzioni alternative quali il consumo condiviso, il leasing al posto della proprietà dei beni, i gruppi di acquisto e altri simili, i consumatori più anziani potranno costituire un’importante gommone di salvataggio per quelle imprese poco innovative che rischierebbero altrimenti di naufragare nell’economia del terzo millenio.